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Spesso si sente parlare di estradizione che altro non è che un meccanismo di cooperazione internazionale che si sviluppa in un procedimento che coinvolge più Stati sovrani – e, quindi, detentori del potere coercitivo ovvero di punire chi abbia commesso un fatto qualificato come reato –.

Attraverso questo meccanismo uno Stato consegna ad altro Stato un soggetto che si trova nel suo territorio affinché questo possa essere sottoposto a giudizio (estradizione processuale) o all’esecuzione di una pena già comminata in modo irrevocabile (estradizione esecutiva) nello Stato che chiede l’estradizione.

L’istituto è previsto anche dalla Costituzione italiana ed è disciplinato compiutamente dalla legge penale processuale italiana e dalle convenzioni internazionali.

In generale, l’estradizione è condizionata al requisito della c.d. doppia incriminazione: significa che il fatto oggetto del procedimento penale per cui si domanda l’estradizione deve essere previsto come reato sia dalla legge penale italiana che da quella straniera.

Non è rilevante, invece, che il fatto abbia una qualificazione giuridica diversa nei due ordinamenti o che la condotta-reato sia descritto con presupposti e condizioni diverse o punito in modo differente: ciò che rileva è che il fatto – nella sua dimensione naturalistica e/o normativa – sia punito sia in un ordinamento che nell’altro, con sanzioni penali (in altre parole, occorre che la commissione di quel fatto sia previsto come reato, anche se il “tipo” di reato o la “pena” non siano coincidenti).

L’estradizione è attiva (o dall’estero) quando è lo Stato italiano che la richiede oppure passiva (o per l’estero) quando lo Stato italiano la concede ad altro Stato estero richiedente.

Nell’estradizione attiva, l’iniziativa è di competenza del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello dove è stata pronunciata la condanna o dove si procede per il reato. Il Procuratore Generale presenta una domanda, completa di atti e documenti che la sorreggono, al Ministero della giustizia, affinchè questo formuli richiesta di estradizione alle autorità straniere competenti dove il soggetto da estradare si trova.

Nell’estradizione passiva, ricevuta domanda dallo Stato estero, la decisione finale spetta al Ministero della giustizia italiano previa deliberazione favorevole della Corte d’Appello del luogo dove l’imputato o condannato ha la residenza, dimora, domicilio o dove si trova fisicamente nel momento della domanda (in mancanza di certezze, è competente la corte d’appello di Roma). Il procedimento si apre con l’invio da parte dello Stato estero richiedente al Ministro della giustizia italiano della domanda di estradizione corredata da ogni documento necessario. Il Ministro può respingere la domanda oppure trasmetterla al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello. In questo secondo caso, il Procuratore generale deve disporre la comparizione dell’estradando, identificarlo e interrogarlo in ordine al suo eventuale consenso all’estradizione. L’estradando deve essere assistito da un difensore. Viene poi fissata un’udienza in camera di consiglio nel corso della quale l’estradando ed il suo difensore hanno obbligo di comparire ed in esito alla quale l’estradizione sarà concessa o meno.

Secondo la legge italiana, lo Stato richiedente l’estradizione deve assumere l’obbligo di non sottoporre l’estradato a restrizione della libertà personale per un fatto anteriore e diverso a quello per il quale è stata concessa l’estradizione. In ogni caso, è fatto divieto di concedere l’estradizione:

per reati politici,

– per motivi di razza, religione o nazionalità,

– e per reati puniti all’estero con la pena di morte.

Inoltre, secondo la legge italiana, non deve essere concessa l’estradizione quando vi è ragione di ritenere che l’imputato o condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona.

Spetta al Ministro della Giustizia la facoltà di richiedere o concedere l’estradizione ma solo in esito al parere favorevole della Corte d’Appello competente che – di fatto – interviene in funzione di controllo per agarntire l’osservanza delle norme poste a garanzia dei diritti del soggetto da estradare.

L’estradizione passiva è, quindi, sempre condizionata dalla sussistenza di una deliberazione dell’autorità giudiziaria (come detto, la Corte di Appello) che deve verificare la sussistenza dei requisiti di legge.

Il Legislatore – ovvero il Parlamento – ha libertà di concludere accordi di estradizione con altri Stati secondo le condizioni che ritiene più conformi agli orientamenti adottati in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere. Ad esempio, il trattato Italia/USA prevede che l’estradizione non sia concessa se, per il reato per cui si procede, l’azione penale o l’esecuzione della pena già inflitta siano prescritte per decorso del tempo secondo le leggi dello Stato richiedente (e non di entrambi gli Stati coinvolti). Così, ad esempio, l’Italia non potrebbe chiedere l’estradizione di un soggetto se – in Italia – il reato (o la pena) si fossero prescritti. Al contrario, se l’estradizione fosse richiesta dagli USA e non fosse ancora colà maturata la prescrizione, l’Italia dovrebbe concedere l’estradizione (altrimenti il colpevole potrebbe rifugiarsi nello Stato ove vi sia un termine di prescrizione più breve!).

Ma cosa succede se per lo stesso fatto-reato l’autore viene processato sia in Italia che in un altro Paese? Poniamo ad esempio, il reato di tratta di persone a scopo sessuale che, per esempio, in Albania è denominato “tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale” e in Italia “induzione e sfruttamento della prostituzione”. Se i fatti di cui alla prima condanna – ad esempio, pronunciata in Albania – sono identici a quelli oggetto della sentenza di condanna pronunciata dal Giudice italiano, risulterebbe violato il principio – comune alla gran parte degli ordinamenti giuridici – che vieta a un giudice (inteso come organo e non come persona) di giudicare la stessa perona due (o più) volte lo stesso fatto (è il c.d. divieto di bis in idem)

Si tratta di un principio – che vieta la ripetizione di processi a carico della stessa persona per gli stessi fatti – vigente sia all’interno di un medesimo ordinamento giuridico che tra ordinamenti giuridici ovvero nei rapporti internazionali.

Sarebbe dunque violato il principio in questione – inteso sotto il profilo internazionale – se sul soggetto gravasse (e si potesse eseguire) una doppia condanna per lo stesso fatto comminata da due Stati differenti.

In casi di questo genere, l’estradizione non è concessa quando l’individuo che si vuole estradare sia stato definitivamente giudicato dalle autorità competenti dello Stato a cui è chiesta l’estradizione, qualora tale giudizio abbia ad oggetto quegli stessi fatti che motivano la richiesta di estradizione da parte dell’altro paese.

Nel panorama internazionale è dominante l’interpretazione più favorevole all’individuo che consiste nel fare valutazioni che vanno oltre le differenti espressioni linguistiche utilizzate per valorizzare, al contrario, l’identità dei fatti materiali e non la “denominazione legale” data dai rispettivi ordinamenti giuridici coinvolti.

Tornando al procedimento in analisi, se l’estradizione è concessa, l’estradato deve essere consegnato.

Spetta al Ministro della Giustizia decidere se consegnare o meno la persona richiesta entro un termine di 45 giorni decorso il quale senza che sia assunta una decisione, l’interessato riacquista la libertà, eventualmente limitata con custodia cautelare in carcere. La consegna è preceduta da una comunicazione del Ministero all’autorità straniera circa l’accoglimento della domanda, il luogo e la data a partire dalla quale è possibile la “consegna” del soggetto. Se lo Stato che ha chiesto l’estradizione non provvede a prendere in consegna l’estradato nel termine di 15 giorni, il provvedimento cessa di avere valore.

Contro la decisione della Corte d’Appello italiana (che, abbiamo visto, è l’Autorità Giurisdizionale che di fatto delibera la concessione o meno dell’estradizione poi comunicata dal Ministero) è ammesso ricorso per Cassazione. Legittimati a proporre ricorso sono l’estradando, il difensore, il pubblico ministero e il rappresentante dello Stato estero. La Cassazione può pronunciarsi anche nel merito (ovvero non limitarsi a rilevare errori di diritto), può assumere informazioni e compiere le indagini ritenute necessarie in relazione ai motivi di ricorso e ai fini della sua decisione.

Una forma speciale di estradizione è quella prevista con il mandato di arresto europeo (c.d. MAE), uno strumento che consente di semplificare la procedura e favorire la cooperazione. Si tratta di un meccanismo introdotto all’interno dell’area europea e valido per gli Stati membri.

La consegna allo Stato estero, in tali casi, avviene direttamente sulla base di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria, senza il complesso procedimento sopra sommariamente descritto.

La consegna è consentita soltanto sulla base di una richiesta alla quale sia allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta.

Un esempio può forse meglio chiarire: poniamo che la Procura di Monaco di Baviera emetta mandato di arresto europeo a carico di un soggetto, poi rintracciato – e quindi, arrestato – in Italia. La Corte d’Appello competente per territorio dovrà convalidare l’arresto e disporre la misura coercitiva della custodia cautelare del caso. In seguito, la Corte italiana, verificando in camera di consiglio che non vi siano condizioni ostative all’esecuzione del mandato di arresto, deve consegnare l’indagato all’autorità straniera che ha emesso il mandato. In questa attività di verifica, l’autorità italiana deve limitarsi ad accertare che il mandato sia fondato su materiale probatorio seriamente configurante il fatto-reato commesso dalla persona di cui si domanda la consegna.

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