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Commentiamo in questa sede una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. Sez. V, 9 giugno – 26 ottobre 2016 n. 44976), che specifica la differenza legale della violenza che caratterizza il furto con strappo differenziandolo da quella propria della rapina.
La portata del discrimine non è di poco conto poiché si tratta di due reati diversi (benché ricompresi entrambi nel titolo XIII del codice penale dedicato ai delitti contro il patrimonio) puniti in maniera differente dal nostro codice penale (l’art. 628 c.p. che punisce la rapina prevede una pena base dai tre ai dici anni di reclusione; il furto con strappo previsto dall’art. 624 bis comma II^ c.p. è punto con la pena da uno a sei anni di detenzione).
La fattispecie criminosa di furto con strappo è prevista dall’art. 624 bis, comma 2 c.p. (inserito nel codice penale dalla Legge n. 128 del 2001), il quale dispone che alla stessa pena di cui al primo comma dell’articolo in parola(reclusione da uno a sei anni e multa da euro 309 a euro 1.032) soggiace anche colui che si impossessa della cosa mobile altrui, strappandola di mano o di dosso alla persona al fine di trarne profitto per sé o per altri.
La ratio della norma è quella comune dell’ipotesi “semplice” di furto ovvero la necessaria tutela del possesso e/o della mera detenzione da parte di un soggetto di una cosa mobile.
Tuttavia, il Legislatore, con l’ipotesi del furto con strappo ha inteso prevedere una specifica figura criminosa punita più severamente del furto previsto dall’art. 624 c.p. (reclusione da sei mesi a tre anni) proprio perché lo “strappo” implica l’utilizzo di una violenza agita in via indiretta ed assolutamente residuale sulla vittima (indiretta poiché la violenza è scaricata in primis sull’oggetto strappato e solo in via mediata sulla vittima e residuale poiché si deve trattare di una “energia” quasi irrilevante) e poiché tale modalità di sottrazione rappresenta effettivamente un pericolo per la stessa incolumità fisica della persona offesa.
Proprio la natura violenta del furto con strappo quale elemento caratterizzante della fattispecie, implica che spesso tale reato risulti prima facie difficilmente distinguibile dal più grave reato di rapina che è caratterizzato dalla sottrazione della cosa mobile effettuata con violenza (appunto) e/o minaccia.
Con la Sentenza in commento la Corte ha specificato che deve ritenersi ricorrente il delitto di rapina, in luogo di quello di furto con strappo, quando l’azione violenta in origine esercitata sulla cosa, per la particolare adesione o connessione della cosa medesima al corpo del possessore e per la resistenza da questi opposta, si estenda necessariamente anche al soggetto passivo.
Nel delitto di rapina si realizzerebbe, quindi, una violenza che – per la posizione dell’oggetto sottratto e per la resistenza della vittima – si propaga senza soluzione di continuità alla vittima con una forza immutata rispetto a quella agita sull’oggetto.
L’elemento costitutivo della fattispecie di furto con strappo, invece, consiste in un’unica azione ove la modalità esecutiva coinvolge solo ed esclusivamente il bene mobile che l’agente intende sottrarre illegittimamente: si tratta di una modalità di azione che nulla ha a che vedere con l’ipotesi di un coinvolgimento della persona offesa se non indirettamente e per mezzo di una forza ormai pressoché esaurita.
Pertanto, l’elemento dirimente del reato di furto con strappo e quello di rapina consiste nella direzione della violenza posta in essere dal soggetto agente che, se rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta e residuale verso la persona, integra il reato di furto con strappo, al contrario, se coinvolge e si scarica anche sulla vittima attraverso l’oggetto strappato con una forza pari a quella originaria, integra il reato di rapina.
Per giungere ad una precisa delimitazione tra le due fattispecie di reato è adottato, nello specifico, un criterio di elaborazione giurisprudenziale, in realtà risalente nel tempo (Cass. Sez II sent. nr. 7386/1991) ma richiamato anche da pronunce più recenti, (Cass. Sez. II sent. nr. 342062006, e in in senso conforme anche Cass. Sez. II sent. nr. 2553/2015) consistente nella “particolare aderenza della res al corpo della vittima”, evidenziando che, quando quest’ultima è particolarmente in contatto col possessore, allora la violenza necessariamente ma indirettamente si estende al soggetto passivo realizzando il reato di rapina. Diversamente – ovvero in difetto di tale particolare aderenza – il reato realizzato sarà quello di furto con strappo.
Pertanto, è configurabile il furto con strappo quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo indirettamente verso la persona che la detiene nei confronti della quale può verificarsi una ripercussione indiretta, involontaria e blanda che deriva dalla relazione fisica che intercorre tra la cosa sottratta e il possessore.
Diversamente, ricorrerà in capo all’agente il reato di rapina, ogni qualvolta la res è particolarmente aderente al corpo del possessore e questi, istintivamente o deliberatamente, contrasti la sottrazione così che la violenza si trasmette dalla cosa alla vittima, in quanto l’agente, non solo deve superare la semplice forza di connessione della res alla vittima ma, altresì, deve vincerne la resistenza opposta (cosicché, come detto e ripetuto, la violenza colpisce anche la persona offesa e non solo l’oggetto che essa detiene).

Si riporta qui di seguito la massima della sentenza in commento:
In tema di furto, lo strappo, indicato dalla norma incriminatrice come modalità attraverso la quale si spossessa la vittima, è una condotta connotata da un qualche grado di violenza, seppure esercitata sulla cosa e non sulla persona, visto che, altrimenti, concreterebbe il più grave delitto di rapina

(articolo redatto dalla Dott.ssa Giulia Bino e dall’Avv. Giuseppe de Lalla. Ogni diritto riservato).

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