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Con la legge n. 66 del 15 febbraio 1996 è stata approvata la riforma dei reati in materia di violenza sessuale.
Punto centrale di questa riforma a lungo attesa è stato il mutamento dell’oggettività giuridica dei reati in esame: relegati dal codice Rocco (ovvero il codice penale del Legislatore del 1930) nella categoria dei reati contro la moralità ed il buon costume, essi hanno oggi assunto dignità di reati contro la persona in conseguenza dell’acquisita consapevolezza che la libertà sessuale costituisce un insopprimibile corollario della libertà individuale.
E non si è trattato di una pura e semplice modifica verbale o di facciata, in quanto con la nuova collocazione sistemica la sfera della sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della moralità e del buon costume per diventare bene esclusivo del soggetto che ne è titolare, disancorata da qualsiasi valutazione moralistica e moraleggiante della società.
Qualche critica è stata tuttavia avanzata alla riforma poiché si è sostenuto che l’inserimento dei reati di violenza sessuale all’interno della sezione dei delitti contro la persona ha fatto perdere a questi la struttura di capo autonomo, confluendo accanto a reati come il sequestro di persona, l’arresto illegale etc.: sarebbe stato preferibile, pertanto, fermo restando l’inserimento nei reati contro la persona, la creazione di una autonoma sezione di delitti contro la libertà sessuale.
Tra gli ulteriori tratti che caratterizzano la disciplina del 1996 del reato di violenza sessuale occorre citare:
L’accorpamento in un’unica fattispecie denominata violenza sessuale della violenza carnale, della congiunzione carnale e degli atti di libidine violenti;
– L’introduzione del reato di stupro di gruppo;
– L’eliminazione della davvero inopportuna causa di non punibilità della corruzione di minorenni consistenti nell’essere il minorenne persona già moralmente corrotta nonché figure anacronistiche con il ratto a fine di libidine, il ratto a fine di matrimonio, e la seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata;
– La procedibilità del reato di violenza sessuale a querela irrevocabile di parte con alcune significative eccezioni nelle quali si procede di ufficio;
– La tutela della riservatezza della vittima;
– Il parziale riconoscimento della sessualità dei minori e della sessualità dei malati di mente, con l’eliminazione della presunzione di violenza carnale nei confronti dei soggetti che abbiano avuto rapporti con persone malate di mente o non in grado di resistere a cagione di infermità fisica o psichica che, di fatto, condannava all’astinenza tali persone;
– La generalizzata robusta elevazione delle pene applicabili nel caso di riconosciuta violenza sessuale.

L’art. 609 bis c.p. sotto la generica rubrica “violenza sessuale” prevede e punisce come reato:
1. Il fatto di chi con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compire o subire atti sessuali;
2. Il fatto di chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
3. Il fatto di colui che induce a compiere o subire atti sessuali, traendo in inganno la persona offesa, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

In forza di tale previsione è possibile distinguere due tipi di violenza sessuale:
A. Una violenza sessuale posta in essere mediante azione diretta (violenza, minaccia o abuso di autorità) sulla persona offesa;
B. E una violenza sessuale posta in essere mediante induzione (comma secondo).

LA VIOLENZA SESSUALE MEDIANTE AZIONE DIRETTA EX ART. 609 BIS COMMA I^ C.P..
Il primo comma dell’art. 609 bis c.p. prevede il fatto di chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.
Soggetto attivo del reato (l’accusato) può essere chiunque: si tratta, pertanto, di un reato comune, e in particolare, di un reato ad esecuzione personale, in quanto l’autore principale è sempre il soggetto che compie l’atto sessuale con la vittima; nel caso in cui la violenza o la minaccia o l’abuso di autorità sia compiuto da un terzo, sarà configurabile un concorso di persona nel reato ex art. 110 c.p..
In ordine al soggetto passivo (la vittima), il Legislatore non opera distinzione alcuna né restrizione né di sesso, né di altra natura: può trattarsi di qualunque essere umano (uomo, donna o bambino di qualsiasi orientamento sessuale).
Nell’ambito dei soggetti tutelati (ovvero delle possibili vittime) rientrano anche:
– Il coniuge: il concetto di violenza sessuale, invero, non è suscettibile di connotazioni diverse tra estranei o nei rapporti tra coniugi, godendo senza dubbio anche il coniuge del diritto (insopprimibile ed inviolabile) di disporre liberamente del proprio corpo per fini sessuali. La Giurisprudenza ha anche recentemente ribadito che la violenza carnale compita dal marito nei confronti della moglie non assume connotazioni diverse rispetto a quella compiuta da una soggetto estraneo, ed esclude che dal matrimonio nascano obblighi di reciproca dedizione sessuale, non potendo configurarsi un diritto all’unione carnale con il coniuge. Il rapporto di coniugio non degrada il coniuge a possibile oggetto di possesso da parte dell’altro coniuge: un rapporto di coniugio che si riduca alla violenza ai fini del possesso del corpo, risulta gravemente antigiuridico;
Anche il soggetto dedito alla prostituzione (maschile, femminile o trans gender) può essere giuridicamente vittima di violenza sessuale: la condizione sociale della vittima risulta priva di rilievo, poiché p tutelato il bene della libertà sessuale individuale che appartiene (e non potrebbe essere il contrario) anche a chi è dedito alla prostituzione.

Soggetto passivo della violenza sessuale può essere solo un essere umano vivente: ne consegue che:
La necrofilia (lo sfogo di libidine su di un cadavere) esula dall’ambito dell’art. 609 bis c.p. e può assumere rilievo penale solo nell’ambito della fattispecie prevista dall’art. 410 c.p. (vilipendio di cadavbere);
I rapporti sessuali con animali (la zoofilia) esulano a loro volta dall’ambito dell’art. 609 bis c.p. e possono assumere rilievo penale unicamente per i reati di uccisione o danneggiamento di animali altrui e/o maltrattamento di animali.

I CONCETTI DI VIOLENZA, MINACCIA E ABUSO.
Sotto il profilo oggettivo assumono rilievo la minaccia, la violenza o l’abuso di autorità poste in essere per costringere la vittima al compimento ( si dovrebbe dire alla partecipazione) di un atto sessuale non voluto.
La violenza consiste nell’esercizio di una qualsiasi forza fisica anche se non spinta al massimo della brutalità irresistibile, diretta a vincere la resistenza opposta dalla vittima.
La minaccia sua volta consiste nel manifestato proposito di arrecare un danno alla vittima, ad altre persone o alle cose, al fine di coartare la volontà della vittima e farle accettare l’atto voluto dall’agente.
L’abuso di autorità presuppone che il soggetto agente si avvalga della posizione di formale superiorità o preminenza nei confronti di un altro soggetto. Nell’ambito dell’abuso di autorità rientrano tanto l’abuso di pubblica autorità (ad esempio nei confronti di un detenuto) tanto l’abuso di autorità privata (tra datore di lavoro e lavoratore, tra docente e scolaro, tra l’allenatore e l’atleta).
L’attuale riferimento a qualsiasi abuso di autorità amplia la previsione prima (del 1996) limitata ai casi specificatamente previsti e disciplinati dalla precedente normativa di legge (art. 520 c.p.) oggi abrogata.
La violenza o la minaccia o l’abuso di autorità devono essere tali da poter concretamente coartare la volontà della persona offesa.
La violenza o la minaccia devono essere poste in essere con connotati che ne esteriorizzino la serietà e la gravità: non potrà ritenersi sufficiente un atto di violenza lieve (una spinta, un buffetto, un pizzicotto) o una minaccia inidonea ad ingenerare timore nella persona offesa; in realtà solo un attento esame delle circostanze concrete di tempo e di luogo e dell’azione asserita violenta minacciosa in relazione anche alla personalità sia del soggetto attivo che della vittima, potrà consentire ad accertare se le minacce o le violenze poste in essere dal soggetto agente risultino, o meno, idonee a coartare la volontà della vittima (ad esempio, la medesima frase “ti faccio scendere dalla macchina senza riaccompagnarti a casa” avrà diversa valenza (minacciosa o meno) se è pronunciata in un centro cittadino in una sera d’estate oppure in una notte buia e tempestosa in aperta campagna).

LA NOZIONE DI ATTO SESSUALE.
Il concetto di “atto sessuale” costituisce una delle più importanti innovazioni della legge del 1996 in tema di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p..
La precedente disciplina era incentrata sulla dicotomia:
– Congiunzione carnale: la compenetrazione anche abnorme tra organi sessuali ovvero tra un organo genitale ed un altro organo (compresi i rapporti anali ed orali);
– Atti di libidine violenta: ogni forma di contatto corporeo (pur non inerente agli organi genitali o a parti nude del corpo), diversa dalla penetrazione che, per le modalità con cui si svolge, costituisca in equivoca manifestazione di ebbrezza sessuale.
Alla luce di tale ormai superata definizione, acquistava importanza fondamentale per la quantificazione della pena e la qualificazione giuridica dei fatti l’accertamento e la ricostruzione della qualità dell’atto compiuto (ovvero il quantum della penetrazione, la completa avvenuta o meno completa congiunzione carnale o la natura pratica dell’atto idoneo realizzato per il raggiungimento della soddisfazione sessuale): ciò giustificava odiose (ma necessarie ed utili nella passata disciplina legale) indagini e domande che costringevano le vittime a raccontare e ricordare la sequenza di oltraggiose infamie subite; il processo di risolveva, spesso, in un ulteriore supplizio per la vittima, tratta al cospetto di imputati talora arroganti e sprezzanti.
Avuto riguardo alla diversa oggettività giuridica del reato di violenza sessuale a partire dalla già citata riforma del 1996 (reato contro la persona e non già contro la morale), e preso atto della strumentale esigenza di togliere pratico rilievo (processuale) alla distinzioni atte ad offendere ulteriormente la dignità della vittima, il legislatore ha incentrato il disvalore del nuovo reato di violenza sessuale nel compimento di un atto sessuale non voluto dalla vittima.
Il concetto di atto sessuale definibile come ogni condotta che si concretizza nella manifestazione esteriore di un istinto sessuale ricomprende, pertanto, sia la congiunzione carnale propriamente intesa (quale ogni forma anche abnorme di coito) che gli atti di libidine.
Rientrano, quindi, nel concetto di violenza sessuale e sono come tale puniti tutte le azioni quali le palpazioni, le pacche in particolari parti del corpo, le carezze, i baci, i pizzicotti, gli abbracci lascivi a condizione che ovviamente siano idonei a compromettere la libera autodeterminazione del soggetto offeso: l’antigiuridicità della condotta punita dall’art. 609 bis c.p., infatti, resta connotata da un requisito soggettivo proprio di colui che la commette (la finalizzazione all’insorgenza o all’aggravamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale) innestantesi sul requisito oggettivo della concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la liberà di autodeterminazione del soggetto passio nella sua sfera sessuale e ad eccitare o sfogare l’istinto sessuale del soggetto attivo.
In conclusione, dunque, si possono definire atti sessuali tutti quegli atti indirizzati verso zone erogene e che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo e ad entrare nella sua sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione, sostituzione di persona, abuso di condizioni di inferiorità psichica o fisica; tra questi vanno ricompresi i toccamenti, palpeggiamenti, e sfregamenti delle parti intime delle vittime suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo del tutto irrilevante, ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., che il soggetto agente abbia o meno effettivamente conseguito la soddisfazione erotica: la prevalenza dell’aspetto oggettivo e non di quello soggettivo, come avveniva in precedenza per gli atti di libidine, discende dalla differente collocazione e dal diverso bene giuridico protetto dai reati introdotti dalla legge del 1996 rispetto a quelli in precedenza contemplati dal codice penale del 1930.

IL DISSENSO DELLA PERSONA OFFESA.
E’ opportuno ricordare che il dissenso della persona offesa al compimento dell’atto sessuale è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 609 bis c.p.. Ciò significa che il consenso del partner non assume il ruolo di elemento scriminante una condotta illegale; ma esclude alla radice la configurabilità del reato. In altre parole l’atto sessuale con persona consenziente (liberamente ed efficacemente) fa si che il soggetto agente non compia una violenza sessuale scriminata (ovvero non illegittima) ma tenga una condotta che non è nemmeno concettualmente (e giuridicamente) assimilabile alla violenza sessuale.

L’ELEMENTO INTENZIONALE DELL’AGENTE.
Sotto il profilo soggettivo è richiesto il dolo generico caratterizzato dalla volontà dell’atto sessuale, con la coscienza (ovvero la consapevolezza) di tutti gli elementi costitutivi del fatto.
Tra questi, come detto, rientra (oltre che la violenza sessuale, la minaccia, l’abuso di autorità) il dissenso della persona offesa: ne consegue che l’erroneo convincimento che il partner sia consenziente, integrando gli estremi dell’errore sul fatto che costituisce reato ex art. 47 comma primo c.p. comma primo, esclude la punibilità dell’agente in quanto esclude il dolo necessario. Ciò vale anche nell’ipotesi in cui l’errore sul consenso della persona offesa sia determinato da colpa in quanto il reato di cui all’art. 609 bis c.p. non è previsto dalla legge come delitto colposo.
Qualora, invece, il soggetto agente ignori l’esistenza del consenso del partner e, dunque, creda per errore di compiere una violenza sessuale, trova applicazione l’art. 49 comma primo c.p. (c.d. reato putativo) in forza del quale è esclusa la punibilità per il reato erroneamente ritenuto esistente, fermo restando la punibilità per un reato diverso (es: violenza o minaccia) del quale concorrono glie elementi costitutivi (art. 49 comma terzo).

CONSUMAZIONE E TENTATIVO.
Ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. è sufficiente il compimento dell’atto sessuale, risultando priva di rilievo l’eventuale concupiscenza (l’emissione del seme o emissio seminis) o soddisfazione che può derivarne.
Nessun dubbio può nutrirsi sulla configurabilità del tentativo: è opportuno tenere presente, però, che, a seguito dell’unificazione, nel più ampio concetto di atto sessuale, della violenza carnale e degli atti di libidine violenti, sarà configurabile il tentativo in presenza di atti che, pur diretti all’atto sessuale, non si concretizzano in alcun approccio fisico, pur se sia stata già posta in essere la violenza, la minaccia o l’abuso di autorità.
E’, così, qualificabile come tentativo di violenza sessuale il fatto di chi minacciando – e poi attuando la minaccia – di inviare ai parenti di una donna foto compromettenti scattate in occasione di incontri amorosi con lei precedentemente avuti, tenti di costringerla ad ulteriori rapporti sessuali, nel caso in cui il reato non venga portato a compimento (in assenza di qualsivoglia approccio fisico), perché la vittima non cede alle minacce.
Ugualmente deve ritenersi costituire tentativo di violenza sessuale un invito a salire in auto accompagnato da altri precisi elementi quali, ad esempio, la condotta pregressa, l’atteggiamento tenuto, la frasi pronunziate.

LA VIOLENZA SESSUALE TRAMITE INDUZIONE.
Il secondo comma dell’art. 609 bis c.p. disciplina due fattispecie di violenza sessuale mediante induzione, poste in essere (non secondo generici e non definiti comportamenti idonei a suggestionare la volontà della vittima bensì) secondo modalità specificatamente descritte:
L’abuso di condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto;
L’aver tratto in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona:

L’abuso di condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto fa riferimento con una formulazione generica ad una strumentalizzazione delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima, da qualunque causa siano state cagionate, anche se si tratta di una causa indipendente dal fatto del colpevole, purché le stesse siano sussistenti al momento dell’atto sessuale: non sussisterò nessun reato nel caso di “intervalla insaniae” in cui cioè la persona offesa, pur fisicamente o psichicamente inferma, abbia riacquistato per intero il pieno possesso delle proprie capacità fisiche o psichiche, prestando validamente il proprio consenso all’atto sessuale nel corso del richiamato “lucido intervallo”:
Secondo la Giurisprudenza volendo tutelare il diritto alle relazioni sessuali anche delle persone affette da inferiorità fisica o psichica, il Legislatore con la riforma del 1996 non punisce il mero rapporto con l’infermo di mente, bensì quello caratterizzato da un “differenziale di potere” connotato cioè, dall’induzione del soggetto forte e da abuso delle qualità del soggetto debole.
Da rilevare l’orientamento giurisprudenziale per il quale la condizione di inferiorità psichica prescinde da fenomeni patologici di carattere organico o funzionale, e va ricollegata ad una evidente situazione di menomazione, che può frequentemente essere dovuta a traumi oppure a fattori ambientali di incisività e consistenza tale, da comportare l’assenza del consenso, o comunque, ad un evidente vizio assoluto nella formazione dello stesso equiparabile alla sua mancanza.
Questo speciale stato non deve, tuttavia, assumere rilievo soltanto sotto un profilo astratto, ma va posto in necessario raffronto con la situazione di fatto concretamente esistente al momento dell’atto sessuale, con riferimento sia al contesto esterno nel quale i fatti sono inseriti (per accertare l’eventuale esistenza di modifiche intervenute nel tempo, che abbiano causato una positiva evoluzione della personalità della vittima, eliminando la condizione di inferiorità psichica), sia alla persona del soggetto agente (onde accertare se quest’ultimo abbia, o meno, avuto consapevolezza dell’esistenza di una condizione di menomata resistenza della vittima).
Tra i casi di in inferiorità fisiopsichica ben possono rientrare, secondo una consolidata Giurisprudenza che anche la Dottrina ritiene ancora oggi valida:
Lo stato di tossicodipendenza, in quanto il soggetto, pur di procurarsi gli stupefacenti, è disposto a qualsiasi azione, anche cedere il proprio corpo;
– L’assunzione di psicofarmaci (cosiddetti tranquillanti), quando da esso derivi una sospensione della attenzione e dei poteri di controllo che renda il soggetto medesimo incapace di normale resistenza all’azione del colpevole ed a quest’ultimo consenta di commettere violenza carnale.

L’inganno mediante sostituzione di persona previsto dalla violenza sessuale di cui all’art. 609 bis comma II c.p. fa riferimento al caso, tradizionalmente discusso in dottrina, in cui il soggetto agente, attraverso l’impiego di mezzi fraudolenti, si sostituisca alla persona in relazione alla quale soltanto la vittima avrebbe prestato il consenso all’atto sessuale (si pensi al caso di chi, avvalendosi dell’oscurità, approfitti di una donna sostituendosi al di lei marito).

LA PENA.
La pena prevista per tutte le distinte fattispecie criminose disciplinate dall’art. 609 bis c.p. è quella della reclusione da cinque a dieci anni.
Il reato è procedibile a querela (nell’arco di sei mesi dal fatto e non è più rimettibile dalla vittima).
La competenza è del Tribunale Collegiale (ovvero composto da tre giudici).
Sono applicabili le misure cautelari personali.

LA FORMA ATTENUATA EX ART. 609 BIS COMMA III^ C.P..
La circostanza attenuante prevista nel terzo comma dell’art. 609 bis c.p. consente nei casi di minore gravità, una riduzione della pena da applicare, nella misura massima di due terzi (ed in questo caso la pena minima sarà un anno e otto mesi di reclusione e quella massima sarà di anni tre e mesi quattro di reclusione).
Si tratta di una circostanza attenuante:
Speciale quanto prevista solo per il reato di violenza sessuale;
Oggettiva concernendo casi di minore gravità da individuare avendo riguardo alla natura, all’oggetto, la specie, il mezzo, i tempi, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione, od anche la gravità dal danno: essa come tale ai sensi dell’art. 118 c.p. in caso di concorso di persone nel reato, risulterà applicabile a tutti i concorrenti per il solo fato di sussistere;
Obbligatoria poiché sussistendone i presupposti per la sua concessione il giudice dovrà necessariamente operare la diminuzione della pena, consentendo ampia discrezionalità soltanto in ordine alla quantificazione della diminuente da un terzo a due terzi;
Ad effetto speciale comportando una diminuzione della pena in misura superiore ad un terzo della pena base;
– Ad efficacia comune operando la diminuzione rispetto alla pena base;
Compatibile con il tentativo ed in proposito è opportuno ricordare che l’estensione al tentativo delle circostanze previste per il corrispondente reato consumato comporta un problema di semplice compatibilità logico-giuridica

Il vero problema che pone l’attenuante in esame è quello di dare un contenuto concreto all’espressione “minore gravità” usata dal legislatore e, quindi, di individuare parametri oggettivi cui ancorare la maggiore o minore gravità del fatto.
In concreto, ed alla luce dell’esperienza dottrinaria e giurisprudenziale maturata con riguardo ad analoghe figure, può ritenersi che ai fini della concessione dell’attenuante per i casi “di minore gravità” dovrà considerarsi il nocumento che il reato, ove consumato, avrebbe cagionato alla persona offesa, in rapporto all’oggetto materiale del reato stesso ed al grado di compressione dell’altrui libertà personale (sessuale) che avrebbe caratterizzato il reato consumato, senza aver riguardo all’effetto conseguente al mero fatto materiale del tentativo; ricorrono, quindi, gli estremi per l’applicazione dell’attenuante in esame in tutti quei casi in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità ed alle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà personale (sessuale) della vittima sia stata compressa in maniera meno grave (ad es. l’atto sessuale compiuto fruendo dell’iniziale consenso del partner nonostante la successiva ed immotivata revoca del consenso stesso).

(tratto da Diritto Penale parte speciale – L. Delpino, Edizioni Giuridiche Simone)

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