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Nel 2009 è stato introdotto un nuovo reato, “atti persecutori” che punisce chi con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La norma mira a reprimere il fenomeno noto come il cd. stalking (dal termine inglese to stalk, letteralmente fare la posta alla preda, mutuato dal lessico venatorio), fenomeno caratterizzato dall’insistente interferenza nella sfera privata altrui.

L’introduzione della nuova norma mira a colmare una lacuna di tutela determinata dall’incapacità delle incriminazioni di minaccia, molestie e violenza privata a fornire un’adeguata risposta repressiva ai casi di comportamenti criminosi consimili posti in essere in modo seriale e ripetitivo.

Prima di poter ritenere fondata un’accusa di stalking occorre considerare attentamente gli elementi di cui essa si compone, non essendo ogni condotta molesta ascrivibile al grave reato di stalking.

È necessaria la reiterazione di molestie o minacce e, quindi, una pluralità di comportamenti tipici (omogenei o disomogenei) secondo uno schema che evoca la figura del reato abituale (o a condotta reiterata).

Tra i comportamenti che possono essere considerati di stalking vi sono appostamenti, minacce, ricatti, molestie, sorveglianza intrusiva, ripetuti contatti telefonici o tramite e-mail, chat, social network, continui tentativi di contatto, sguardi intimidatori, attenzioni sgradite, eccetera.

È poi necessario che le condotte reiterate nel tempo producano, alternativamente, determinati eventi ossia:

–  un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima;

– oppure un fondato timore per l’incolumità propria o di persone vicine alla vittima;

 o, infine, il costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

Se questi eventi non si determinano (o non sono provati), il reato non sussiste, anche se va precisato che potrebbero sussisterne altri, meno gravi, come meglio si dirà oltre.

E’ proprio questo uno dei doveri del difensore dell’incolpato che, per quanto possibile e “provabile”, confuterà la pretesa accusatoria in ordine alla sussistenza di uno degli eventi di danno previsti dalla norma.

Il danno prodotto dalle condotte è alternativo: in ogni caso si tratta di ipotesi che evidenziano la posizione della persona offesa come di un soggetto che vede lesa la propria libertà morale, costretto ad una posizione difensiva a causa dell’invasività degli atti vessatori posti in essere dall’agente.

Nel reato di atti persecutori rileva la risposta in concreto prodotta sul soggetto passivo effettivo e non l’idoneità astratta dei comportamenti.

Dal punto di vista soggettivo stalker può essere chiunque: spesso è l’ex partner, ma può essere anche uno sconosciuto, un vicino di casa, un collega di lavoro.

Il processo deve provare se l’accusato abbia agito con dolo, cioè con coscienza e volontà, comprendendo e volendo le proprie azioni e l’evento come conseguenza delle reiterate condotte tenute.

Il reato è perseguibile a querela della persona offesa.

Il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi.

Tuttavia, il reato è procedibile d’ufficio quando è commesso nei confronti di un minore o di una persona disabile o quando è stato preceduto da ammonimento (l’avvertimento orale a cambiare condotta) da parte del Questore.

Le pene previste per il reato di stalking sono il carcere, da 6 mesi a 4 anni. La pena viene aumentata se gli atti persecutori sono commessi dal coniuge legalmente separato o divorziato, o comunque da una persona che sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva. La pena è aumentata, fino alla metà, anche quando gli atti persecutori siano commessi nei confronti di un minore, di una donna incinta o di una persona disabile, oppure quando il reato sia stato commesso con l‘uso di armi o da persona camuffata nell’aspetto.

Attenzione dunque a quelle condotte moleste a margine di rapporti sentimentali e affettivi, che rientrano a pieno titolo nella più frequente casistica del reato si stalking.

Spesso sono contestate nel capo di imputazione condotte moleste collocabili cronologicamente prima della rottura del legame affettivo, quando, dopo la rottura del legame, diventano più frequenti, petulanti e insidiose ed in tale caso (come , in generale, per tutti i procedimenti per stalking) il difensore deve prestare massima attenzione all’esatto arco temporale a cui si riferisce l’accusa (e si deve trattare di episodi al plurale proprio perché è necessaria una certa serialità nei comportamenti perchè sia effettivamente contestabile il reato di atti persecutori).

Riguardo al tempo, tuttavia, va tenuto in considerazione che il delitto è stato disciplinato nel febbraio del 2009 e, quindi, le condotte cronologicamente poste in essere prima di tale momento non possono essere contestate come stalking, in forza del principio cardine di diritto penale dell’irretroattività della legge penale.

Quando si viene a sapere di essere stati denunciati per stalking – o se ne ha il sospetto – è necessario nominare un difensore perché il professionista possa verificare se pendono effettivamente le indagini preliminari (tramite lì’istanza ex art. 335 c.p.p. Vedi nel sito) e si attivi per il miglior contrasto dell’accusa ipotizzata.

Invero, non sempre le accuse di stalking sono effetivamente caratterizzate da tutti quesgli elementi giuridici e fattuali richiamati dalla norma (e sopra illustrati) ovvero l’art. 612 bis c.p..

Alcune volte – benchè l’accusa contestata sia quella di atti persecutori – sussistono gli elementi costitutivi di altri reati (meno gravi) previsti dal codice penale.

Allora il difensore ha un ruolo fondamentale per evidenziare, quando opportuno, l’abbaglio e l’abnormità delle accuse ovvero per ridimensionare la gravità della posizione dell’accusato.

Prima che venisse emanata la norma che incrimina gli atti persecutori come sopra descritti, le singole condotte potevano costituire elementi per riconoscere sussistenti altri reati, tutti meno gravi dello stalking.

La natura del reato e l’iter che ha seguito nella sua nascita consentono (a volte) al difensore la possibilità, da valutarsi caso per caso, non di negare singoli fatti, ma di ridimensionarli facendoli emergere nella loro unicità e minore gravita (anche dal punto di vista delle conseguenze sulla vittima).

Come si è accennato, i fatti in cui può estrinsecarsi lo stalking, prima del 2009 (anno di promulgazione della Legge), venivano puniti singolarmente e in misura meno grave da singole norme che prevedevano singole condotte/reato.

Il reato di stalking consta di una reiterazione di condotte che antecedentemente erano già previste come reati avvinte (nel caso del reato di cui si tratta di atti persecutori) da un disegno unitario da parte dell’offender e  tali da provocare eventi lesivi alla vittima di portata maggiore rispetto a quelli solitamente conseguenti alle singole condotte considerate (ed attuate) in maniera isolata.

Ciò non toglie, però, che i singoli fatti, laddove sussistano i requisiti (non ultimo la querela di parte dove necessaria) possono essere perseguiti ai sensi delle norme che li puniscono nella loro unicità (ad esempio la siingola minaccia, la singola ingiuria, la singola molestia: tutte condotte che singolarmente rappresentano dei reati punibili con pene assai più lievi rispetto a quelle previste per lo stalking).

Attaccare, smontare, confutare, mettere in dubbio l’elemento della reiterazione e dell’unicità delle singole condotte è, dunque, il primo passo per addivenire ad un esito più favorevole per l’imputato di stalking; fermo restando (come detto) che potrà essere accusato (ed eventualmente condannato) per i singoli reati eventualmente ravvisabili nei fatti descritti nell’imputazione.

Stalking e misure cautelari.

Come noto, le misure cautelari personali sono misure in qualche modo restrittive della libertà personale che intervengono prima che sia pronunciata una sentenza di condanna.

Stante la deroga al regime ordinario che vieta la restrizione della libertà personale prima di una sentenza passata in giudicato (divieto di carcerazione preventiva), i requisiti perché si possa disporre una misura cautelare sono molto rigidi e ciò a tutela della persona che ne potrà essere sottoposta e quindi patirà la restrizione.

Oltre alle note misure cautelari (si pensi alla custodia cautelare in carcere, agli arresti domiciliari), nella materia dello stalking è stata introdotta una misura ad hoc:

– quella del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima.

 Applicando tale misura cautelare il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate da relazione affettiva o convivenza con la persona offesa.

Inoltre, il giudice può prescrivere all’imputato di mantenere una determinata distanza dai predetti luoghi e vietare di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa e le altre persone sopra menzionate.

Perché si possa disporre tale misura è necessario che, fermo restando il rispetto dei principi generali (gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari) che vi sia puntuale verifica in termini modali e temporali della vicenda denunciata e oggetto delle indagini.

I gravi indizi (nel caso specifico dello stalking) sussistono quando vengono accertati – con quel grado di certezza consentito dalle attività svolte durante le indagini preliminari – episodi di violenza e minaccia, per mezzo di documenti quali referti medici relativi ad eventuali lesioni patite. I fatti devono essere letti in modo univoco e complessivo, tenendo conto dell’eventuale occasionalità delle condotte denunciate oppure l’eventuale sistematicità modale e temporale delle condotte aggressive, violente e mortificanti la dignità della persona offesa.

Non basta certo – e per certi aspetti non dovrebbe nemmeno bastare soprattutto nel caso in cui i rapporti tra le parti sono fortemente deteriorati da tempo – la sola versione della vittima non supportata da alcun riscontro esterno.

Il difensore dell’accusato giocherà un ruolo fondamentale per evidenziare la carenza dei requisiti per disporre misure cautelari, sia prima che queste vengano disposte, che successivamente, per chiederne un riesame, cioè una rivalutazione.

Già durante le indagini preliminari ed eventualmente in occasione dell’applicazione di una misura cautelare in danno dell’incolpato, il ruolo del difensore è fondamentale per smontare la tesi accusatoria e ipotizzare soluzioni alternative e difensive, nonché per effettuare indagini difensive che possano evidenziare elementi a favore dell’accusato.

Tuttavia, occorre considerare che la giurisprudenza si è espressa a favore dell’applicazione della misura cautelare anche quando la patologia di ansia in capo alla vittima non sia scinetificamente provata (la Corte di Cassazione afferma che la misura cautelare deve prevenire tale patologia eventuale). Ma qual è allora l’entità e la qualità della prova da raggiungere perché siano accertati i gravi indizi di colpevolezza necessari perché si proceda a disporre la misura? Al di sotto di quale misura l’accusato non può essere sottoposto alla restrizione della propria libertà nello spazio?

Una risposta univoca non c’è.

Tuttavia la Cassazione si è espressa affermando che deve essere considerata la finalità cautelare di queste misure e quando i comportamenti lesivi sono numericamente imponenti e si protraggono nel tempo (come nel caso di un centinaio di telefonate al giorno per quattro mesi) il danno è implicito e non è necessario provarlo con referti medici, né è necessario che la molestia sfoci in una patologia conclamata: la tutela cautelare serve proprio ad arrestare le molestie prima che il disagio sfoci in vera patologia.

Il difensore, però, potrà evidenziare ad esempio una preesistente patologia affine a quella lamentata, così ipotizzando che il disagio o il malessere della vittima non sono riconducibili ai fatti ascritti all’accusato, oppure potrà evidenziare le ragioni dei contatti frequenti con la vittima oppure, ancora, la loro reciprocità sintomatica di contatti non abusivi (e molesti) ma rientranti nei canoni della “normalità” di quella che può essere, ad esempio, una separazione conflittuale.

Stalking e ammonimento.

Prima ancora della denuncia, chi ritiene di essere vittima di stalking può attivare un procedimento “parapenale” segnalando i fatti e chiedendo che nei confronti del presunto colpevole sia emesso un provvedimento amministrativo di ammonimento.

Si tratta di un’ammonizione orale con cui il Questore invita il presunto stalker a tenere una condotta conforme alle legge.

Tuttavia, a garanzia dei diritti dell’accusato, è previsto che, in linea generale, allo stesso sia dato avviso dell’avvio del procedimento perché possa essere sentito in ordine agli addebiti mossigli.

Non avendo potere giurisdizionale, il Questore investito della questione apre un procedimento amministrativo improntato alla celerità, assumendo le informazioni del caso e sentendo l’accusato. Le finalità dell’istituto dell’ammonimento del Questore sono quelle tipicamente cautelari e preventive: il provvedimento è preordinato a che gli atti persecutori non siano ripetuti e non abbiano esiti irreparabili. Essendo queste le finalità, il provvedimento deve avvenire in tempi rapidi, funzionali ad interrompere l’azione persecutoria.

Tuttavia, se vi sono ragioni d’urgenza, è legittimo che il destinatario del provvedimento non sia interpellato in anticipo; ciò, di fatto, provoca una lesione del diritto di difesa e del contraddittorio, visto che – in tal caso di urgenza -l’ammonimento può essere emanato esclusivamente sulla base degli elementi forniti dal solo soggetto interessato all’adozione del provvedimento (la vittima). La parte interessata, però, può agire per il riesame del provvedimento amministrativo. Naturalmente, le particolari esigenze di celerità devono essere ben motivate e sorrette dalle ragioni del convincimento del Questore in quanto, in termini generali, l’accusato di stalking deve essere sentito prima dell’emissione del provvedimento di ammonimento. Dare notizia dell’avvio del procedimento solo diversi mesi dopo l’esposto presentato dalla presunta vittima di atti persecutori impedisce al diretto interessato di partecipare proficuamente al procedimento. Secondo il Consiglio di Stato deve dunque essere dato avviso al presunto stalker perché l’ammonimento deve seguire solo all’esito di un apprezzamento circa la plausibilità e verosimiglianza delle vicende esposte dalla persona denunciante, tutti gli elementi raccolti dal Questore concorrono a formarne il convincimento circa la fondatezza della richiesta di provvedere.

La giurisprudenza ha affermato che alla limitata partecipazione al procedimento da parte dell’ammonito consegue difetto di istruttoria, poiché l’interessato, nel controdedurre in giudizio su molte circostanze a lui addebitate, ha la possibilità di provare che, ai fini di una corretta formazione del proprio convincimento, il Questore deve necessariamente acquisire una serie di ulteriori valutazioni la cui mancanza non consente di avere un chiaro e completo quadro della vicenda e quindi di provvedere correttamente.

L’analisi della disciplina dell’ammonimento del Questore è utile per la corretta comprensione del quadro generale con cui il legislatore ha stabilito che il reato di stalking – “normalmente” perseguibile solo a querela di parte nel termine di sei mesi –diventa procedibile d’ufficio se preceduto da ammonimento.

Le conseguenze sono, quindi, di non scarso rilievo, ed è bene che il procedimento teso all’ammonimento sia seguito da un difensore, già nella fase iniziale. Vale la pena di ricordare che se un reato è perseguibile a querela, la parte interessata può decidere di rimettere la querela, anche a fronte di un risarcimento o una proposta transattiva, laddove, invece, il reato è perseguibile di ufficio, la persona offesa non potrà in alcun modo neutralizzare la potestà punitiva dello Stato che si estrinseca nel procedimento penale (anche quando vedesse ridimensionate le conseguenze e le reazioni denunciate a suo tempo, magari dettate da impulsi del momento).

E se la richiesta del provvedimento di ammonimento per atti persecutori è infondata? Chi l’ha richiesta rischia di essere condannato per calunnia? Secondo la giurisprudenza che si è espressa sul punto finora, non è configurabile il reato di calunnia, anche quando si siano prospettate circostanze non veritiere nella richiesta di ammonimento. Il reato di calunnia, giova ricordarlo, si configura quando con querela, denunzia, richiesta o istanza all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità, qualcuno incolpi altri pur sapendolo innocente. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, poiché l’ammonimento è finalizzato a scoraggiare atti persecutori e a far sì che i comportamenti “censurati” non siano ripetuti e non abbiano esiti irreparabili (finalità preventiva), ci si trova in una fase del tutto preliminare all’azione, il cui esercizio rimane del tutto eventuale e, anzi, l’emissione dell’atto amministrativo, quando ne sussistano i requisiti, mira proprio ad escludere l’esercizio dell’azione penale. Poiché nessuna azione penale è esercitata, nessuna “accusa” può ravvisarsi in senso tecnico nel prospettare circostanze all’interno di un sollecito al Questore di provvedere all’ammonimento. Attesa la natura esclusivamente preventiva dell’ammonimento – continua la sentenza di legittimità – “neppure in via ipotetica, l’atto proposto” può “produrre l’instaurazione di un giudizio penale, che costituisce l’essenza del reato di calunnia ipotizzato, sicché anche l’espressione in essa di circostanze non vere”, se pure potrà dar luogo a legittime richieste risarcitorie, “non è idonea a realizzare l’ipotesi di reato”; è dunque escluso il pericolo di un inutile svolgimento dell’attività giudiziaria (che è l’altro bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice della calunnia insieme all’onore e alla libertà personale del soggetto incolpevole). Infatti, la richiesta di un atto tipico di natura amministrativa, qual è l’ammonimento richiesto al Questore, non consente all’Autorità amministrativa di farne d’ufficio denuncia all’Autorità giudiziaria. Peraltro, non trattandosi di un tipico atto previsto dalla norma che incrimina la calunnia (art. 368 c.p.) l’Autorità amministrativa non ha l’obbligo di riferirne all’Autorità giudiziaria.

Gli ordinamenti anglosassoni sono stati i primi ad affrontare specificamente il problema della definizione normativa del fenomeno. Alcune leggi definiscono lo stalking come “l’intenzionale, malevolo e persistente comportamento di seguire o molestare un’altra persona”. Alcuni Stati richiedono che insieme alle molestie sia presente una “minaccia credibile“, cioè una minaccia (verbale o scritta di violenza) rivolta alla vittima, e che sia verosimile che il persecutore intenda e abbia la possibilità di dare attuazione a tali minacce. Alcune leggi indicano come necessario un “tipo di condotta” in cui il persecutore (o stalker) “consapevolmente, intenzionalmente e ripetutamente” pone in essere nei confronti di una persona specifica una serie di azioni (ad esempio mantenersi in prossimità o esprimere minacce verbali o scritte) prive di alcuna utilità legittima e tali da allarmare, molestare o suscitare paura o disagio emotivo in una persona ragionevole. In alcuni Stati, quando manca l’elemento di minaccia esplicita, si considera meno grave il reato e le pene e i provvedimenti sono meno gravi; altri lo considerano semplice “molestia”. In Canada esiste il delitto di “molestia criminale“, che consiste nel “molestare intenzionalmente o imprudentemente un’altra persona in uno dei modi specificamente indicati, e cioè: a) pedinano la vittima o comunicando direttamente o indirettamente con la stessa o con suoi conoscenti; b) spiando e sorvegliando i luoghi dove la persona presa di mira o un suo conoscente risiede, lavora o comunque si trova; c) mettendo in atto condotte minacciose di qualsiasi tipo dirette alla vittima o a suoi familiari, tali da indurre la stessa a temere ragionevolmente per la sua sicurezza” (cfr. per ulteriori specificazioni Abrams KM, Robinson GE. Stalking part 1: an overview of the prob-lem. Can J Psychiatry 1998; 43:473- 6). Anche il Regno Unito si è dotato di una normativa che prevede che “una persona non deve attuare una condotta che sa o che dovrebbe sapere essere causa di molestia ad un’altra“; “se una persona ragionevole in possesso delle medesime informazioni penserebbe che la condotta dell’imputato corrisponde a molestia, ciò significa che il crimine è stato commesso“. “Occorre peraltro dimostrare che l’imputato sapeva o avrebbe dovuto sapere che la sua condotta avrebbe causato timore di violenza nella vittima“. La normativa britannica prevede che, nel caso di semplice abuso verbale, per integrare la fattispecie punibile è necessario che gli atti di molestia siano ripetuti almeno due volte. In presenza di altre condotte, invece, quali quelle di inviare doni o omaggi floreali non graditi, la soglia di punibilità è più alta (cfr. Parrott HJ. Stalking: evil, illness, or both? Intern J Clin Practice 2000;54:239-42). // Provvedimenti inibitori possono essere emanati secondo la legislazione della federazione australiana, secondo la quale è possibile ingiungere al molestatore di non entrare in un’area geografica definita attorno all’abitazione della vittima, pena l’aggravante del reato o l’esecuzione dell’arresto e/o la fine della sospensione condizionale di una pena detentiva per stalking già giudicata.

Con la collaborazione della Dott.ssa Annalisa GASPARRE

Questo articolo ha 6 commenti

  1. Una volta avviato il procedimento di ammonimento il querelante può denunciare direttamente oppure denunciare per un singolo reato che non rientra negli atto persecutori? Per esempio : fra gli atti persecutori rientra il fatto che l’offeso è stato sputato. dopo l’avvio all’ammonimento, il querelante può denunciare il singolo fatto come lesione all’onore e decoro ?

      1. Purtroppo mi trovo in una situazione simile. Ho avuto unastoria con un uomo sposato che si è rivelato dopo la fine della storia per paura che potessi dire qualcosa alla moglie violento, aggreesivo e mi ha picchiato. Io purtroppo, e molto stupidamente gli ho inviato vari sms ed email anche per capire questo comportamento. A volte si dimostrava amico, il giorno dopo mi minacciava e questo per anni. Ora dopo avermi minacciato e picchiato mi ha detto che mi denuncia ed ha sms ed email. io invece non posso dimostrare nulla: nè minacce e nè botte. Che bella legge .

        1. Gentile Signora,
          ho letto con molta, molta attenzione la Sua drammatica storia riassunta nelle poche righe che mi ha inviato.
          Ovviamente, visto il tenore di questo sito e, soprattutto, il mio profilo professionale posso e devo risponderLe solo tecnicamente.
          Sotto questo profilo Le posso garantire che il nostro diritto prevede che eventualmente la prova della colpevolezza dell’imputato può basarsi anche sulla sola testimonianza della persona offesa se la stessa rispetta i crismi della logicità e credibilità.
          I migliori saluti.
          Avv. Giuseppe Maria de Lalla

  2. Buongiorno Avvocato,
    qualche anno fa sono stato vittima di stalking da parte dell’ex della mia attuale compagna. Qualche giorno fa è giunta la sentenza a 9 mesi di reclusione. Sicuramente ricorerà in appello, sempre che la richiesta non venga rigettata. In quel caso, volevo chiederle, bisgonerà procedere con un nuovo processo in cui chiamare nuovamente tutti i testimoni ? Ed ancora, io mi sono costituito parte civile lesa, posso avviare il processo civile per il risarcimento dei danni subiti o devo ancora attendere che l’imputato, oramai, condannato in I grado ricorra in appello ? Grazie per il tempo che vorrà accordare a questi miei dubbi.

    1. Egregio Signore,
      ho letto con molta attenzione la Sua articolata mail.
      Innanzitutto, Le consiglio vivamente di partecipare ogni Suo dubbio al Collega che l’ha assistita durante il primo grado del processo: saprà chiarire ogni Suo dubbio.
      Secondariamente (e brevemente):
      1) Durante il secondo grado (ovvero in Appello) normalmente NON sono citati i testimoni (già escussi in primo grado). Il procedimento è CARTOLARE e, quindi, si svolge sui documenti e sugli atti del primo grado (e, quindi, anche delle trascrizioni delle testimonianze del primo grado). C’è una RESIDUALE ipotesi di rinnovazione delle testimonianze a precise condizioni di legge: consulti il sito nella sezione “cose da sapere” e troverà una spiegazione dettagliata (usi la barra di ricerca in alto a destra nella home page digitando la parola “appello”).
      2) Può pretendere dal condannato il risarcimento solo quando la Sentenza sarà passata in giudicato (dopo l’appello o eventualmente la cassazione). MA se è stata disposta in primo grado una PROVVISIONALE IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA (e questo lo potrà leggere nella sentenza di primo grado o, ancora meglio, potrà chiederlo al Suo difensore) può pretendere il pagamento subito dopo il deposito della sentenza del primo grado del processo.
      Non potendo in questa sede approfondire gli argomenti necessari, La rinvio al sito e La saluto cordialmente.

      Avv. Giuseppe Maria de Lalla

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