Skip to content

Le decisioni dei giudici devono essere comprensibili sia al soggetto direttamente coinvolto, sia dalle altre parti del processo (pubblico ministero, parte civile, responsabile civile) e, soprattutto, per tutti i cittadini interessati deve essere comprensibile e verificabile il procedimento logico-giuridico percorso dal Giudice per arrivare alla decisione.

La Costituzione prevede un obbligo di motivazione delle Sentenze necessario per comprendere le ragioni del provvedimento e – come detto – per controllare l’iter logico-giuridico seguito dal Giudice nella valutazione degli elementi di prova valutati (sia quelli specificamente posti a fondamento della pronuncia, sia quelli disattesi eventualmente dedotti dalla difesa).

La comprensione delle motivazioni poste dal Giudice alla base della sua decisione è anche concretizzazione del diritto del condannato di impugnare la Sentenza (in Appello o in Cassazione) affinchè la stessa sia riformata in modo a lui più favorevole (evidentemente, se oscure fossero le ragioni del giudicato; impossibile sarebbe una critica dello stesso).

A tale obbligo sembra fare eccezione la sentenza che applica la pena concordata tra le parti, cioè tra l’imputato e il pubblico ministero, in quel procedimento speciale comunemente chiamato patteggiamento.

L’eccezione non è espressamente prevista dalla Legge, ma è ricavabile in via interpretativa dalla giurisprudenza, ovvero dalle decisioni dei Giudici (prevalentemente della Corte di Cassazione il c.d. “Giudice delle Leggi” poichè deputato al controllo della corretta applicazione delle norme di Legge effettuata dai Giudici di grado inferiore).

Con una recente sentenza (Cass. 1731/2012) i giudici al vertice della gerarchia giurisdizionale (la Corte di Cassazione, appunto) hanno ricordato come in sede di patteggiamento tutte le statuizioni concordate tra le parti e recepite in sentenza, purché non illegittime, costituiscono la manifestazione di un potere dispositivo sul punto riconosciuto alle parti.

Il giudice può ratificare l’accordo oppure negarlo, ma non proporne uno diverso.

E quell’accordo non può essere rimesso in discussione attraverso un ricorso in Cassazione dalle stesse parti che vi hanno partecipato.

Non solo.

È logico che la parte che abbia aderito ad un accordo non possa lamentarsi del difetto o del vizio di motivazione, perché proponendo un accordo già concluso con il suo contraddittore (di solito è l’imputato che propone al pubblico ministero un accordo sull’entità e il tipo di pena) implicitamente esonera il giudice – a cui l’accordo è sottoposto per la “ratifica”– dal dover rendere conto di quegli aspetti che, invece, sono importanti quando il giudice deve decidere nel merito riguardo la colpevolezza o meno dell’imputato.

Torna su
Cerca