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Il Decreto Legislativo n. 231 del 18 giugno 2001 (“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”) ha introdotto nell’ordinamento giuridico la responsabilità penale delle persone giuridiche: le società, gli enti e le associazioni anche se prive di personalità giuridica potranno essere direttamente chiamati a rispondere – penalmente – dei reati commessi da dirigenti, dipendenti e da tutti coloro che operano in nome e per conto della società.
La responsabilità in sede penale della società va ad aggiungersi a quella della persona fisica e coinvolge il patrimonio dell’ente e, indirettamente, gli interessi economici dei soci.
Obiettivo della disciplina repressiva è quello di coinvolgere e responsabilizzare l’ente nella prevenzione di reati da parte di soggetti che fanno parte dell’ente. La disciplina colpisce sostanzialmente il patrimonio dell’ente.
In sintesi, tre sono i requisiti perché l’autorità giudiziaria contesti la responsabilità dell’ente:
1. deve essere stato commesso un reato (c.d. reato-presupposto) indicato specificamente dalla legge;
2. il reato deve essere stato commesso da un soggetto in posizione apicale o da un soggetto sottoposto alla direzione o al controllo del soggetto apicale;
3. dalla commissione del reato deve essere conseguito un vantaggio per l’ente o deve essere stato compiuto nell’interesse dell’ente. Vantaggio e interesse devono essere quantificabili economicamente. Il vantaggio è valutato oggettivamente e prescinde dalle intenzioni dell’autore del reato o dell’ente: è l’effettivo beneficio procurato dalla commissione dell’illecito.

I reati-presupposto
Non tutti i reati commessi dai soggetti sopra indicati comportano una responsabilità per l’ente, bensì solo quelli tassativamente elencati.
L’attuazione della disciplina ha subito una forte accelerazione sul versante applicativo, anche in ragione dell’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto: a un primo nucleo di reati, se ne sono aggiunti altri molto diffusi nel contesto “aziendale”. In particolare, sotto questo profilo, si pensi ai reati connessi alla normativa sulla sicurezza sul lavoro.
Ad oggi i reati-presupposto sono i seguenti:
– Indebita percezione di erogazioni;
– Truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche;
– Frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico;
– Concussione e corruzione;
– Falsità in monete;
– Reati societari;
– Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico;
– Delitti contro la personalità individuale;
– Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili;
– Abusi di mercato;
– Omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime, commessi con violazione di norme antinfortunistiche;
– Reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di beni di provenienza illecita;
– Delitti informatici e trattamento illecito di dati;
– Delitti di associazione mafiosa ed assimilati;
– Delitti contro l’industria e il commercio;
– Reati transnazionali;
– Delitti in materia di violazione del diritto d’autore;
– Reati ambientali.
Si tratta di reati eterogenei tra loro.
L’elenco dei reati che possono comportare la responsabilità penale di enti e società è destinato ad un’ulteriore crescita. È prevista l’introduzione nell’elenco dei reati presupposto dei reati concernenti l’immigrazione clandestina, il traffico di stupefacenti, la corruzione privata.

Soggetti
Più in dettaglio, la società è responsabile dei reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persona che rivesta:
a) una posizione apicale (es. amministratore, legale rappresentante, direttore dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale e finanziaria o che comunque eserciti funzioni di gestione e controllo dell’ente – c.d. apicale “di fatto”) oppure
b) che sia sottoposta alla direzione e alla vigilanza di un soggetto in posizione apicale.
La responsabilità è esclusa solo se il soggetto ha agito per esclusivo interesse proprio o di terzi.
La responsabilità in sede penale della società va ad aggiungersi a quella della persona fisica e coinvolge il patrimonio dell’ente e, indirettamente, gli interessi economici dei soci.
Permane invece la responsabilità dell’ente quand’anche l’autore del reato-presupposto non sia stato identificato o non sia imputabile.

Il procedimento
Le regole del procedimento sono quelle del processo penale e l’ente è equiparato all’imputato.
Il giudice competente è quello competente a giudicare del reato-presupposto, secondo le regole del codice di procedura penale.
In via generale, è prevista la riunione del procedimento a carico della persona fisica imputata del reato-presupposto con quello a carico dell’ente.
Se il reato è stato commesso da persona in posizione apicale, a carico dell’ente è presunta la colpa di organizzazione. L’ente è chiamato a provare:
– di aver adottato e attuato un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati;
– di aver affidato la vigilanza ad un organismo idoneo e che la vigilanza era sufficiente;
– che i modelli di organizzazione sono stati fraudolentemente violati.
Se l’ente non dimostra il fatto impeditivo, il giudice pronuncia sentenza di condanna.
Se l’autore del reato-presupposto è in posizione subordinata, è il pubblico ministero che deve fornire la prova che la commissione del reato è dovuta a inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza a carico dell’ente. Quest’ultimo può provare che l’autore ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi o di aver attuato un modello di organizzazione, di gestione e di controllo idoneo a prevenire reati. Se l’ente dimostra il fatto impeditivo o fa sorgere un dubbio in proposito, il giudice pronuncia sentenza di esclusione della responsabilità dell’ente, fatta salva la responsabilità personale dell’autore del reato-presupposto.

Le sanzioni
La responsabilità di enti e società produce ingenti sanzioni pecuniarie (da un minimo di € 25.822,84 fino ad un massimo di € 1.549.370,00) e sanzioni interdittive (sospensione o revoca di concessioni e licenze; esclusione da finanziamenti, agevolazioni, contributi, sussidi; divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione; divieto di pubblicizzare beni o servizi; divieto di esercitare la stessa attività d’impresa).
Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina un “numero di quote” tenendo conto della gravità del fatto, del grado di responsabilità ascrivibile all’ente e delle attività svolte per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e prevenire ulteriori illeciti. Al fine di assicurare l’effettività della sanzione, l’importa della “quota” è commisurato alla condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.
La sanzione può essere ridotta in alcuni casi tassativamente previsti: risarcimento integrale del danno, eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, adozione e messa in opera di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello contestato. Attenzione, però, al limite minimo invalicabile della sanzione pecuniaria, al di sotto del quale il Giudice non può scendere: 10.329,00 euro.
È evidente che si tratta di sanzioni che incidono in modo consistente sul patrimonio dell’ente, sia direttamente (sanzioni pecuniarie), sia indirettamente, laddove siano disposte sospensioni o revoche di licenze o concessioni, eccetera.
Infine, è prevista la pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca. Quest’ultima è sempre disposta ed ha per oggetto il prezzo o il profitto del reato, esclusa la parte che deve essere restituita al danneggiato.
In presenza di determinati requisiti, le sanzioni interdittive possono essere disposte anche in via cautelare, cioè prima della definizione del giudizio. Tali requisiti sono: a) gravi indizi di colpevolezza dell’ente; b) fondati e specifici elementi da cui si deduca che concreto pericolo di reiterazione di illeciti dello stesso tipo; c) profitto di rilevante entità in vantaggio dell’ente.

Come prevenire la possibilità di essere ritenuti penalmente responsabili per reati commessi da dipendenti o dirigenti? Come tutelare la società o l’ente?
La società deve dimostrare di essersi attivata per prevenire la commissione del reato e di aver vigilato adeguatamente.
È possibile adottare ed attuare modelli di organizzazione e di gestione che consentono di schermare la società dai rischi di procedimento penale.
Come si è visto sopra, infatti, per essere tutelarsi la società deve dimostrare di avere adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati.
Ciò è importante – sotto un ulteriore profilo – anche per proteggere la società da azioni di rivalsa da parte di chi può legittimamente contestare l’esposizione della società al rischio penale (soci, partners) per mancata adozione del modello.
Il modello di organizzazione, per essere giudicato idoneo, deve:
– adeguarsi alla realtà dell’ente, alla sua struttura, all’attività svolta; – prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; – individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati; – introdurre un sistema disciplinare; – essere conosciuto ed essere oggetto di specifici eventi formativi all’interno dell’ente.
La legge prevede anche che l’ente si doti di un organismo di vigilanza e di controllo (O.d.V.), con autonomi poteri di iniziativa e controllo. A questo organismo di vigilanza e controllo è deputata la vigilanza sul funzionamento e l’osservanza del modello, nonché sul suo aggiornamento.
È importante sottolineare che il legislatore non ha previsto una responsabilità automatica per le società e gli enti come conseguenza della commissione di un reato da parte di una persona fisica che opera all’interno dell’ente, ma ha bensì inteso creare un sistema di auto-controllo e disciplina in cui un ruolo determinante sarà svolto dalla valutazione dell’esistenza e dell’adeguatezza dei modelli di organizzazione e di gestione nonché dell’organismo di vigilanza e di controllo.
In pratica, se adottati e attuati in via preventiva, i modelli di organizzazione e gestione possono determinare l’esenzione da responsabilità per l’ente; se adottati e attuati successivamente alla commissione del reato, ma prima dell’apertura del dibattimento, garantiscono una riduzione della sanzione pecuniaria e, talvolta, l’inoperatività delle sanzioni interdittive.

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Lo Studio – tramite i suoi professionisti ed i suoi consulenti in ambito gius-lavoristico e societario – offre un affiancamento ed un’attentissima consulenza per la migliore organizzazione della Società nel campo della del Decreto Legislativo n. 231 del 18 giugno 2001.
• In particolare tramite la materiale redazione di modelli di organizzazione e di gestione di cui assicura l’esaustività ed il continuo aggiornamento secondo le necessità della Società;
• Nonché quale membro effettivo dell’organismo di vigilanza e di controllo (O.d.V.).
Entrambi gli adempimenti vengono svolti in stretto contatto con l’ente/cliente (la cui collaborazione è imprescindibile) a seguito di una precisa analisi del settore di riferimento, dell’organizzazione interna, dei rapporti con i clienti ed i fornitori e dell’assetto societario nonché di ogni altro aspetto che dovesse/potesse essere fonte di responsabilità della persona giuridica.
Come detto, lo Studio può fornire eventualmente la collaborazione di esperti nei settori nei quali opera l’ente garantendo una effettiva e reale protezione del patrimonio sociale.

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