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Commentiamo una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. nr, 45011/2016) che affronta l’ipotesi in cui il reato prospettato dalla fattispecie incriminatrice venga commesso a causa della mancata attivazione da parte di chi aveva l’obbligo di agire, ai fini proprio della non verificazione dello stesso.

Il riferimento è all’art. 40 comma 2 c.p., il quale recita: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo“.

La responsabilità ex art. 40 c.p. presuppone, pertanto, la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma violata, dalla quale deriva l’obbligo di attivarsi per la salvaguardia di quel bene giuridico.
La semplice inerzia assume significato di violazione dell’obbligo giuridico di attivarsi per impedire l’evento, e l’esistenza di una relazione causale tra omissione ed evento apre il campo alla responsabilità penale secondo la previsione del citato art. 40 c.p..
Tuttavia, perchè possa aversi responsabilità del garante, occorre che questi si sia rappresentato l’evento nella sua portata illecita e tale rappresentazione può consistere anche nella prospettazione dell’evento come evenienza solo e semplicemente eventuale, ovverosia, il garante può rispondere del reato anche a titolo di dolo eventuale per non aver impedito la commissione di un reato da parte di altri che egli – il garante – non ha voluto ma che si è rappresentato ed ha accettato il rischio che si verificasse.

Il dolo eventuale, infatti, è una peculiare forma di manifestazione del dolo che si caratterizza per il fatto che il risultato lesivo della condotta non è voluto in via diretta come conseguenza della propria azione od omissione, ma viene preveduto dall’agente come una delle sue possibili conseguenze.
Esso si caratterizza per il fatto che l’evento illecito non costituisce l’obiettivo diretto che persegue l’autore dell’azione o dell’omissione, ma, tuttavia, lo stesso viene preveduto come conseguenza altamente prevedibile della condotta posta in essere e, ciononostante, l’agente decida di agire “costi quel che costi”, anche se tale atteggiamento decisivo rischi di provocare un evento-reato.

Sotto il profilo psicologico, pertanto, l’elemento caratterizzante del dolo eventuale è l’accettazione del rischio, intesa come cosciente accettazione della verificazione dell’evento lesivo quale evenienza accessoria ed eventuale (appunto…) al conseguimento dell’obiettivo prefissato.
Questa consapevole accettazione (del rischio, appunto) si avvicina – giuridicamente – ad una vera e propria volizione del fatto, in quanto l’agente è disposto ad accettare il rischio del verificarsi dell’evento che rimane non voluto in senso (psicologico) stretto.
Tuttavia, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento e, quindi, rimproverabile, si configura solo se l’agente prevede chiaramente la concreta e significativa possibilità di verificazione dell’evento e, ciò nonostante, si determina ad agire.

Occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con lo specifico evento che si è verificato nella fattispecie concreta. A tal fine è richiesto al Giudice di cogliere e valutare analiticamente le caratteristiche della fattispecie, le peculiarità del fatto, lo sviluppo della condotta illecita al fine di ricostruire l’iter della condotta dell’agente.
Il Giudice deve valutare in concreto se l’agente ha effettivamente preveduto la possibile verificazione dell’evento lesivo e se, malgrado tale previsione, egli abbia scelto di agire accettando le conseguenze della propria azione.
Mettendo in ordine questi requisiti si avrebbe il dolo eventuale nel caso in cui un soggetto, alla luce delle circostanze concrete, delle proprie conoscenze ed esperienze personali, si rappresenti un evento nella propria mente come concreto (cioè di molto probabile verificazione) e ne accetti il rischio di concretizzazione subordinando deliberatamente quel bene a qualche altro vantaggio/valore/fine personale perseguito con la propria condotta.

Tale schema è applicabile anche ai reati omissivi ovvero quelli per i quali non agire quando si ha l’obbligo di farlo equivale a realizzare l’evento che si aveva il dovere di non far verificare.

Quindi, qualora il soggetto che aveva l’obbligo decida di non agire – non volendo che l’evento da evitare si verifichi – ma con la riserva mentale di averlo previsto e di aver COMUNQUE deciso di non attivarsi, si realizzerà un reato omissivo con dolo eventuale.

Sul punto, si riporta qui di seguito la massima della sentenza in commento:
La responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento può qualificarsi anche per il solo dolo eventuale, a condizione che sussista, e sia percepibile dal soggetto, la presenza di segnali precipui e peculiari dell’evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità: in tale situazione, quindi, l’agente, pur essendosi rappresentata la concreta possibilità della verificazione di un fatto integrante reato come conseguenza del proprio comportamento, persiste nella sua condotta, accettando il rischio che l’evento si verifichi”.
(Sent. sez. IV 30 marzo – 26 ottobre 2016 n. 45011).

(Articolo redatto dalla Dott.ssa Giulia Bino e dall’Avv. de Lalla. Ogni diritto riservato).

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