Come è noto, la Costituzione prevede che la pena detentiva sia finalizzata anche alla rieducazione del reo.
Qualsiasi sia il significato che a questo concetto si vuole dare (di stampo più o meno moralistico o di ispirazione semplicemente pragmatica) condivisibile appare la scelta del Legislatore di creare una serie di mezzi legali affinché il detenuto sia incentivato a collaborare con le Istituzioni nel percorso segnato dalla condanna ovvero dalla detenzione alla libertà.
Benché spesso nei mass media faccia notizia l’esatto opposto concetto, nel nostro Paese molte persone al termine dell’iter giudiziario scontano la pena in un penitenziario e spesso ciò avviene per un lasso di tempo non indifferente.
Affinché tale periodo di privazione della libertà non serva solo ad impedire per quel lasso temporale che il reo delinqua nuovamente ma alla luce del più alto scopo secondo il quale al termine della detenzione colui che è stato scarcerato sia astenga dal commettere nuovi crimini (non già perché sia diventato un cittadino modello ma anche solo per il timore di perdere nuovamente la libertà di movimento ed autogestione), il Legislatore con la Legge n. 354 del 1975 ha previsto (anche) diversi istituti che prevedono pene alternative a quella della detenzione oltre che altri benefici per i soggetti ristretti che danno prova di rinnovato rispetto per le norme di legge.
Fanno ovviamente e giustamente notizia tutti quei tristissimi episodi nei quali un individuo pluricondannato ed in libertà a seguito della concessione di uno dei benefici di cui sopra si macchia di un altro crimine magari della stessa specie e natura di quello (o quelli) per i quali era stato giudicato colpevole ed incarcerato.
Si tratta di situazioni di una gravità assoluta che comprensibilmente fanno sorgere più di un interrogativo (eufemisticamente) circa l’opportunità di tali misure alternative (che si tratti di detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi sociali ovvero di affidamento in prova in casi speciali etc).
Tuttavia, non fa notizia ma è enorme il contributo che nella maggioranza dei casi danno tali misure nella limitazione delle recidività dei soggetti incarcerati.
Non si tratta di riflessioni di stampo filosofico ma dell’interesse di tutti cittadini che chi ha commesso un reato non ne commetta un altro appena scarcerato.
Molto spesso chi guadagna la libertà gradualmente non commette ulteriori reati.
Dal punto di vista del detenuto tali misure sono la speranza di abbreviare la pena, di riabbracciare la famiglia, di riscattarsi.
Lo Studio offre assistenza avanti al tribunale di Sorveglianza (ovvero l’Autorità Giudiziaria che si occupa della richieste dei detenuti) e si occupa:
- di avere regolari sessioni in carcere con il cliente;
- di indicare i documenti necessari per la presentazione delle istanze;
- di redigere le istanze e di presentarle al Tribunale;
- di interagire con gli educatori e gli operatori del carcere;
- di aggiornare i familiari del detenuto;
- di dare la migliore assistenza durante la fase di discussione avanti al tribunale.