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Una disciplina (e per certi aspetti anche un’arte)

Una piccola storia di fantasia aiuterà a comprenedere quanto sia importante fare la giusta domanda per ottenere la giusta risposta.

Un seminarista avvicina un docente e gli chiede: “Padre, mentre prego posso fumare?”.

Il sacerdote guarda assai perplesso l’allievo e bonariamente ma senza indugio osserva: “Figliolo quando ti rivolgi a Lui il tuo cuore e la tua mente devono essere assolutamente a Lui dedicati. Quindi no, caro figliolo, non mi sembra proprio il caso”.

Poco distante il dialogo è seguito da un altro allievo fumatore.

Questi – dopo qualche giorno – si rivolge al medesimo docente e gli pone la domanda in questi termini: “Padre, mentre fumo posso pregare?” Senza tentennamento alcuno il maestro risponde “Certo! Ogni momento è buono per parlare con il Signore!”.

Questa piccola facezia rende davvero evidente la forza e la portata del saper porre le domande opportune; capacità assolutamente fondamentale sia per il difensore che per il PM impegnati nell’escussione di un teste.

Il testimone, invero viene esaminato da colui che lo cita e controesaminato dall’altra parte (ovvero, ad esempio, un testimone dell’accusa viene esaminato dal PM e controesaminato dalla difesa e viceversa).

L’importanza dei testimoni nel processo è di tutta evidenza: essi sono il mezzo attraverso il quale il Giudice – che nulla sa del fatto che è chiamato a giudicare – può ricostruire l’accadimento storico oggetto del processo.

I testimoni, però, hanno la particolarità di poter dare il contributo all’interno del processo solo sollecitati dalle domande di chi li ha citati (ovvero in sede di esame) o della parte avversa (ovvero durante il controesame).

Quindi, posto che essi forniscono la rappresentazione della realtà al Giudice solo se stimolati dalle parti, è ovvio che i difensori devono sapere ottenere dai testi le risposte (ovvero la ricostruzione dei fatti) che intendono far apprezzare a chi i fatti li deve giudicare (ovvero il Giudice).

L’esame ed il contro esame hanno però una differenza fondamentale: quando le domande sono poste da colui che ha citato il teste, le domande non potranno suggerire la risposta.

Ad esempio in sede di esame non si potrà chiedere: era rosso il SUV dei rapinatori? poichè tale domanda implica già in sè la risposta ovvero che i rapinatori erano giunti a bordo di un SUV e che lo stesso era rosso.

La domanda consentita in sede di esame sarà: con quale mezzo sono giunti i rapinatori? Si ricdorda di che colore era?

Questo per evitare che colui che ha scelto il testimone e lo ha citato possa influenzarlo a suo piacimento.

Diverso il caso del controesame.

La Legge permette a colui che non ha citato il teste e non lo ha scelto e se lo trova, in pratica, al processo quale elemento a scapito della propria tesi, permette, dicevamo, di porre delle domande al testimone avverso c.d. suggestive ovvero anche pesantemente influenzanti; ovvero che suggeriscano la risposta dal momento che  – questo lo spirito della legge – se il testimone ha riferito il vero in maniera sicura, non potrà che resistere alle insidie delle domande suggestive.

Proprio il “duello” in sede di esame e controesame permetterà al giudice di vagliare la credibilità del teste, la sua sicurezza e, in generale, la bontà del bagaglio conoscitivo che lo stesso può portare nel processo.

Naturalmente sono vietate dalla legge tutte quelle domande e quell’atteggiamento che lede la dignita del testimone stesso.

In particolare il controesame ha una importanza fondamentale poichè strumento dialettico potentissimo per evidenziare tutte le incertezze, le lacune, le insicurezze, le ragioni di poca affidabilità del testimone (naturalmente il più delle volte dovuta a semplici errori del teste e non a cattiva fede).

L’interevnto va preparato in maniera attentissima poichè una domanda sbagliata può segnare un autogol gravissimo per la propria tesi.

Bisogna sapersi controllare e vagliare ogni eventualità come se si trattasse….di un intervento chirurgico.

Ecco infatti un altro aneddoto:

Viene contresaminato il tesimone di un aggressione perpetrata di notte con un morso ad un orecchio della vittima.

AVVOCATO: Vedo che lei porta gli occhiali. Quante diotrie le mancano?

TESTE: Vedo davvero poco bene. Ora non ricordo con precisione. Ma diverse.

AVVOCATO: Era notte vero?

TESTE: Si.

AVVOCATO: C’era poca luce vero?

TESTE: Si.

AVVOCATO: Lei era distante quasi cento metri dai due litiganti.

TESTE: Si.

AVVOCATO: Si era appena svegliato?

TESTE: Si.

AVVOCATO: Lei ha seguito la scena dal terzo piano ove abita?

TESTE: Si.

AVVOCATO: nella via dove abita c’è solo un lampione.

TESTE: Si.

….

AVVOCATO: Allora – mi scusi – visto che lei ci vede poco, ha visto la scena di notte, da oltre centro metri di distanza, in una via con un solo lampione…ma come fa ad essere sicuro che il mio cliente ha morso l’orecchio della vittima??

TESTE: Bè – avvocato – gliel’ho visto sputare subito dopo…

Forse il Collega avrebbe dovuto fermarsi alla penultima domanda…

In ogni caso – al di là delle barzellette – l’audizione dei testi (sia in esame che in controesame) è una fase fondamentale del processo.

Anzi E’ il processo.

Purtroppo – a differenza della prassi anglosassone – nella pratica forense italiana solo ultimamente si è compresa la reale centralità di quello che è un vero e proprio strumento difensivo (ed anche accusatorio); probabilmente influenzati dalla prassi del vecchio codice di procedura che prevedeva le domande rivolte solo dal Giudice  e le parti maggiormente impegnate negli interventi finali (arringa e requisitoria).

 

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