Il Tribunale ed il Magistrato di Sorveglianza si occupano dell’iter giudiziario connesso all’esecuzione delle pene inflette con Sentenze divenute esecutive (la denominazione ricorda l’attività di colui che “sorveglia” l’esecuzione delle pene).
Sono gli organi che, in sostanza, decidono sulle richieste avanzate da coloro che sono oggetto di una pena comminata nella fase di merito del procedimento e che provvedono in merito alle eventuali decisioni connesse allo svolgimento della pena (i soggetti coinvolti nei predetti provvedimenti possono essere sia ristretti che liberi).
Il Magistrato ed il Tribunale a volte sono entrambi giudici di primo grado e altre volte si pongono in verticale rispettivamente di primo e di secondo grado. Tribunale e Magistrato competenti saranno solitamente quelli dell’ ubicazione (o residenza se libero) del condannato.
Il Magistrato di Sorveglianza è competente (nella fase dell’esecuzione della pena) per:
• I ricoveri dei condannati in ospedali psichiatrici giudiziari;
• Le misure di sicurezza;
• Le pene detentive sostitutive (semidetenzione e libertà controllata);
• Il differimento e la sospensione (ma solo provvisoriamente prima che intervenga il Tribunale di Sorveglianza) dell’esecuzione di pene detentive anche se sostitutive.
Il Tribunale di Sorveglianza (composto di due giudici e due esperti di scienze criminologiche) è invece competente per:
• La concessione e la revoca della liberazione condizionale;
• La riabilitazione;
• L’applicazione delle misure alternative (V. oltre diffusamente in questa stessa pagina);
• Il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva o delle sanzioni sostitutive;
• Il parere sulle domande di grazia.
Particolare importanza rivestono le decisioni del Tribunale di sorveglianza in merito alle misure alternative alla detenzione che possono definirsi un’applicazione concreta della concezione della pena quale processo teso alla rieducazione del reo.
In linea approssimativamente valida per l’intera categoria delle misure alternative, si può affermare che le stesse partecipano della medesima natura della pena detentiva poiché, pur non essendo mai totalmente privative della libertà personale, implicano comunque un imprescindibile coefficiente di afflittività per chi le subisce; ma, allo stesso tempo, concedono al soggetto la possibilità di scontare la pena (tutta o una parte di essa) V. oltre) godendo di un margine di libertà ed autodeterminazione non previsti nella detenzione.
Su di un piano generale, le misure alternative, in quanto sanzioni, si prestano ad assolvere finalità di prevenzione generale e di dissuasione mentre, in quanto benefici accompagnati da forme di assistenza tese a ripristinare o, almeno, a non peggiorare le condizioni del reinserimento sociale del condannato, svolgono, in linea teorica e di principio, una funzione di prevenzione speciale (ovvero uno stimolo a che il soggetto che le subisce non violi più la legge).
Le misure alternative alla detenzione sono:
1. Affidamento in prova al servizio sociale (anche nella sua forma c.d. “speciale”);
2. La detenzione domiciliare (anche nella fattispecie prevista per le madri con prole);
3. Semilibertà;
4. La liberazione anticipata.
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1) L’affidamento in prova al servizio sociale.
Consiste nell’espiazione della pena in stato di libertà con affidamento del condannato all’assistenza ed al controllo del servizio sociale (oggi U.E.P.E. ovvero Ufficio Esecuzione pene Esterne) per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
I presupposti della misura sono che la pena inflitta o la parte residuale della stessa non superi i tre anni ed il condannato sulla base dell’osservazione della sua personalità ne sia ritenuto meritevole.
L’affidamento può essere, quindi, richiesto sia dal detenuto che sia ristretto e che debba scontare meno di tre anni (e la sua personalità sarà stata “osservata” durante la carcerazione) sia dal condannato libero al quale sia stato notificato l’ordine di esecuzione per la carcerazione e contestuale sospensione dello stesso poiché avente ad oggetto una pena inferiore ai tre anni.
In particolare, in questo secondo caso, quando la pena diverrà esecutiva, al condannato verrà, come detto, notificato l’ordine di esecuzione per la carcerazione con contestuale decreto di sospensione del medesimo con l’avviso che avrà un termine di trenta giorni dalla notifica per presentare all’apposito ufficio esecuzioni della Procura la richiesta di concessione di una misura alternativa (prima fra tutte l’affidamento in prova ma anche la detenzione domiciliare).
Quindi, in caso di condanne definitive uguali o inferiori ai tre anni, al condannato giunge sì l’ordine di carcerazione; ma nel medesimo provvedimento vi è anche la sospensione dell’ordine di cui sopra con la possibilità di richiedere la misura alternativa.
Dunque, le pene detentive a meno o a tre anni di reclusione (salvo rare eccezioni previste dalla legge) non sono immediatamente eseguite ed il soggetto entro trenta giorni può rivolgersi al Tribunale di Sorveglianza per la concessione di una misura alternativa alla detenzione.
Allo scadere di tale termine, qualora nessuna istanza venga presentata o la stessa sia dichiarata inammissibile (poiché magari, nel caso dell’affidamento, non è stato indicato un domicilio preciso ove il richiedente/condannato intende risiedere durante l’espiazione dell’affidamento), il condannato sconterà la pena in prigione.
In caso di richiesta ammissibile della misura, l’istanza verrà trasmessa al Tribunale di Sorveglianza competente (ovvero, per il condannato libero, quello competente per la residenza) che avvierà una istruttoria che prevede il contatto ed un incontro preliminare degli assistenti dell’U.E.P.E con chi ha chiesto la misura e l’intervento della Polizia che verificherà l’idoneità del domicilio ove abita il condannato.
Sia l’U.E.P.E. che la P.S. inoltreranno una relazione al Tribunale di Sorveglianza avanti al quale si terrà un’udienza in camera di Consiglio (ovvero senza pubblico e con possibilità di presentare documentazione fino a cinque giorni prima) ove parteciperà la difesa del richiedente (ed il richiedente medesimo ma la sua presenza non è obbligatoria) ed il Procuratore Generale.
Dopo una relazione del Giudice relatore del Tribunale, le parti (prima il Procuratore poi la difesa) esporranno le loro argomentazioni.
E’ opportuno, all’atto del deposito della richiesta, documentare la solidità economica ed abitativa del richiedente libero nonché, prima dell’udienza ovvero quando viene notificata la data di celebrazione, consultare il fascicolo con le relazioni preliminari degli assistenti e della Polizia al fine di meglio argomentare eventuali pareri non del tutto positivi di tali organi.
Se al condannato (libero o meno) viene applicata la misura dell’affidamento in prova, sarà seguito dall’U.E.P.E. (che relazionerà periodicamente al Magistrato) con dei colloqui regolari e dovrà rispettare delle prescrizioni indicate dal Tribunale di Sorveglianza (prima fra tutte quella di non allontanarsi da casa nelle ore notturne o di non allontanarsi dalla provincia di residenza e/o di non frequentare certi luoghi etc.) ma, in sostanza, potrà condurre una vita priva di particolari restrizioni (o, comunque, con limitazioni enormemente inferiori a quelle proprie della carcerazione e potrà svolgere un’attività lavorativa).
L’esito positivo dell’affidamento determina l’estinzione della pena e di ogni effetto penale.
La violazione delle prescrizioni o la mancata collaborazione con l’U.E.P.E., determina la revoca della misura (che può essere sospesa dal Magistrato di Sorveglianza in via cautelare ed in tempi brevi nell’attesa dell’udienza e della decisione del Tribunale di Sorveglianza) ed il condannato verrà ristretto in carcere ove la pena ancora da scontare decorrerà – non già dalla revoca – ma dalla concessione della misura alternativa.
2) La detenzione domiciliare.
Consiste nell’espiazione della pena all’interno della propria abitazione.
I suoi presupposti sono che si tratti di reclusione non superiore a quattro anni e si tratti di:
i. Donna incinta o madre di bimbi di età inferiore ad anni dieci con lei convivente;
ii. Padre con prole di uguale età quando la madre è impossibilitata ad accudirla;
iii. Persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono contatti con presidi sanitari;
iv. Persona di età superiore ai sessanta anni che sia inabile anche parzialmente;
v. Persona di età minore ad anni ventuno per comprovate esigenze di studio, salute, lavoro e famiglia;
Il limite di pena scende a tre anni quando si tratta di condannato recidivo.
Il limite scende ulteriormente a due anni quando si tratta di condannato per il quali non vi siano i presupposti per l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare permetta di scongiurare il compimento di altri reati (sono esclusi coloro che hanno commesso alcuni reati particolarmente gravi).
Il limite di quattro anni non sussiste e la pena potrà essere scontata tutta in regime di detenzione domiciliare nel caso di soggetti oltre i settanta anni che non si siano macchiati di determinati reati (in particolare reati sessuali).
Se il soggetto si allontana dalla propria abitazione (anche in maniera trascurabile, ad esempio soffermandosi sulle scale) è denunciato per il reato di evasione e ciò comporta la sospensione della misura (e l’entrata in carcere) la condanna per il reato comporta la revoca della detenzione domiciliare.
Eventualmente il condannato in regime di detenzione domiciliare potrà ottenere che gli sia concesso di allontanarsi da casa per andare a lavorare in un posto da lui indicato (la documentazione della solidità e regolarità dell’attività lavorativa deve essere particolarmente scrupolosa).
La detenzione domiciliare speciale prevede che le madri di prole di età inferiore a dieci anni possono scontare la pena in regime di detenzione domiciliare dopo aver scontato un terzo della pena in carcere oppure, in caso di ergastolo, almeno 15 anni
In caso di concessione la madre ristretta potrà allontanarsi da casa per alcune ore stabilite dal Tribunale per provvedere alle esigenze dei figli.
Ugualmente l’istituto può essere concesso al padre se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi sia la possibilità di affidare ad altri la prole.
3) La semilibertà
Consiste nella permanenza del condannato fuori dal carcere nelle ore diurne per dedicarsi ad attività di lavoro, di istruzione o comunque utili al reinserimento sociale.
La pena irrogata non deve essere superiore a sei mesi (qualora il soggetto non sia affidato al servizio sociale).
Se si tratta di un soggetto detenuto, la richiesta può essere avanzata da coloro che hanno scontato almeno metà della pena ovvero due terzi qualora si tratti di rei di alcuni gravi reati.
Il condannato all’ergastolo può chiedere l’ammissione alla semilibertà dopo aver scontato almeno venti anni.
Come tutte le misure non viene concessa automaticamente ma solo se il detenuto ha dato prova di aver compiuto dei progressi nel corso del trattamento e vi sono le condizioni per un graduale reinserimento nella società.
4) La liberazione anticipata.
E’ sicuramente la più particolare tra le misure alternative alla detenzione e quella di maggiore applicazione e, probabilmente, quella che nell’immediato ha i maggiori effetti risocializzanti.
Consiste nella detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata a favore del condannato a pena detentiva che abbia fornito prova di partecipazione all’opera di rieducazione (cosicché 6 mesi di pena scontata equivarranno a circa 7 mesi e 15 giorni di detrazione sulla pena finale).
Lo scopo dell’istituto è quello di incentivare i detenuti ad utilizzare le possibilità di trattamento offerte negli istituti, sia quella di rendere meno difficile la gestione delle carceri attraverso la concreta ravvicinata prospettiva di un premio al detenuto in cambio del rispetto delle norme interne, infine, quella di ridurre la popolazione carceraria attraverso sistematiche e consistenti riduzioni di pena (i giorni scontati, infatti, vengono conteggiati per il raggiungimento dei limiti di pena per la concessione delle altre misure alternative).
Come detto, l’unico requisito è la collaborazione nell’opera di rieducazione e non opera alcun altro limite (può essere chiesta da ogni detenuto ed affidato al servizio sociale e soggetto in detenzione domiciliare qualsiasi sia il reato commesso) e viene valutata la capacità/volontà del detenuto di avvalersi delle possibilità trattamentali offerte dal carcere (laboratori, lavoro all’interno del penitenziario, corsi etc.) e la sua capacità di mantenere rapporti proficui e corretti con i compagni, le guardie, la famiglia e gli operatori (educatori e psicologi ad esempio) in forze presso la struttura penitenziaria.
La richiesta deve essere presentata (sia direttamente dal detenuto o dal difensore) al Magistrato di Sorveglianza competente che deciderà senza fissare alcuna udienza (ovvero de plano) sulla base delle informazioni trasmesse dal carcere o dagli assistenti sociali per i soggetti liberi.
Naturalmente, la richiesta di liberazione anticipata deve essere inoltrata ogni sei mesi di detenzione sofferta e, se accolta, permetterà al detenuto di scontare un anno e tre mesi di pena ogni anno effettivamente trascorso in galera.