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Il testimone – l’ho già osservato in altre trattazioni del sito – è sicuramente lo “strumento” più importante del processo penale.
E’ il mezzo attraverso il quale le parti (difesa e accusa ed eventuale parte civile) possono ricostruire per il giudice l’accadimento dei fatti.
L’importanza del testimone nel processo penale è il prodotto diretto del nostro processo a carattere accusatorio ove il Giudice è terzo rispetto alle parti e giudica alla luce della ricostruzione dei fatti ad esso rappresentata dalle parti stesse (a differenza, quindi, del processo inquisitorio ove il Giudice è informato già prima del processo degli elementi a carico dell’imputato).
Ogni cittadino può essere citato quale testimone in un processo penale e nel momento in cui il Giudice autorizza le parti alla citazione, il chiamato ha il dovere giuridico e morale di presentarsi per rendere la sua testimonianza e di riferire solo ed esclusivamente il vero.
Fondamentale – e ovvio – connesso dovere del testimone è quello di riferire solo il vero ovvero quello di cui è a conoscenza senza nascondere nulla (…consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la deposizione mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza… recita il “giuramento” che il testimone dovrà leggere rendere (leggendo) avanti al Giudice prima di iniziare la sua deposizione).

Tale dovere è naturalmente cogente e deve essere rispettato qualsiasi sia la parte che ha citato il teste; egli, invero, non è tenuto in alcun modo a “soddisfare” le aspettative della parte che lo ha citato ma si deve limitare a rispondere alle domande delle pari e del Giudice riferendo, appunto, la verità.
Nel caso in cui vi siano elementi per sospettare che il teste stia mentendo, lo stesso potrà essere indagato per falsa testimonianza, per calunnia e/o favoreggiamento. In nessun caso, tuttavia, è possibile procedere all’arresto del testimone nel corso della sua deposizione (tale regola è stata introdotta nel nostro codice di procedura penale onde evitare che la minaccia di arresto in udienza potesse rappresentare una pressione a che il testimone si allineasse alla poszione…..di colui che aveva il potere di arrestarlo “seduta stante”!).
Se citato, tramite un atto che si chiama “citazione testi” (che viene effettuata da parte dei difensori con raccomandata e da parte del Pubblico Ministero tramite ufficiale giudiziario), il testimone, dunque, ha l’obbligo di presentarsi (all’ora, nel giorno e nel luogo indicati nella citazione) avanti al Giudice e di dire la verità.

Se non si presenta senza addurre e documentare un impedimento legittimo (ad esempio di salute), è sanzionato penalmente (con uan pena pecuniaria) e può essere costretto a comparire al processo accompagnato dalle Forze dell’Ordine (è il Giudice che dispone il c.d. accompagnamento coattivo) e condannato, come deto, al pagamento di una somma da euro cinquantuno ad euro cinquecentosedici, nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa.
Anche l’infermo di mente e il minore sono astrattamente titolari della capacità di testimoniare. È evidente che, in tali casi, spetterà al Giudice valutare con maggiore attenzione la credibilità del dichiarante e l’attendibilità della dichiarazione. È permesso al giudice di verificare l’idoneità fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre ordinando gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge (perizia o esperimento giudiziale, ad esempio).

Il codice di procedura penale – con una eccezione rispetto alla regola generale per cui tutti i cittadini sono titolari della capacità di testimoniare – prevede diverse situazioni in cui vi è incompatibilità a testimoniare rispetto ad un determinato procedimento penale.

È il caso del soggetto capace in generale di deporre ma che non è legittimato a svolgere la funzione testimoniale in uno specifico procedimento penale perché in quel procedimento assume una posizione particolare oppure alla luce delle particolari funzioni dallo stesso rivestite (e sempre connesse ai fatti di quel specifico procedimento penale e, invero, non esiste alcuna norma che -in generale – prevede che un determinato soggetto non possa rivestire la qualifica di testimone):

I soggetti che non possono ricoprire il ruolo di testimone in un dato processo sono:

• Naturalmente l’imputato non può essere chiamato quale teste e lo stesso potrà essere esaminato dalle parti ma non “giurerà” e non avrà l’obbligo di dire la verità. Il nostro ordinamento ha fatto una scelta molto pragmatica e bilanciata: qualsiasi uomo se chiamato a testimoniare su una propria condotta sarebbe incline a riferire fatti a sé (perlomeno) non smaccatamente e pesantemente pregiudizievoli e, quindi, la minaccia di una sanzione penale non sarebbe idonea ad evitare il mendacio del teste/imputato (probabilmente – a giudizio di chi scrive – onde evitare che le parole dell’imputato siano spesso giudicate nei nostri tribunali frutto della menzogna si potrebbe ipotizzare una scelta come quella della tradizione nord americana: l’imputato può scegliere se essere chiamato a testimoniare o meno. Se decide affermativamente avrà il dovere come tutti di dire la verità. In ogni caso sarà libero di non rivestire i panni del teste);
• Vi sono poi soggetti che, a vario titolo, sono parti nel procedimento penale e la disposizione che li rende incompatibili con l’ufficio di testimone mira essenzialmente ad evitare che si trovino costretti da una sanzione penale a riferire circostanze effettivamente verificatesi ma che rischiano di compromettere la loro posizione. Si tratta ad esempio del caso dei coimputati nel medesimo procedimento penale o quelli imputati in un procedimento penale connesso (salvo che sia già stata emessa nei loro confronti una sentenza irrevocabile);
• Non possono essere chiamati a testimoniare (e quindi non avranno l’obbligo di dire la verità) il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria ovvero quei soggetti che per la loro posizione sono chiamati a farsi carico delle conseguenze economiche del commesso reato;
• Ragioni di opportunità e di terzietà ispirano invece la regola che sancisce l’incompatibilità con l’ufficio testimoniale di quei soggetti che hanno svolto nel medesimo procedimento le funzioni di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario (cancelliere, segretario con funzioni “serventi” rispetto al compimento di atti dell’autorità giudiziaria, es. redigere verbali). Incompatibile è anche il difensore -precedente rispetto a quello che assiste il soggetto nel corso del processo penale ovviamente – che abbia svolto attività di investigazione difensiva.

Fuori dai casi previsti dalla legge, che vedremo tra poco, il testimone che rifiuti di deporre (e che, quindi, compia una condotta differente dal mendacio) è avvertito dell’obbligo a suo carico di dire la verità, con la conseguenza che se il rifiuto persiste, il Giudice disporrà l’immediata trasmissione degli atti al Pubblico Ministero (ovvero agli uffici della Procura della Repubblica) perché si proceda a norma di legge (in sostanza, la Procura aprirà un fascicolo, contenente il verbale d’udienza, e darà avvio alle indagini preliminari per accertare se sussiste il reato di falsa testimonianza nella forma della reticenza. In ogni caso, è vietato arrestare in udienza il testimone per reati concernenti il contenuto della deposizione sia nel caso di testimonianza falsa che reticente).

La facoltà di astensione del prossimo congiunto dell’imputato.

I prossimi congiunti dell’imputato non sono obbligati ad assumere l’ufficio di testimone. La legge prevede questa eccezione in virtù del fatto che il teste potrebbe trovarsi nell’ insuperabile e difficilissima situazione di dover scegliere tra il dover dire la verità o nuocere al proprio congiunto.
Quindi, il teste – una volta citato – verrà avvertito della possibilità di astenersi e potrà scegliere se rendere la testimonianza e dire il vero oppure evitare del tutto di testimoniare.
I prossimi congiunti dell’imputato hanno, invece, l’obbligo di testimoniare senza possibilità di astenersi quando abbiano presentato denuncia, querela o istanza (e, quindi, abbiano loro “attivato” il procedimento penale in danno del proprio congiunto) ovvero quando essi stessi o un loro prossimo congiunto siano persona offesa dal reato per cui si procede.
È il giudice che avverte queste persone della facoltà di astenersi dal deporre.
Per legge i “prossimi congiunti” sono gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli e le sorelle, gli affini (se il coniuge è vivo o vi sia comunque prole), gli zii e i nipoti. La facoltà di astensione è stata estesa anche a favore di colui che è legato all’imputato da vincoli di adozione, e nei confronti di chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso, nei confronti del coniuge separato dell’imputato e della persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l’imputato. In questi ultimi tre casi, la facoltà di astensione è limitata a quei fatti che si siano verificati o appresi dall’imputato durante la convivenza coniugale.

Bisogna precisare che la persona offesa da reato può sempre ricoprire la veste di testimone sebbene, evidentemente, essendo “parte in causa” potrebbe essere animato da una sentimento più forte di rivalsa nei confronti dell’imputato e desideri la sua punizione in misura anche ulteriore rispetto al “semplice” accertamnento dell verità.

Sul punto bisogna anche precisare che per Legge e per la Giurisprudenza più autorevole e costante (ovvero alla luce delle decisioni dei Giudici di ragngo superiore come la Corte di cassazione) anche solo la testimonianza della persona offesa può essere LA PROVA sulla quale fondare la condanna dell’imputato.

nel procedimento penale non vale sostanzialmente la rassicurante massima (per gli imputati) “….è la mia parola contro la sua….” poichè il Giudice potrà liberamente valutare il contenuto ed il tenore della testimoninza della persona offesa ritenendola più credibile di quella dell’imputato.

Naturalmente, la persona offesa/teste ha il dovere di riferire il vero e se non lo farà ne patirà le conseguenze penali come qualsiasi altro teste e, inoltre, la sua deposizione dovrà essere attentamente valutata dal Giudice (con maggiore cura, quindi, rispetto a quella di un teste “neutro”) preso atto della sua delicata poszione preso atto del suo confliggente interesse di parte lesa.

Il testimone – in generale – è titolare di un diritto che è quello del divieto di autoincriminazione e, infatti, il teste smette di essere tale (e, quindi, di avere il dovere di rispondere e di rispondere il vero) quando nel corso della sua testimonianza emergono fatti che possono costituire fonte di responsabilità penale per sé medesimo.
In tale caso la testimonianza dovrà essere interrottà (su disposizione del Giudice) ed il teste avvertito della circostanza con possibilità di avvalersi della facoltà (non l’obbligo) di non rispondere alle domande postegli dalle parti (e dal Giudice medesimo).
Anche il teste nel corso della testimonianza può chiarire che non intende rispondere dal momento che potrebbe derivarne una autoincriminazione e sarà il Giudice a vagliare la fondatezza di tale evenienza.
Il diritto alla propria tutela dall’autoincriminazione sussiste solo nel caso di responsabilità penale e non, quindi, qualora dalla testimonianza derivino (o passano derivare) al teste problematiche di ordine amministrativo e di diritto civile.
Come detto, potrà essere il Giudice o il teste stesso ad invocare il diritto a non rispondere onde evitare l’autoincriminazione e sarà sempre il Giudice a disporre o meno in tal senso. Se successivamente alla deposizione (ed a fronte di un rigetto del Giudice al diritto al silenzio invocato dal teste) è riconosciuta la sussistenza del diritto al silenzio (negato) del teste, la prova testimoniale resa non potrà essere utilizzata.
In relazione alle dichiarazioni già rese dal teste prodromiche all’avvertimento del Giudice o alla dichiarazione del teste stesso di non voler proseguire la testimonianza per non correre il rischio di autoincriminazione, è prevista la non utilizzabilità nei confronti del teste al quale è riconosciuto il diritto di cui si tratta (inutilizzabilità relativa).
Se, in ogni caso, il dichiarante decide di rispondere alle domande, non avvalendosi del privilegio, trova applicazione la disciplina delle dichiarazioni autoindizianti.

Vi sono poi soggetti – tassativamente indicati dalla legge detti professionisti qualificati – che hanno il potere-dovere di non rispondere a determinate domande nei casi in cui la risposta comporti una violazione dell’obbligo del segreto professionale.

Si tratta di quei soggetti che rivestono determinate qualifiche di tipo privatistico: ministri di culto, avvocati, investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici, notai, medici, farmacisti, ostetriche e in generale le persone esercenti professioni sanitarie, nonché, in virtù di estensioni operate da leggi successive, consulenti del lavoro, dipendenti che si occupano del recupero dei tossicodipendenti, dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali, assistenti sociali iscritti all’albo professionale.

“Segreto” è una notizia che non deve essere portata a conoscenza altrui.

Se il privato, al fine di tutelare i propri interessi si rivolge (e, spesso, è obbligato a rivolgersi) a determinate categorie di professionisti dotate di specifiche competenze (essendo spesso anche costretto a rivelare notizie riservate per la sua migliore assistenza), il diritto di riservatezza si estende a questi soggetti che, dunque, non possono essere obbligati a infrangere quel segreto derivante dalla specifica loro professione e dal contesto con cui sono venute a conoscenza del fatto.
Naturalmente, la conoscenza del fatto su cui il professionista si deve rifiutare di rispondere, deve essere stata appresa dal teste “per ragione del proprio ministero, ufficio o professione”; se la conoscenza del fatto è propria del professionista quale semplice cittadino (ad esempio avvocato che assiste al compimento di un crimine avvenuto per la strada), egli non potrà certo rifiutarsi di rispondere alle domande.

Un limite però è quello che non consente al professionista di opporre il segreto nel caso in cui lo stesso abbia un obbligo giuridico di riferire quel determinato fatto all’autorità giudiziaria: è il caso, ad esempio, del medico che ha l’obbligo di referto, limitatamente al reato che dovesse emergere dall’accertamento sanitario.

Si diceva potere-dovere di non rispondere. E, infatti, la rivelazione effettuata senza giusta causa è punita deontologicamente ed anche penalmente quando possa nuocere alla persona che si è rivolta al professionista. In sostanza, il segreto professionale prevale sull’interesse all’accertamento dei reati quando si tratti di situazioni che coinvolgono interessi costituzionali, quali, appunto, l’interesse a professare liberamente il proprio credo religioso, quello a difendersi in ogni tipo di processo, quello alla salute.

Riguardo alle modalità con cui si svolge l’assunzione della prova testimoniale, mai possono essere utilizzati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti (e questo vale anche per coloro che sono chiamati in fase di indagini quale persone informate sui fatti e devono riferire alla Polizia Giudiziaria). Un esempio di metodo che influisce sulla libertà di autodeterminazione è la tortura, che incide sulla facoltà di reagire liberamente agli stimoli (si pensi alla tortura fisica dell’Inquisizione ma anche ad “interrogatori” della Polizia Giudiziaria protratti per ore e ore quando la persona chiamata è in uno stato di paura, stress e stanchezza). Tra gli strumenti che tengono ad alterare la capacità di ricordare i fatti si pensi alla narcoanalisi e all’ipnosi. Metodo idoneo ad alterare la capacità di valutare i fatti è ad esempio la c.d. macchina della verità.

Il divieto di utilizzo di tali metodi o tecniche non viene meno neppure con il consenso della persona che rende la prova dichiarativa.

La scelta operata dal Legislatore è stata quella di poter controllare la credibilità di colui che rende la dichiarazione e l’attendibilità della narrazione.

Se la prova è assunta in spregio a tale divieto, l’atto è invalido e non potrà essere utilizzato nel processo.

Collocando nel tempo e nello spazio l’attività del testimone nel lungo periodo che interessa un procedimento penale, si precisa che il testimone rende la propria dichiarazione in quella fase del processo chiamata dibattimento (le eventuali dichiarazioni rese durante la fase delle indagini preliminari alla Polizia Giudiziaria, dalla persona che è più propriamente chiamata “persona informata dei fatti”, si chiamano sommarie informazioni testimoniali, in breve s.i.t. e, come detto, per le stesse vale il principio che la persona sentita non può essere in nessun modo sottoposta a pressioni anche solo psicologiche).

Solo in dibattimento, quindi, il dichiarante assume la veste di testimone.

Il testimone è interrogato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Le domande – rivolte al testimone dal difensore dell’imputato, da quello della parte civile e del responsabile civile, laddove esistenti, e dal pubblico ministero – devono essere pertinenti, cioè riguardare sia i fatti a cui si riferisce il capo di imputazione (cioè l’accusa che viene mossa all’imputato), sia ai fatti dai quali dipende l’applicazione delle norme processuali. Le domande, poi, devono avere ad oggetto fatti determinati e non già valutazioni e/o punti di vista.
Il testimone può essere interrogato circa i rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni nonché in ordine alle circostanze necessarie ad accertare la credibilità delle parti e dei testimoni.
In esito alla sua testimonianza il teste:
• Potrà ottenere dal Tribunale una giustificazione lavorativa dal momento che la testimonianza è obbligatoria per legge;
• Potrà documentare e farsi rimborsare le spese sostenute per il viaggio e la trasferta.

Durante l’udienza i testimoni attenderanno all’esterno dell’aula e non potranno assistere alle testimoninaze di coloro che li precedono nè potranno dagli stessi avere immediata conoscenza delle domande formulate e delle risposte date (questo per mantenere integro e senza influenze estreno il bagaglio di conoscenza del singolo teste).

In aula, il teste, dovrà accomodarsi nella postazione ai lui riservata e, solitamente, siederà nello spazio compreso tra i banchi delle parti e lo scranno del Giudice di profilio rispetto sia al Giudice che agli avvocati e Pubblico Ministero. Dovrà recitare il “giuramento” prima di sedersi e parlare nell’apposito microfono dal momento che ogni singola parola in aula verrà registrata e poi trascritta. Avrà cura di essere provvisto di un documento di identità per la sua identificazione. Rivolgerà lo sguardo a chi pone la domanda e risponderà guardando il Giudice. In caso di opposzione alla domanda formulata dalle parti attenderà che il Giudice immediatamente disponga in merito all’eccezione avanzata. Eventualmente potrà consultare scritti di suo pugno. Al termine della deposizione chiederà al Giudice se si può allontanare o se è previsto che venga nuovamente chiamato nel corso dell’udienza.

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