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analisi forense del profilo genetico

Cominciamo a trattare con la pubblicazione di questo articolo un aspetto fondamentale del “moderno” procedimento penale (intendendo con questo termine sia la fase delle indagini preliminari che quello successivo del merito nei tre gradi di giudizio).
Mi riferisco al repertamento, all’analisi, alla conservazione ed all’utilizzo forense del DNA che dal 1980 ha iniziato a prendere sempre più piede nelle nostre aule di Giustizia.
L’importanza del dato probatorio in questione è davvero nota a tutti: numerosissimi sono i procedimenti penali (e non solo per fatti di sangue) che poggiano le loro sorti proprio sull’esame del Dna (tanto dei sospettati, che delle vittime che di terzi coinvolti nella vicenda); ed ugualmente in crescita sono i c.d. “cold case” risolti proprio grazie alla moderna (ri)analisi dei reperti biologici.
Senza tralasciare la fondamentale importanza dell’esame genetico per l’identificazione delle vittime nei casi di disastri di massa (naturali e non) e l’identificazione nel caso di ritrovamento di resti umani più o meno datati.
Peraltro, con il passare degli anni le tecniche di raccolta ed analisi delle tracce biologiche sulla scena del crimine si sono evolute ed aggiornate garantendo un grado di accuratezza e, quindi, di affidabilità sempre maggiori (a volte, erroneamente valutata dal Giudicante come accade in generale per la prova scientifica alla quale il Giudice si affida fideisticamente anche a scapito di altri elementi indiziari di segno opposto).

Proprio per questa (nota) centralità dell’esame del DNA nel processo penale, cominciamo con il presente articolo la pubblicazione di una serie di interventi di autori diversi comparsi sul numero di novembre 2016 della rivista “Polizia moderna” mensile ufficiale della Polizia di Stato (si riporterà fedelmente il testo pubblicato sulla rivista).
Si tratta di una serie di scritti di pugno di diversi soggetti esperti a vario titolo del delicatissimo tema dell’analisi genetica quale strumento per l’accertamento della responsabilità penale dell’accusato.
La trattazione è viepiù interessante in questa sede poiché permette di valutare l’approccio e le modalità adottati dagli investigatori e dai loro consulenti nell’esame della traccia biologica in seno al procedimento penale.
Il dato concreto che si evince dalla lettura dell’articolo della Dott.ssa La Rosa – qui pubblicato e commentato – è che si rilevano ancora oggi (proprio dagli investigatori e da coloro che collaborano con coloro che effettuano le indagini preliminari) alcune criticità tipiche dell’esame del Dna:

Il pericolo della contaminazione nella fase di repertamento, conservazione ed analisi dei reperti genetici;
La difficoltà dell’interpretazione del risultato dell’analisi dipendente (anche) ma non solo dalla sempre maggiore specificità ed accuratezza dell’analisi del materiale genetico che moltiplica a dismisura i dati da analizzare;
– Il dato per il quale l’esame della traccia biologia dà unicamente la certezza di un contatto tra il soggetto il cui Dna viene campionato ed il luogo/persona ove viene reperita la traccia analizzata con la conseguenza intuibile per la quale alla luce del “freddo” dato scientifico (l’esame e la comparazione forense del Dna, appunto) non è possibile sapere le motivazioni e la dinamica del contatto alla luce del solo esame genetico;
La fallibilità della comparazione che avviene comunque ad opera dell’analista.

Riportiamo in forma integrale l’interessante e completo articolo della Dottoressa La Rosa (il neretto è del sottoscritto commentatore)

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Dna al servizio delle indagini.
Di Alessandra La Rosa.
Direttore tecnico capo biologo
Sezione genetica forense – Servizio di Polizia scientifica.

1. IL RUOLO DEL DNA.
Dalla pubblicazione dell’articolo “L’impiego forense dell’impronta genetica” pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature da Alec Jeffreys, Peter Gill e David Werret a metà degli anni 1980, il teste del DNA ha giocato un ruolo sempre più importante nell’ambito della giustizia penale contribuendo in maniera determinante sia alla condanna dei colpevoli di un delitto sia quale test di certezza nell’escludere persone innocenti che erano capitate, a vario titolo, nell’indagine penale. Un altro importante ambito di applicazione del test del Dna è l’identificazione dei resti cadaverici relativi a persone scomparse o alle vittime di disastri di massa (ad esempio lo Tsunami che sconvolse il sud est asiatico nel 2004 e gli attacchi terroristici di Sharm el Sheikh del 2005). Il riconoscimento è reso possibile poiché vengono effettuati collegamenti genetici tra i campioni di riferimento dei parenti delle vittime ed i resti cadaverici recuperati dalla zona dell’accaduto. Le nuove tecnologie applicate regolarmente a questo nuovo settore portano sempre più ad esaltare le capacità tecniche dei laboratori di genetica forense per ottenere profili del Dna anche a partire da sempre più piccole quantità di Dna, si tende inoltre ad avere sempre più informazioni che pongono quesiti sempre più critici sulla loro utilizzabilità piena nell’ambito delle aule di Giustizia. I laboratori forensi in questi ultimi anni hanno esaltato l’automazione dei processi per l’estrazione e la preparazione del campione, così come l’ausilio al genetista forense per l’interpretazione di un sempre più grande quantitativo di dati, al fine di soddisfare le crescenti richieste sui reperti biologici acquisiti sulla scena del crimine, che provengono dalla magistratura e dagli investigatori. Tecnicamente la tipizzazione del Dna continua ad essere focalizzata principalmente su dei marcatori del Dna denominati STR (Short tandem repeat o micro satelliti), anche se altri marcatori genetici come quelli specifici del cromosoma Y o Y-STR o altri ancora vengono utilizzati per specifiche applicazioni.

2. LE POTENZIALITA’ DELLE ANALISI DEL DNA NELLE INDAGINI DI POLIZIA GIUDIZIARIA.
L’analisi del Dna offre possibilità che non si ritrovano nella maggior parte delle scienze forensi. Quando c’è il trasferimento di materiale biologico tra l’autore e la vittima in crimini violenti, come l’omicidio e lo stupro, il Dna recuperato dalla scienza del crimine ha il potere di identificare potenzialmente il colpevole del reato. Infatti in questi casi, dal momento in cui dalla traccia di sangue o dal liquido seminale si riesce, con le analisi di laboratorio, ad estrarre un profilo del Dna e, successivamente, con le indagini la polizia giudiziaria, ad identificare il possibile autore, il match positivo tra il Dna rinvenuto sulla scena del crimine e il Dna del soggetto, è un indizio che colloca sicuramente il soggetto sulla scienza del crimine e quindi, contribuisce a rendere più chiaro il quadro indiziario al Magistrato.

3. L’AFFIDABILITA’ DEL TEST DEL DNA.
In teoria, quando il teste del Dna viene effettuato su un numero di marcatori generici (i punti del Dna simili ai punti analizzati sull’impronta digitale per identificare una persona) sufficienti, è possibile, con strumenti statistici, dare un peso a quanto quel profilo del Dna osservato sulla scienza del crimine, sia più o meno frequente e, con una certezza statisticamente significativa, sia il Dna del soggetto confrontato, fatto salvo il caso di gemelli identici, che però è bene ricordare avere impronte digitali differenti (anche se ora con le recenti tecniche persino i gemelli identici possono essere geneticamente distinti). L’uso dei marcatori genetici utilizzati nelle analisi di genetica forense venendo ereditati indipendentemente tra loro consente l’applicazione delle regola del prodotto delle frequenze genetiche dei singoli marcatori, così come osservati nella popolazione di riferimento, e quindi la rarità statistica dei risultati di ogni marcatore può essere combinata su più marcatori genetici. Da qui si può stabilire quanto sia frequente quel profilo del Dna osservato nella popolazione di riferimento. Questo può essere espresso in termini quantitativi che possono arrivare a valori che indicano un profilo del Dna molto raro (una persona su migliaia di miliardi o più raro) proprio grazie alla natura moltiplicativa dei risultati provenienti da multi-marcatori indipendenti. Alla base di questi calcoli vi è un principio noto come la legge del matematico inglese G. H. Hardy e del fisico tedesco W. Weinberg. Tuttavia, l’interpretazione di miscele di profili del Dna che producono risultati compatibili, a volte può essere soggettiva e incoerente tra esperti del settore soprattutto se si confrontano protocolli di laboratorio con caratteristiche tecniche diverse dovute alla diversa tecnologia applicata sul reperto in questione.

4. L’INTERPRETAZIONE DEL RISULTATO DELL’ANALISI DEL DNA.
L’interpretazione di un risultato di un profilo del Dna tipizzato in laboratorio di genetica forense comporta a posteriori un confronto tra il profilo del Dna estrapolato dai reperti biologici acquisiti sulla scena del crimine con i profili del Dna di soggetti indagati o indiziati. Questo confronto dipende dalla qualità dei risultati del Dna ottenuto dalla scena del crimine e dalla disponibilità di campioni biologici di confronto. Quando i campioni biologici di un soggetto sono disponibili il confronto è ABBASTANZA SEMPLICE attraverso l’esame dei due Dna, nel confronto punto per punto si deve osservare una corrispondenza completa e puntuale tra i due Dna posti a confronto. Proprio a confermare che l’origine biologica del reperto e del campione biologico sia la stessa.
Quando non sono disponibili profili di Dna dei soggetti di riferimento da confrontare con il Dna sconosciuto rinvenuto sulla scienza del crimine, ciò che può aiutare l’investigatore sono le banche dati del Dna di riferimento di potenziali soggetti che hanno commesso in precedenza reati in quel Paese. In questo caso il patrimonio informativo conservato nella banca dati, che consiste in tutti i profili del Dna di quei soggetti che la legislazione del Paese consente di sottoporre ad un prelievo biologico per la tipizzazione del suo Dna, sono confrontabili con il Dna ignoto presente sulla sciena del crimine per facilitare l’identificazione dell’autore del reato.
Un’altra importante caratteristica, che fa del Dna una tecnica identificativa superiore a quella delle impronte digitali sta nella natura del suo carattere ereditario, ovvero la metà del profilo del Dna di un individuo viene da sua madre e l’altra metà proviene dal suo padre biologico e, pertanto, anche parenti biologici di primo grado possono essere utlizzati quali punti di riferimento per una identificazione indiretta. In altra parole, esiste la possibilità di andare oltre le informazioni disponibili dal campione di per sé a causa delle sue capacità di trasmissione della caratteristica genetica nella progenie.
Quest’ultima caratteristica è infatti utilizzata per l’identificazione delle persone scomparse e delle vittime di disastri dove la disponibilità di Dna dei familiari è incompleta o non disponibile, mentre sono disponibili i profili del Dna di consanguinei.
Sconvolgente è la sensibilità raggiunta dal test del Dna forense grazie all’amplificazione delle regioni del Dna da anlizzare (marcatori genetici) con la tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR).
Un profilo del Dna può essere ottenuto anche da un singolo capello come nel caso dell’omicidio di Massimo D’Antona, ucciso in via Salaria a Roma nel 1999, caso in cui il servizio di Polizia scientifica della Polizia di Stato applicando tale tecnica da un capello rinvenuto sul sedile del furgone utilizzato dai terroristi riuscì a fornire alla Digos un ulteriore elemento utile all’identificazione di Laura Proietti quale donna del commando responsabile dell’omicidio.

5. DNA E SCIENZA DEL CRIMINE: IL FANTASMA DI HEILBRONN.
Con il apssare degli anni questa straordinaria sensibilità del test del Dna si è ulteriormente amplificata ed in alcuni casi da una benedizione si trasforma in una sorta di maledizione per il genetista forense che deve interpretare i risultati.
Quando vengono utilizzate tecniche ad alta sensibilità, queste permettono di “vedere” tutto, in alcuni casi anche troppo e quindi esiste la possibilità reale di contaminazioni da Dna proveniente da qualcuno che nulla ha a che vedere con l’indagine penale in corso.
E’ noto il caso del fantasma di Heilbronn.
A partire dal 1993, una serie di omicidi interessano più Paesi: Austria, Francia e Germania e convergono su un unico sospettato il cui Dna, lo stesso appartenente ad una donna sconosciutaè stato rinvenuto su reprti biologici reperarti sulla scena dei crimini. Le sue tracce del Dna sono state trovate in almeno 15 scene del crimine nel corso di quindi anni.
Nel 2009 il Dna della donna senza volto venne estrapolato dalla campionatura effettuata sul corpo di un uomo e qualcosa cominciò a non convincere gli investigatori che ben presto arrivarono alla conclusione che non esisteva nessun fantasma di Heilbronn, ma solo partite di cotton fioc utilizzati per il campionamento durante i sopralluoghi, che erano state contaminate durante la fase di produzione in fabbrica, questo tipo di prodotti veniva acquistato e distribuito in diversi paesi europei per essere utilizzato durante i sopralluoghi. Il test del Dna, in questo caso, si era dimostrato fuorviante e l’inquinamento della scienza del crimine assumeva una nuova dimensione mediatica. La soluzione a questo problema è avvenuta in modo strutturale con la definizione di una norma internazionale ad hoc: la ISO 18385:2016 che disciplina i requisiti per minimizzare il rischio di contaminazione da Dna umano nei prodotti per campionare, conservare e analizzare materiale biologico per scopi forensi. Oggi le società fornitrici di materiali per scopi forensi si sono auto imposte il rispetto della norma ISO 18385:2016. Oltre da gire sulla qualità della fornitura dei prodotti utilizzati sia fuori durante i sopralluoghi che nei laboratori delle polizie europee, i laboratori di genetica forense adottano da sempre una serie di misure, come ad esempio l’esame di controlli negativi, tipicamente utilizzati per evitare la contaminazione del Dna e di trarre conclusioni errate.
Misure di garanzia della qualità dei test del Dna in ambito giudiziario sono stati sviluppati nel corso degli anni per promuovere la fiducia nei risultati ottenuti. Ogni laboratorio deve dotarsi di infrastruttura di qualità che gestisce il teste del Dna e probabilmente tale aspetto è più avanzato rispetto ad altre discipline forensi, a causa delle esperienze di organizzazioni come l’European Dna profiling group (EDnap) e la Rete europea degli Istituti di scienze forensi (Enfsi) in Europa e il Federal Boureau of Innvestigation – Dna Advisory Board (DAB) e il gruppo di lavoro scientifico per l’analisi dei Metodi del Dna (SWG-DAM) entrambi negli Stati Uniti.

6. LE SFIDE DEL FUTURO.
Il successo del test del Dna ha portato ad una crescita significativa del suo utilizzo, determinando nuove sfide particolarmente per quanto riguarda l’interpretazione dei dati di vecchi casi. L’automatizzazione del Laboratorio e la revisione dei dati con i sistemi esperti possono facilitare lo smaltimento dell’arretrato così come politiche restrittive sull’accettazione dei casi. In qualche caso, gli investigatori delle forze dell’ordine possono effettuare un numero indiscriminato di tamponi sulla scena del crimine ed inviare numerosi reperti per cercare di risolvere un caso attraverso un hit positivo nella banca dati del Dna piuttosto che pensare attentamente a quali elementi possono essere più probanti.
Le incertezze nell’interpretazione dei dati sono aumentate così come la possibilità di commettere errori in situazioni in cui si analizzano miscele di Dna di tre o più persone, in particolare nei casi di campioni da contatto (touch Dna) che contengono esigui quantitativi di Dna. Solo da pochi anni è possibile lavorare con questi tipi di campioni grazie ad un aumento della sensibilità nelle tecniche di rilevazione del Dna; sensibilità che comporta, però, anche una maggiore responsabilità nell’interpretazione dei dati. Una delle sfide per il futuro sarà quella di rendere congruenti risultati dell’interpretazione del Dna di misture complesse provenienti da più analisti e/o da diversi laboratori forensi.

(Commento ad opera dell’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Articolo redatto dalla Dott.ssa La Rosa e pubblicato sul numero di novembre 2016 del mensile “Polizia Moderna”).

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