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Il grande Avv. Calamandrei nel 1935 – ma la situazione è rimasta pressoché immutata fino ad oggi – nel suo “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” affermava che nel processo penale la persona offesa è un ospite.
Tale pessimistica visione del ruolo della vittima nel corso del procedimento penale tutto (indagini preliminari comprese) è ancora grandemente attuale e si riflette (ma sarebbe meglio dire: determina) i poteri e le facoltà di cui è titolare la vittima di reato restringendone assai la portata e l’estensione.
Durante le indagini preliminari – fase che qui ci interessa più da vicino rispetto a quella successiva solo eventuale dell’accertamento del merito ovvero la fase processuale ove la persona offesa può costituirsi parte civile – la vittima del reato è uno spettatore passivo delle attività investigative potendo esclusivamente essere sentita quale persona informata sui fatti e, eventualmente, depositare memorie difensive al PM per mezzo del proprio difensore.
Certamente la p.o. (la persona offesa), come abbiamo già avuto modo di sottolineare in diverse pagine del sito, può svolgere delle indagini investigative difensive (parallelamente a quelle della Polizia Giudiziaria); ma egli – diversamente anche dall’indagato – è e rimarrà ignaro dello stato delle indagini fino all’inizio del processo (ovvero in un momento successivo rispetto, come detto, a quello riconosciuto all’accusato che potrà visionare tutti gli atti di indagine ben prima del processo ovvero a seguito della notifica dell’atto ex art. 415 bis c.p.p. o avviso di conclusione delle indagini preliminari).
Il Legislatore ha inteso coinvolgere maggiormente nelle indagini la persona offesa con la recente legge n. 119/2013 in tema di c.d. femminicidio e violenza domestica (prevedendo, ad esempio, anche per la vittima la notifica del richiamato avviso ex art. 415 bis c.p.p. con la connessa possibilità di accedere al fascicolo delle indagini preliminari antecedentemente al processo); ma l’impianto del codice di procedura penale rimane un sistema in cui la persona offesa è ai margini dell’azione penale il cui dominus è e rimane il Pubblico Ministero (ovvero lo Stato).
Preso atto di tale assetto del codice (che spesso crea grande frustrazione nella vittima che si sente “messa da parte” dagli investigatori e dalla Pubblica Accusa), è davvero sempre consigliabile che la persona offesa – fin dalle prime battute del procedimento penale – si avvalga dell’assistenza di un professionista di fiducia per sfruttare al meglio le limitate iniziative che il codice di procedura gli riconosce (soprattutto in tema di indagini investigative difensive e di rapporti ufficiali con il P.M. sotto la cui direzione si svolgono le indagini.
Uno dei diritti fondamentali della persona offesa da reato è, infatti, quello di potersi opporre all’eventuale richiesta di archiviazione proposta dalla Pubblica Accusa al Giudice per le indagini preliminari (il G.I.P.).
Quando il PM a fronte di un’ipotesi accusatoria formulata:
– a carico di ignoti;
– o a carico di indagati individuati
ritenga di non avere gli elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, avanzerà al GIP motivata richiesta di archiviazione.
Il PM potrà liberamente determinarsi in un senso o nell’altro sia che si tratti di reati perseguibili di ufficio che a querela di parte ed in riferimento a qualsiasi sia l’ipotesi accusatoria iniziale.
Tale richiesta – di norma – NON deve essere notificata alla persona offesa la quale – di norma – non potrà fare altro che apprendere (informandosi personalmente presso i competenti uffici del Tribunale) l’avvenuta archiviazione da parte del GIP o, se è molto fortunata, della presentazione della richiesta del PM alla quale non è ancora seguito il provvedimento del GIP.
Quando, invece, la persona offesa ha espressamente chiesto (con atto depositato al Pubblico Ministero) di essere avvertita della richiesta di archiviazione (ex art. 408 comma II^ c.p.p.), avrà diritto alla notifica della richiesta stessa con la possibilità di opporvisi entro dieci giorni nel corso dei quali il GIP non potrà provvedere su quanto richiesto dalla Pubblica Accusa.
Anche in questo caso, quindi, il diritto procedurale prevede una partecipazione attiva della persona offesa nel procedimento penale solo se la stessa ha espressamente richiesto di essere coinvolta (con la richiesta di avviso dell’istanza di archiviazione del PM).
Come detto, entro dieci giorni dall’avvenuta notifica della richiesta del PM, la persona offesa – per mezzo del proprio difensore – può proporre ex art. 410 c.p.p. atto di opposizione alla richiesta di archiviazione (si sottolinea che il termine di dieci giorni non è perentorio potendo intervenire l’opposizione fino a quando il GIP non provvede sulla richiesta ovvero anche decorso il limite indicato dei dieci giorni).
L’atto di opposizione deve essere depositato presso la Segreteria del PM che ha proposto la richiesta di archiviazione e deve contenere a pena di inammissibilità:
l’oggetto della investigazione suppletiva;
ed i relativi elementi di prova.
Si tratta, quindi, di un atto necessariamente ben strutturato che deve constare – a pena di inammissibilità – dell’indicazione di tutti quelle soluzioni investigative che – se adottate – potrebbero essere utili per colmare le lacune delle indagini fino a quel momento espletate ed il cui esito (sempre fino a quel momento) non renderebbe a parere del PM sostenibile l’accusa in giudizio.
Un atto di opposizione che si limiti ad esplorare alcune eventualità investigative o a censurare (magari anche in maniera motivata) le indagini del PM, o che implichi esclusivamente una rilettura del coacervo indiziario raccolto durante le indagini, non sarà valutato come ammissibile dal GIP (il deposito avviene nella segreteria del PM che poi trasmette tutto il fascicolo, atto di opposizione compreso, al GIP).
Di diversa natura e numerosi potranno essere gli ulteriori atti di indagine che la persona offesa potrà indicare quale fondamento della propria opposizione: escussione/i di persone informate sui fatti, produzioni documentali, accertamenti tecnici, esperimenti giudiziali, consulenze tecniche etc.
Si sottolinea che la persona offesa nella propria opposizione potrà:
documentare adempimenti investigativi effettuati in sede di indagini investigative difensive (ed in tale categoria deve comprendersi qualsiasi produzione documentale e qualsiasi altro adempimento investigativo – escussioni di testi, consulenze, documenti video e fotografici etc. – svolto direttamente dalla persona offesa con il proprio difensore);
indicare al GIP quali atti di indagine è opportuno che compia il PM;
– confezionare l’atto di opposizione comprendendovi entrambi i richiamati profili.
Il Giudice per la indagini preliminari ricevuto il fascicolo delle indagini, la richiesta di archiviazione del PM e la successiva opposizione della persona offesa, provvederà alternativamente:
– se riterrà l’opposizione della persona offesa inammissibile (poiché carente dei requisiti di legge sopra indicati) e la notizia di reato infondata (come evidenziato dal PM nella sua richiesta) emetterà ordinanza di archiviazione;
– se riterrà l’atto di opposizione ammissibile ovvero completo delle condizioni di legge per la sua validità, il GIP fisserà apposita udienza camerale ex art. 127 c.p.p. (nella sua stanza e senza la presenza di pubblico) per l’analisi della fondatezza dell’opposizione (l’ammissibilità di cui sopra si è detto, invero, riguarda solo una superficiale analisi dell’indicazione nell’atto di opposizione degli obbligatori presupposti di legge dell’investigazione suppletiva e dei relativi elementi di prova senza approfondirne in quella analisi preliminare la valenza a supplire le lacune delle indagini preliminari del PM).
Della fissazione dell’udienza camerale avanti al GIP verrà data notizia alla persona offesa, al PM e – se il procedimento penale è a carico di soggetti noti – anche all’accusato.
Fino a cinque giorni prima dell’udienza, tutte le parti potranno accedere (nuovamente, poiché un primo accesso è ovviamente collegato a seguito della richiesta di archiviazione del PM poiché, diversamente, non sarebbe stato nemmeno possibile per la p.o. rendersi conto su quali documenti, atti ed analisi l’Accusa ha inteso presentare l’istanza di archiviazione) al fascicolo delle indagini e potranno depositare ulteriori documenti al GIP.
Nel corso dell’udienza – alla quale le parti hanno la facoltà ma non l’obbligo di partecipare – si instaurerà un contraddittorio contratto tra le parti e, nell’ordine, prenderanno la parola: il difensore della persona offesa opponente, il PM (che insisterà per la propria richiesta di archiviazione) e la difesa dell’indagato (che, ovviamente, aderirà alla richiesta del PM di non coltivare l’azione penale).
E’ bene che la difesa della persona offesa:
– prima dell’udienza si accerti se le altri parti (PM e indagato) hanno depositato documentazione al GIP;
– non si limiti a ripetere le argomentazioni già dedotte con l’atto di opposizione (sulle quali si concentreranno le motivazioni di segno contrario di PM e accusato per una volta uniti dalla medesima volontà di interruzione del procedimento penale) ma arricchisca e completi quanto già dedotto con il deposito di un’articolata memoria difensiva illustrata verbalmente nel corso dell’udienza camerale avanti al GIP.
Al termine dell’udienza il GIP si riserverà ed assumerà una tra le seguenti decisioni (notificata alle parti successivamente):
– se il GIP ritiene che la richiesta del PM non sia superata dall’atto di opposizione e che non ci siano elementi di sorta acquisiti o acquisendi che possano essere utili per sostenere l’accusa in giudizio, emetterà ordinanza di archiviazione che è ricorribile per Cassazione SOLO nel caso in cui vi siano stati difetti di notifica alle parti processuali dell’udienza camerale (e sul punto si nota, ovviamente, l’impossibilità per la parte offesa di impugnare l’ordinanza di archiviazione per motivi di merito e non meramente procedurali);
– se il GIP ritiene necessarie ulteriori indagini le indica al PM dando un tempo per l’espletamento delle stesse. Espletate le indagini il PM potrà esercitare l’azione penale o presentare una nuova richiesta di archiviazione con un ciclo virtualmente infinito;
– se il GIP ritiene che la vicenda sia sufficientemente chiara ed approfondita per essere esaminata in sede processuale, ordina al PM che entro dieci giorni formuli l’imputazione (la c.d. imputazione coattiva) ed entro i due giorni successivi è fissata l’udienza preliminare.
Negli ultimi due casi la persona offesa può ritenere essere stata accolta l’opposizione presentata.
Bisogna sottolineare in ogni caso che:
– il GIP al quale il PM presenta la richiesta di archiviazione non ha alcun obbligo di accogliere la richiesta anche in difetto di una precisa opposizione della persona offesa (che potrebbe essere, come visto, anche ignara dell’istanza della Pubblica Accusa) può di sua iniziativa fissare l’udienza camerale con le medesime modalità di quella fissata a seguito di opposizione della persona offesa.
– Anche in presenza di ordinanza motivata di archiviazione emessa dal GIP, la persona offesa può presentare al PM una richiesta con l’indicazione di nuovi elementi sopravvenuti che, se letti unitamente a quelli già investigati, potrebbero rendere necessarie nuove investigazioni. In tal caso è il PM che deve presentare formale richiesta al GIP che autorizzerà nuove indagini con una nuova iscrizione del procedimento nel registro generale notizie di reato.
Questo, dunque, lo schema generale dell’opposizione alla richiesta di archiviazione della persona offesa.

Riporto qui di seguito un modello di opposizione relativo ad una triste vicenda di un giovane trovato misteriosamente morto per precipitazione presso un cantiere edile in Milano presso il quale si recava senza nessun apparente motivo sottraendo il motorino del cognato subito dopo essere uscito con il parente dal luogo di lavoro.
A seguito di articolate indagini il PM – preso atto della mancata individuazione di eventuali autori nonché dell’impossibilità di stabilire in maniera certa la genesi della morte violenta (suicidio, disgrazia o omicidio) – presentava richiesta di archiviazione al GIP alla quale la famiglia del giovane (con la scrivente difesa) si opponeva.
Da notare che il predetto atto di opposizione – sebbene ciò non sia richiesto a pena di inammissibilità dalla procedura penale – si dilunga in una preliminare attenta disamina critica delle indagini svolte mettendone in luce le fallacie e le lacune ed indicando quali sarebbero state le modalità più opportune per acquisirne genuinamente il prodotto.
Al termine di tale fase interpretativa degli elementi già in atti (nella quale la difesa potrà in generale censurare anche un’eventuale non corretta interpretazione delle norme inerenti la fattispecie) e delle indagini preliminari eseguite (che, come detto, critica che se isolata non avrebbe realizzato le condizioni di legge per l’ammissibilità dell’atto di opposizione), l’atto di opposizione è completato dal difensore con l’indicazione delle indagini preliminari suppletive ed i relativi elementi di prova che – proprio alla luce della precedente disamina delle indagini già espletate (e l’eventuale censura in tema di interpretazione di del diritto applicato) – risulteranno per il GIP di immediata comprensione in tutta la loro pertinenza e chiarezza.

ILL.MO GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
PRESSO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO

ILL.MO PUBBLICO MINISTERO
PRESSO LA PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO

– atto di opposizione alla richiesta di archiviazione –

R.G.N.R. *** mod. 44

Il sottoscritto Avv. Giuseppe Maria de Lalla del Foro di Milano, difensore di fiducia dei Signori
***
nata a *** e residente in *** (madre della giovane vittima) e
***
nato a *** residente in *** (padre della vittima)
parti offese nel procedimento penale indicato in epigrafe in relazione al decesso del figlio
L. G.
generalizzato come in atti sul quale esercitavano la patria potestà
PREMESSO
• Che con atto notificato alle persone offese presso il sottoscritto difensore il Signor Pubblico Ministero Dott. Civardi presentava a codesto Giudice per le indagini preliminari richiesta di archiviazione per le ipotesi di reato ex artt. 73 DPR 309/1990 e 589 c.p. tutt’ora a carico di ignoti
Ciò premesso, il sottoscritto difensore con il presente atto intende presentare come, in effetti, presenta
OPPOSIZIONE
alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero ed a tal fine – preliminarmente –
OSSERVA
Benché l’art. 410 c.p.p. non lo preveda, la scrivente difesa – oltre ad indicare gli elementi previsti dall’articolo richiamato – ritiene opportuno segnalare al Giudice per le indagini preliminari alcuni aspetti dei fatti denunciati e delle indagini preliminari ad oggi svolte al fine di meglio chiarire quali sono – a parere della scrivente difesa – gli incombenti investigativi che potrebbero contribuire a chiarire (unitamente alle risultanze già acquisite) la drammatica vicenda oggetto del presente procedimento penale.
***
Occorre preliminarmente segnalare che in questa sede la difesa della persona offesa, madre del giovane *** (il padre è deceduto), non ha elementi per indicare uno o più responsabili (sia a titolo di colpa che di dolo) della morte della vittima.
Come detto, tuttavia, letti ed esaminati tutti gli atti di indagine, appare necessario in questa sede sollevare alcuni importanti interrogativi ai quali le indagini (seppur, per certi aspetti, articolate e scrupolose) non hanno dato risposta alcuna ed altresì dei quesiti che non sono stati nemmeno affrontati dagli investigatori.
A ciò si aggiunga che alcune iniziative che avrebbero potuto dare un riscontro – sia di segno negativo che positivo – alle dichiarazioni di alcune persone escusse in sede di S.I.T. e costituire nuovi impulsi per le investigazioni non sono state intraprese dagli investigatori.
La presente opposizione, come accennato, non ha quale fine quello di indicare direttamente uno o più probabili responsabili della morte del giovane; bensì quello di offrire al Giudice (e quindi, indirettamente, anche all’organo dell’Accusa Pubblica) degli spunti, dei temi e degli elementi concreti per fare luce sulle cause e sul contesto della morte ad oggi equivoca di L.G..
L’individuazione di possibili responsabili, invero, vede quale indefettibile presupposto logico e giuridico il chiarimento della dinamica della morte della vittima. Risolto tale aspetto, ancora oggi non del tutto appurato, sarà possibile vagliare se la dinamica accertata ha quale presupposto o concausa l’azione o l’omissione (dolosa o colposa) di terzi.
Peraltro, l’accertamento dell’eziologia letifera della precipitazione (poiché tale dato non pare possa mettersi in dubbio) potrebbe anche chiarire se si è trattato di un incidente letale che non ha visto alcun contributo di altri soggetti se non quello della povera vittima.
Ad oggi – e questo sicuramente è un ulteriore tema bisognoso di approfondimento – non è dato nemmeno sapere con certezza, non solo se terzi hanno contribuito alla morte del giovane, ma anche se L. abbia effettivamente cercato la morte o sia stato vittima della sua imprudenza dovuta eventualmente anche ad uno stato psicologico alterato (o dalla cannabis o da una patologia delirante).
Non sembrano potersi ritenere soddisfacenti e conclusive le indagini preliminari svolte; e ciò non perché non sia stata individuata la responsabilità di terzi (che, come detto, potrebbe anche non essere accorsa) ma soprattutto poiché l’azione degli investigatori non ha nemmeno chiarito:
– se la morte della vittima sia dovuta ad un incidente o ad una volontà suicida;
– né il lavoro degli investigatori ha permesso di ricostruire i movimenti della vittima dalle ore 17.00 del 27.4.2005 (allontanamento a bordo del motorino) alle ore 1,30 circa del 28.4.2005 (ora alla quale è fatto risalire il momento del decesso);
– né se L. abbia incontrato qualcuno in quel lasso di tempo;
– né il motivo per il quale la vittima si sia recata presso il cantiere;
– né il luogo esatto dal quale il giovane sarebbe precipitato;
– né i passaggi di possesso del motorino sul quale si allontanava L.

Di seguito – in dettaglio – tutte le deduzioni in merito.
SOMMARIO
1. Il luogo del ritrovamento del cadavere e la sua posizione. La compatibilità con la precipitazione e l’impatto con le strutture dell’impalcatura e/o con i materiali sporgenti.
2. L’ipotesi suicidiaria.
2.1 L’ipotesi suicidiaria alla luce delle riferite frasi farneticanti e dell’episodio della notte tra il 26 ed il 27 aprile (i sassi tirati alla finestra).
3. Il motorino. La ricostruzione dei passaggi da L. ad A. O.
4. Le dichiarazioni del N. e l’assenza di riscontri.
****************
1. Il luogo del ritrovamento del cadavere e la sua posizione. La compatibilità con la precipitazione e l’impatto con le strutture dell’impalcatura e/o con i materiali sporgenti.
Allo stato attuale non è dato sapere da che piano sia precipitata la vittima.
Le circostanze che possono ritenersi acclarate sono:
– che L. sia morto per precipitazione;
– che il suo cadavere non è stato mosso o spostato da terzi dopo la caduta (il luogo di impatto, come vedremo, non è altrettanto certo).
Dalla lettura degli atti sembrerebbe che sia ipotizzata la caduta dal 10^ piano (V. relazione di servizio del Dott. F. del 28.4.2005) ma si tratta di un’ipotesi che non trova riscontro alcuno, non essendo stata trovata alcuna traccia della vittima sul quel piano (o in altri piani).
Non è dato sapere neanche come la vittima abbia raggiunto – eventualmente – il decimo piano, posto che il montacarichi non può essere azionato senza l’apposita chiave.
Dalla lettura della medesima relazione del Dott. F. si evince che un controtelaio sarebbe stato trovato in una posizione diversa da quella della sera prima ovvero appoggiato al ponteggio (e, quindi, sembrerebbe che lo stesso sia stato spostato dopo la chiusura del cantiere e, di conseguenza, dalla vittima) ma non è dato nemmeno immaginare il motivo per il quale L. avrebbe dovuto spostare il manufatto e metterlo in quella posizione (V. foto 26 e 27 allegate ai rilievi tecnici). Sarebbe stato, semmai, utile sapere quanto pesa un controtelaio di una porta blindata e valutare se la vittima (di corporatura non certo robusta) avrebbe potuto da solo spostare il controtelaio di una porta blindata e posizionarlo all’altezza dei propri occhi.
Ugualmente utile sarebbe stato effettuare sul controtelaio spostato una ricerca delle impronte digitali della vittima.
Il corpo viene trovato a circa 5.00 metri dalla perpendicolare della struttura della torre (V. il fascicolo dei rilevi tecnici e le misurazioni rappresentate anche tramite le planimetrie in atti).
Tale distanza non risulta del tutto compatibile con una caduta accidentale: il corpo avrebbe dovuto essere più vicino al muro ed al limite cadere sul tetto del montacarichi (V. la foto n. 28 nella quale si apprezza la perpendicolare della caduta e la distanza del corpo sia dal montacarichi che dall’impalcatura ancorata al muro della torre in costruzione).
La distanza di 5.00 metri sembra più compatibile con un salto che manifesterebbe la volontà suicida del giovane; volontà che, però, come si osserverà in seguito, non è in alcun modo possibile dare per scontata.
E’ anche vero che nei pressi del corpo, vicino al montacarichi (foto 15,16 e 29 quest’ultima più utile per osservare la posizione del corpo rispetto alla trave) è stata trovata un’asse da ponteggio con un angolo spezzato e che vicino all’asse è stato trovato anche il cappellino del povero ragazzo.
Tale circostanza dovrebbe essere eventualmente letta – passaggio che non è stato affrontato durante le indagini preliminari – anche alla luce della foto n. 9 allegata agli accertamenti effettuati dall’ASL, dalla quale si evince (ed è anche appuntato a penna) che in quella posizione è risultata mancante un’asse/passerella.
E’ quella trovata spezzata vicino al corpo della vittima?
A che piano è stata rilevata la mancanza dell’asse?
Come mai vi è quella distanza tra il corpo e l’asse se sono caduti insieme e contemporaneamente?
Qualora si ritenesse che il ragazzo sia caduto insieme all’asse per essere inciampato in essa mentre si trovava nell’edificio in costruzione, è compatibile la posizione del corpo rispetto all’asse?
I calcinacci evidenziati sopra al montacarichi (Foto n. 21 e 22) da dove provengono? Dal medesimo piano ove è mancante l’asse?
Sul corpo del giovane in regione lombo/sacrale/dorsale è stata trovata una profonda escoriazione formata longitudinale, esito evidentemente di un impatto quando le funzioni vitali del giovane erano ancora presenti (Foto 41); ma tale dato non sembra collimare con la visione del corpo dall’alto (Foto 28) poiché non vi sono porzioni di ponteggio sporgenti sulle quali avrebbe potuto impattare il corpo nella caduta (mancano soprattutto sporgenze che avrebbero potuto produrre quel tatuaggio longitudinale dell’escoriazione di cui si tratta).
Si potrebbe ipotizzare che l’escoriazione sia l’esito dell’impatto con il profilo del montacarichi (che si vede nella foto 28 dall’alto); ma in tale eventualità il cadavere (precipitato alla fine della caduta proprio sul montacarichi che è fermo a livello del suolo) avrebbe dovuto trovarsi nelle immediate vicinanze del montacarichi medesimo e non a qualche metro di distanza (non sembra plausibile – né la letteratura riporta – un rimbalzo del corpo per di più entrato in contatto con una superficie limitata dell’ostacolo posizionato, si badi bene, non in maniera tale da modificarne la traiettoria durante la precipitazione, bensì a terra). A ciò si aggiunga che appare improbabile che il corpo del giovane di oltre 60 Kg con la forza della precipitazione non abbia provocato alcun segno evidente dell’impatto sul montacarichi.
Sarebbe poi opportuno (accertamento che è possibile effettuare anche tramite le foto in atti) calcolare la distanza esatta dal corpo dal montacarichi.
Peraltro, se il primo impatto del corpo a pochi centimetri dal suolo (tanti quanti è alto il montacarichi) fosse avvenuto tra la regione lombo/sacrale e la struttura del montacarichi, le lesioni mortali sarebbero concentrate proprio nel distretto del corpo maggiormente interessato dall’impatto (e, quindi, la schiena) mentre nel caso della vittima il referto autoptico individua la prima zona di impatto con il suolo con quella occipitale.
Nelle foto 42 e 43 si rileva l’esteso squarcio nei jeans del ragazzo.
Preso atto della robustezza della tela e del fatto che tale taglio non era certo preesistente alla caduta, bisogna domandarsi con quali modalità è avvenuta la rottura dei pantaloni. Dalla lettura degli atti non si evince spiegazione alcuna e parrebbe (ma è una interpretazione lasciata del tutto al lettore) che la stessa debba spiegarsi con la caduta.
Ma tale particolare non può essere accettato senza critica, dal momento che – come detto – non sembra che la traiettoria del corpo possa aver incrociato delle parti fisse, né è possibile immaginare che un’eventualità del genere non abbia lasciato traccia alcuna sulla pelle del giovane nella medesima regione del taglio dei pantaloni (foto n. 42).

2. L’ipotesi suicidiaria.
Spesso l’evento morte deve essere ricostruito ex post, vagliando anche l’ipotesi suicidiaria.
Esiste un approccio metodologico corretto (la c.d. autopsia psicologica, Edwin Shneidman e Norman Farberow, 1970) per sondare tale terribile volontà in cui la vita fa più paura e risulta più terribile della morte.
La letteratura più recente (Il sopralluogo psico-criminologico, Marco Manzoni, Giuffrè Editore, Milano 2013) ha evidenziato come la ricostruzione della volontà suicida nel caso di decessi le cui cause sono equivoche (ovvero non si riesca a stabilire con certezza cosa abbia portato un individuo alla morte e per quali ragioni) deve essere effettuata alla luce di un’attenta, scrupolosa ed approfondita raccolta di ogni informazione relativa alla vittima ovvero:
– Storia della vittima (la famiglia, le malattie, pregressi tentativi di suicidio in primis);
– La ricerca sulle morti avvenute nella famiglia della vittima;
– Descrizione della personalità e dello stile di vita della vittima;
– Le modalità di reazione allo stress adottate dalla vittima;
– Eventuali problematiche sorte negli ultimi 12 mesi;
– Eventuale uso di droghe o alcool;
– Raccolta di informazioni sullo stile di relazione interpersonale;
– Fantasie, timori, paure, pensieri della vittima rispetto alla morte;
– Eventuali cambiamenti nello stile di vita o nelle abitudini;
– Analisi dei progetti di vita e di eventuali successi o fallimenti;
– Intenzioni della vittima in merito al decesso;
– Grado di letalità del gesto;
– Analisi delle reazioni di familiari e conoscenti alla notizia della morte;
– Altre informazioni utili a capire le condizioni psicologiche, sociali ed economiche della vittima.
Va da sé che tali informazioni non possono che essere raccolte mediante interviste ad amici e parenti della vittima ben strutturate, su larga scala, condotte da persone già esperte oltre che con l’acquisizione di documentazione.
Ebbene, nel caso specifico tale attività non è stata svolta.
Tale investigazione di ordine psicologico è solamente abbozzata mediante il tratteggio di alcuni dati del giovane L. desunti da informazioni assunte mediante lo strumento delle S.I.T. il cui contenuto, peraltro, non appare univocamente interpretabile.
Probabilmente, l’incombente più vicino ad una ricerca dello stato psicologico della vittima al momento del decesso è quello esperito dal Dott. G., Ispettore Capo della Polizia in data 25.5.2005 (in atti) che presso gli uffici della Questura – unitamente a due colleghi – intervistava informalmente il fratello di L., J. G..
Seppur lodevole, l’intento veniva effettuato – a parere di chi scrive – incorrendo in più bias di portata tale da contaminare l’attendibilità dell’intervista.
J., innanzitutto, veniva escusso negli uffici della Questura alla presenza di tre “poliziotti” ovvero in un setting non adatto a mettere a proprio agio il giovane già provato dagli eventi (la morte del fratello, la malattia del padre, la separazione dei genitori, ecc.).
Inoltre, dalla lettura della relazione di servizio si evince chiaramente che era lo stesso intervistatore – supportato anche dagli altri due colleghi – ad ipotizzare per primo e a più riprese il suicidio di L. mettendo in evidente difficoltà l’intervistato (il quale, affranto, si prendeva a più riprese il capo tra le mani).
Sarebbe stato più opportuno non “contestare” le proprie convinzioni a Joseph cercando una conferma (con un approccio verificazionista) ma lasciare allo stesso la possibilità di spiegare compiutamente le proprie ipotesi.
L’Ispettore Capo interpretava il testo di una delle tante canzoni che ascoltava L. quale “dichiarazione di intenti” della volontà suicida del giovane non valutando correttamente che la maggioranza dei tardo-adolescenti si sente inadeguata, sola, incompresa e ascolta canzoni con testi struggenti (senza peraltro indagare su tutte le altre canzoni che L. ascoltava ed i CD che possedeva).
Non mi sembra che il quadro psicologico di L. possa ricostruirsi quale gravemente compromesso (e compatibile con il suicidio) neppure dal fatto che non avesse a Milano legami stabili di amicizia, anche perché viveva in città da soli cinque mesi e, in ogni caso, a V. (dove viveva prima di trasferirsi nel capoluogo Lombardo) la madre aveva addirittura approntato una saletta in taverna perché il figlio si ritrovasse (appunto) con gli amici del paese (V. le S.I.T. della madre).
Mi sembra, invece, che l’Ispettore Capo – con il comprensibile e condivisibile intento di spiegare e ricostruire l’accaduto – abbia intervistato il giovane per avere conferma di una propria convinzione, piuttosto che per ottenere dei dati da comparare con il resto del coacervo indiziario.
Del resto, quale contributo avrebbe mai potuto dare il fratello della vittima messo “all’angolo” dalle contestazioni aridamente logiche dei tre poliziotti più propensi ad informare (L. si è suicidato) che ad essere informati (cosa pensi che possa essere successo e perché lo pensi?)?
Analizzando le altre S.I.T., inoltre, non si ravvisa mai alcun passaggio che potrebbe far propendere per una volontà della vittima di togliersi la vita.
Né la madre, né il padre, né l’ N. (il cognato di L.), né il P. (il datore di lavoro di L.) riferiscono di fantasie anche solo lontanamente ricollegabili al suicidio apprese direttamente o indirettamente dalla vittima (dello stato confusionale di L. manifestato nel pomeriggio del 27.4 tratteremo dopo e, comunque, si deve già accennare che anche nel delirio il giovane non manifestava mai alcuna volontà di togliersi la vita).
L. aveva trovato un lavoro, aveva dei progetti (V. SIT della madre in particolare che riferisce di un ragazzo curato e tranquillo) viveva in armonia con il padre, con la madre, con i fratelli e aveva accanto a lui sia il fratello J. (con il quale aveva iniziato a frequentare una compagnia di pari) che il cognato N. con cui lavorava e si faceva ogni tanto qualche canna.
Certo la separazione dei genitori lo aveva segnato e dalla lettura dei verbali delle dichiarazioni dei familiari sembra che questo ragazzo un po’ si “trascinasse” giorno per giorno; ma il ritratto complessivo non spicca per una condizione psicologica così compromessa (ad esempio costellata da episodi di antisocialità anche non necessariamente violenta ed anche auto-diretta o di abbandono e solitudine anaffettiva) quale quella di colui che sceglie la morte anziché la vita.
Il medico del lavoro (la Dott.ssa L. C. in forze presso gli ICP di Milano) aveva visitato L. solo due settimane prima della tragedia (certificato in atti) ma nulla aveva rilevato ritenendo il giovane idoneo alle mansioni lavorative e la vittima era stata visitata anche dal Dott. P. medico di famiglia (V. SIT T. – la madre della vittima – pag. 2) che, ugualmente, non aveva notato alcunché (il Dott. P. non è stato escusso durante le indagini, ma la madre della vittima, pur a conoscenza della visita del figlio con il medico di famiglia, non riferiva di successivi colloqui con il Dottore che il medico avrebbe senz’altro richiesto se avesse notato uno scompenso psicologico del giovane paziente).
L’ipotesi suicidiaria (oltre a contrastare con la dinamica dei fatti come sopra illustrata) non sembra trovare riscontri obbiettivi univoci anche, come detto, a causa del difetto di atti di indagine psicologica correttamente intesi ed attuati dagli investigatori.

2.1 L’ipotesi suicidiaria alla luce delle riferite frasi farneticanti e dell’episodio della notte tra il 26 ed il 27 aprile (i sassi tirati alla finestra).
E’ fuor di dubbio che l’ipotesi del suicidio trovi il maggior indizio nei riferiti (dal P. e dall’N.) fantastici timori espressi da L. sia al datore di lavoro che al cognato a partire dal 27 aprile pomeriggio.
Episodio che troverebbe un altrettanto preoccupante ed emblematico precedente nella convinzione della vittima di essere il bersaglio del cognato nella notte tra il 26 ed il 27 aprile.
Tali importanti esordi allucinatori non trovano riscontro in alcun precedente comportamento della vittima.
Nessuna delle persone escusse riferisce di paure, timori e riflessioni infondate e irragionevoli, partorite dalla mente di L. nei giorni precedenti alla sua ultima notte a casa.
Non pare esservi alcun elemento obbiettivo – nella storia di vita del giovane L. – dal quale trarre la diagnosi di una patologia mentale (si direbbe un delirio di persecuzione) di tale gravità da alterare la percezione fino al punto di sentire “le voci” ed essere convinto di altri avvenimenti inesistenti e/o incredibili (la castrazione, la morte del padre, il complotto di “quelli di Rogoredo”).
È come se a far data dalla notte tra il 26 ed il 27 aprile 2005 si fosse slatentizzata nella vittima una grave forma allucinatoria persistente e robusta, senza che la stessa si fosse in precedenza manifestata in una forma più fugace o attenuata.
È mai possibile che L., che per anni conduce una vita magari poco spensierata ma “nella norma” (termine approssimativo ma significativo), nel giro di una notte sia preda di deliri irrefrenabili in conflitto con quanto direttamente percepito (l’esistenza in vita del padre ad esempio) e del tutto fantastici?
Le indagini non hanno approfondito molto questo aspetto – e, anzi, bisogna rilevare che erroneamente il PM, nella richiesta di archiviazione a pag. 2, indicava che il comportamento “strano” della vittima si sarebbe protratto per giorni, essendosi in realtà risolto in un pomeriggio – e ben si sarebbe dovuto procedere all’audizione di qualche amico di L. e/o con quella della Dott.ssa C. (il medico del lavoro) e sicuramente con quella del medico di famiglia di L. (il Dott. P.) che lo aveva visitato anche qualche giorno prima della tragedia.
Bisogna sottolineare che se si ipotizza che i deliri della vittima siano stati correlati ad una volontà suicida (benché – come già osservato – le paranoie della vittima non abbiano mai incluso la determinazione al suicidio), bisogna ammettere che i vaneggiamenti hanno sconvolto con violenza, persistenza ed in profondità l’equilibrio psicologico della vittima e tale eventualità è viepiù in contrasto (ma ai giuristi – diceva Nuvolone – “basta la psicologia degli ignoranti”) con un’insorgenza repentina delle allucinazioni (una notte e mezza giornata) e, soprattutto, in difetto di qualsiasi avvisaglia.
Né si può indicare l’uso di hashish quale ragione della predetta slatentizzazione.
Innanzitutto, perché i casi di allucinazioni persistenti e importanti sono assai rari anche nell’eventualità di un’intossicazione cronica da canapa indiana (le analisi hanno escluso l’assunzione di qualsiasi altra droga).
Secondariamente, perché L. non risulta aver fumato il 27 aprile.
Sarebbe stato interessante analizzare lo stupefacente eventualmente in possesso del cognato della vittima, l’N..
L’analisi tossicologica ha messo in evidenza che la vittima aveva fumato cannabis subito prima della morte.
Orbene, questo è un dato che non è stato analizzato – secondo chi scrive – in tutte le sue implicazioni.
Innanzitutto: L. aveva con sé della droga al momento dell’allontanamento dalla sede della Zurigo alle 17.00 del 27 aprile?
Sembra di no. L’N. – l’unico che poteva saperlo – non lo riferisce, né ne vengono ritrovati dei residui presso il cantiere delle torri di via Eritrea.
Ma se non lo aveva con sé, dove è possibile che se lo sia procurato? Dov’era la “piazza” in cui di solito L. (definito un abituale assuntore alla luce dell’analisi tossicologica in atti) si riforniva? Da chi?
Nessuna domanda in merito è stata mai formulata a chicchessia benché i capi di imputazione confezionati dal PM richiedessero proprio indagini attente in tal senso.
Inoltre, se L. ha fumato uno o più spinelli prima di morire, dove sono le cartine che ha utilizzato per confezionare le canne?
Nelle sue tasche non è stata trovata la confezione; soprattutto, comperate le sigarette, il resto dei dieci euro ricordati dall’N. (verbale di SIT) viene trovato (€ 4,29) nelle tasche del giovane.
Si può ragionevolmente escludere che ne avesse di singole in tasca poiché non si sarebbero conservate intatte fin dalla mattina quando è andato al lavoro fino a notte inoltrata.
Rimane plausibile che abbia fumato con qualcun’altro che le aveva; ma con chi?
Se ha fumato, poi, deve averlo fatto in un posto diverso dal cantiere poiché colà (sul luogo della precipitazione, al decimo piano, negli altri piani ella torre) non è stato rinvenuto alcun mozzicone di spinello (che tutti sappiamo essere ben diverso da quello delle sigarette e, quindi, facilmente individuabile).
Se aveva con sé del “fumo” o della marijuana e lo avesse consumato tutto prima di morire, dovrebbero esserne rimaste delle tracce sui suoi indumenti (nelle tasche, nel portafoglio, nella borsetta che aveva a tracolla) ma tale analisi non è stata effettuata (i residui si repertano facilmente con un tampone adesivo).
Si legge che le estremità del corpo sono state “insacchettate” correttamente (V. verbale di sopralluogo); ma non è dato sapere se sotto le unghie del giovane siano stati trovati dei residui di “fumo” che sarebbero stati senz’altro presenti se L. avesse rollato uno spinello subito prima di morire.
Rimane il fatto che quello squilibrio mentale che nelle indagini sembra essere ricollegato alla volontà suicida del giovane non è minimamente approfondito dagli investigatori, ma anzi enfatizzato, sebbene risulti essere un evento isolato.
Altre indagini volte alla c.d. e richiamata “autopsia psicologica” non sono state eseguite.

3. Il motorino. La ricostruzione dei passaggi da L. ad A. O..
La ricostruzione dei passaggi del Malaguti del cognato della vittima è di fondamentale importanza per chiarire alcuni centrali aspetti della vicenda di L..
L. raggiungerebbe il cantiere di via Eritrea a bordo del motorino.
Questo è un dato che non è possibile dare per scontato.
La distanza stradale più breve tra la sede della Zurigo (via Quadrio) e via Eritrea è di circa 5 km ).
Non si tratta di un tragitto che è impossibile da percorrere a piedi o con i mezzi.
Non vi è alcuna informazione obbiettiva che possa far ritenere certo che L. utilizzi il motorino fino al cantiere.
Ha avuto un incidente durante il tragitto? Sembra di no perché il motorino è intatto quando viene trovato in possesso dell’O..
E’ stato sottratto a L. prima o dopo la morte?
L’interrogativo è opportuno anche alla luce di una circostanza ben precisa.
Quando N. viene chiamato in direzione al termine della giornata di lavoro, L. si allontana in motorino; quando viene ritrovato cadavere ha delle sigarette in tasca. Dove le ha comperate?
Quando è entrato nel negozio gli è stato forse rubato il motorino?
Dove ha comperato le sigarette? Vicino alla sede della Zurigo in via Quadrio vi è un tabaccaio per raggiungere il quale si fa prima prendendo la via contromano (V. il verbale di SIT del receptionist della Zurigo)?
Durante le indagini non sembra che siano stati effettuati tali accertamenti presso gli esercizi commerciali nei pressi del cantiere della Zurigo.
In ogni caso, l’O. viene trovato in possesso del ciclomotore in data 21.6.2005 e successivamente escusso in data 5.12.2005 (dopo che il PM disponeva un accompagnamento coattivo) riferisce che il ciclomotore gli sarebbe stato consegnato da un non meglio indicato “M.” (conosciuto “in compagnia” presso il parco “le villette” in piazza P.) durante il periodo estivo e che la consegna sarebbe avvenuta alla presenza anche di tale R. C..
Ebbene, malgrado il PM sollecitasse in data 3.4.2009 (3 anni e mezzo dopo l’escussione a SIT dell’O. …) di svolgere accertamenti “sulle vicende del ciclomotore” (Vedi comunicazione alla PG in atti) null’altro è dato rilevare in atti, sebbene il motorino sia la traccia più solida per comprendere gli spostamenti di L. prima della morte.
Non viene cercato il “M. delle villette”, né viene sentito il C., né viene svolto alcun accertamento sul motorino che viene riconsegnato al proprietario.
Chi sottrae il motorino alla vittima? Con quali modalità? Quando e dove? Interrogativi fondamentali che le indagini lambiscono senza alcun approfondimento, malgrado la richiesta del PM e la possibilità di escutere a SIT quantomeno un soggetto (il C.) immediatamente identificabile e reperibile.
L’utilizzo del motorino per arrivare al cantiere di via Eritrea pare non collimare anche con un’altra circostanza di fatto.
Per raggiungere via Eritrea dalla sede della Zurigo occorrono circa 10 – 15 minuti (V. All.to 1 ed il percorso calcolato tramite google maps itinerari); quindi se L. si è immediatamente colà diretto è giunto al cantiere delle torri verso le 17,30.
Sappiamo (V. verbali di audizione dell’ASL del T. e del P., guardiani del cantiere delle torri) che fino alle 19,30 – 20,00 L. non può essere entrato nel cantiere poiché nessuno lo ha visto.
Bisogna quindi ipotizzare che egli sia giunto in cantiere dopo le 19,30 – 20,00 (quantomeno) e, quindi, domandarsi cosa abbia fatto, dove sia andato e chi abbia visto da quando è stato visto allontanarsi dalla sede della Zurigo fino a quando avrebbe potuto introdursi non visto nel cantiere di via Eritrea.
Tale interrogativo è strettamente legato al motorino poiché – come riferisce il N. cognato della vittima – il mezzo era praticamente a secco e non avrebbe permesso a L. (che aveva solo dieci euro con i quali ha comperato le sigarette e sul cui corpo vengono trovati € 4,29) di aggirarsi per la città per circa due ore e mezza (ovvero fino a quando il cantiere delle torri non veniva abbandonato anche dall’ultimo lavoratore).
Forse L. è stato vittima di un furto/rapina del motorino mentre andava a prendere le sigarette dopo il lavoro e non ha avuto il coraggio di tornare dal cognato? Plausibile ipotizzarlo ma impossibile saperlo senza le dovute indagini circa le “vicende del ciclomotore”.
Da rilevare anche che dalla lettura dei verbali dell’ASL dei Signori P., P. e T. non pare gli sia stato chiesto alcunché circa la presenza del motorino nei pressi del cantiere, né dagli atti di indagine sembra che il ciclomotore sia stato cercato immediatamente dopo la scoperta del cadavere, quantomeno nelle vie limitrofe a via Eritrea (ricerca che sarebbe stata opportuna, preso anche atto che il mezzo, come detto, aveva quasi esaurito la benzina).
Tutti atti di indagine che, purtroppo, il decorso del tempo ha reso tardivi e irrealizzabili.

4. Le dichiarazioni dell’N. cognato della vittima e l’assenza di riscontri.
Il maggior contributo alla ricostruzione delle ultime ore di vita di L. è dato dal cognato e collega di lavoro S. N..
Bisogna rilevare che ci sono alcuni punti che necessitano di un approfondimento.
Innanzitutto, vi è un dato di fatto che non risulta spiegato.
L. si reca in metropolitana al lavoro quella mattina perché né lui né l’N. (che pure era andato la mattina a casa del giovane per recarsi insieme a lavoro. SIT pag. 1) hanno un secondo casco. Al termine della giornata di lavoro i due si accordano per tonare insieme a casa con il motorino dell’ N. (…stavamo andando a casa insieme…), ma tale intento non sembra plausibile posto che non vi è traccia nelle SIT dell’N. (né, in generale, alla luce degli atti di indagine) che al termine della giornata di lavoro i due avessero trovato un secondo casco.
Come avrebbero potuto andare in due in motorino con un casco solo ?
Avrebbero potuto rischiare la multa, ma tale intenzione non pare plausibile posto che la mattina avevano deciso di non tentare la sorte.
N. afferma di essere andato tutta la notte in giro per Milano alla ricerca del cognato.
Con chi? Con l’R. (V. SIT pag. 2 in alto)? Con quale mezzo?
Come mai, visto che l’N. possiede un cellulare, chiama il padre della vittima da un tabaccaio?
Questa telefonata è quella che compare alle 20.02 quale chiamata in entrata sul cellulare del padre della vitimas (V. analisi delle chiamate in atti del 28 giugno 2005)? Tale orario collima con la ricostruzione data dall’N?
È l’N. che riferisce anche della telefonata fattagli da L. alle 00,40 della notte tra il 26 ed il 27 aprile e di avergli anche passato la sorella (sua moglie).
La sorella di L. non è stata escussa a SIT né su tale circostanza né sul tenore della conversazione con il fratello.
Inoltre – e si tratta di riflessioni metagiuridiche che bisogna in ogni caso valutare – appare sotto certi aspetti inspiegabile la condotta dell’N. che si rende conto delle gravi difficoltà del cognato iniziate dalla notte prima con la telefonata e seguite poi dai deliri del giorno dopo (confermati dal datore di lavoro della giovane vittima) e non trova di meglio che prenderlo a schiaffi, fumare una sigaretta e bere un caffè.
Come mai non avverte i suoceri? Peraltro non si può nemmeno osservare che non avesse chiara la gravità della situazione, posto che dopo l’allontanamento di L. dalla Zurigo, egli – evidentemente assai allarmato – si dà da fare tutta la notte per ritrovarlo.
Non sembra collimare il primo approccio assai superficiale e la successiva affannosa ed allarmata ricerca.
Altro punto da approfondire sembra essere quello della cessione dello stupefacente da parte dell’N. (che a sua volta lo aveva ricevuto dallo zio della vittima D. T.) all’L..
La sostanza era o non era quella che la vittima assumeva solitamente?
N. può riferire in merito al fornitore di L. (Vedi sopra)?

***
Tutto ciò osservato, la scrivente difesa ex art. 410 c.p.p. indica
I NUOVI ATTI DI INDAGINE IN RELAZIONE AGLI EVIDENZIATI ULTERIORI ELEMENTI DI PROVA

1. Venga effettuata una nuova valutazione della dinamica della caduta alla luce degli atti.
E’ necessario che sia valutata la compatibilità della posizione del corpo con la supposta caduta.
Deve valutarsi se la distanza del corpo dalla perpendicolare è compatibile con una caduta o con un salto.
Bisogna valutare se è stato possibile l’impatto del corpo con delle strutture ancorate alla parete.
E’ necessario capire quale impatto abbia provocato la lesione formata longitudinale reperita sulla schiena della vittima.
Bisogna approfondire quale sia il motivo della presenza dell’asse spezzata vicino al corpo del giovane.
Bisogna accertare se l’asse è quella mancante dalla passerella così come evidenziato dagli accertamenti ASL (foto 9) e se il modo di fissaggio della stessa alla struttura del ponteggio ne rendeva possibile il distaccamento accidentale (il meccanismo è sicuramente ancora noto agli addetti ai lavori).
Bisogna valutare se l’entità delle lesioni possa indicare un’altezza di precipitazione approssimativa.
Bisogna capire come mai il corpo non è atterrato sul tetto del montacarichi, posto che lo stesso si trova sulla perpendicolare rispetto al probabile sito di caduta.
Si tratta di accertamenti multidisciplinari sia medico legali che di natura prettamente cinetico/fisica (bisogna evidenziare la traiettoria di un corpo in movimento e l’azione della forza di gravità, nonché gli esiti dell’impatto sul corpo).
2. Vengano nuovamente analizzati i reperti unghiali prelevati durante l’autopsia al fine di reperire la presenza o meno di residui di “fumo” che la vittima deve aver necessariamente manipolato se si è confezionata uno spinello prima di morire (ed eventualmente si proceda all’analisi chimica della sostanza).
3. Venga approfondito, alla luce dell’analisi tossicologica, l’eventuale legame tra l’uso abituale di cannabis da parte della vittima e le paranoie insorte dalla notte tra il 26 ed il 27.4.205.
4. Vengano escussi a SIT sia l’O., sia R. C. e deve essere fatto ogni sforzo investigativo per rintracciare il “M. delle villette”.
Tutti e tre i soggetti potranno riferire – come anche aveva chiesto il PM – in merito al reperimento ed alla consegna del motorino Malaguti. È inaccettabile dal punto di vista investigativo che sulla circostanza sia stato sentito in maniera assolutamente superficiale il solo O.
5. Venga effettuata una vera e propria autopsia psicologica del giovane L. affidando l’incombente ad uno psicologo preparato tramite l’esecuzione di interviste ad amici e parenti della vittima e che abbia libero accesso a tutti i documenti medici di L., oltre che ai suoi oggetti personali (diari, letture, dischi e quant’altro) ancora conservato dalla madre (anche al fine di reperire eventuali indizi del motivo per il quale L. si recava presso il cantiere di via Eritrea).
6. Vengano escussi a SIT sia il medico del lavoro Dott.ssa C. sia il medico di famiglia Dott. P. che solo qualche giorno prima della tragedia visitavano la vittima.
7. Venga nuovamente escusso a SIT l’N. per risolvere la contraddizione del casco e per comprendere il motivo per il quale il giovane decideva di non allertare alcun familiare di L. dopo averne ascoltato i deliri.
8. Venga escusso a SIT R. che avrebbe accompagnato l’N. nelle ricerche nella notte tra il 27 ed il 28.4.2005 affinché possa dare utili indicazioni circa il tenore dei colloqui intrattenuti con l’N. durante le ricerche (riferendo eventualmente ipotesi e/o confidenze ricevute dal cognato della vittima in quelle ore concitate).
9. Venga escussa a SIT la sorella di L. moglie dell’N. in relazione al contenuto ed al tenore del colloquio telefonico avuto con il fratello alle ore 00.40 del 27.4.2005.
tutto ciò premesso, rilevato ed osservato, il sottoscritto difensore
CHIEDE
che la S.V. Ill.ma disponga ex art. 409 comma 4 c.p.p. secondo le evidenze sopra illustrate.
Con osservanza.
Milano, il giorno XXX

Avv. Giuseppe Maria de Lalla

(articolo interamente redatto dall’Avv. de Lalla – se ne vieta la riproduzione anche solo parziale):

Questo articolo ha 2 commenti

    1. Caro Collega,
      ti ringrazio di non aver fatto si che protraessi la mia brutta figura per il refuso.
      Ho già provveduto a correggerlo.
      Grazie ancora e attendo sempre tue utili osservazioni.
      a presto.
      Giuseppe de Lalla

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