Pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio possono commettere alcuni reati – detti “propri” – la cui disciplina prevede che il soggetto agente rivesta determinate cariche “pubbliche” tipiche, appunto, del pubblico ufficiale e del preddetto incaricato di pubblico servizio.
Il quadro normativo di riferimento è mutato per alcuni aspetti radicalmente con la L. 6 novembre 2012 n. 190 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione entrata in vigore a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale in data 13 novembre 2012 n. 365.
Colui che non si trova in tale condizione, pur adottando condotte simili, non verrà punito con il medesimo titolo di reato previsto per i soggetti “qualificati”.
I principali reati propri del pubblico ufficiale e dell’incaricato di p. s. sono la corruzione, la concussione (che possono coinvolgere anche altri soggetti “privati”) ed il peculato.
La definizione di cosa si intenda per “pubblico ufficiale” o “incaricato di pubblico servizio” viene data direttamente dalla legge agli artt. 357 e 358 c.p..
I Pubblici Ufficiali sono coloro i quali svolgono una funzione pubblica legislativa, giudiziaria o amministrativa e agli stessi effetti è pubblica la funzioine amminsitrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Gli incaricati di pubblico servizio sono coloro i quali , a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio (per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
Il reato più noto (anche per la rilevanza che allo stesso è dato dai mass media) tra quelli che il codice comprende nel gruppo dei reati contro la Pubblica Amministrazione è la corruzione.
Corrusione per l’esercizio della funzione art. 318 c.p.: Quando il pubblico ufficiale riceve per sé o per un terzo denaro o altra utilità, ovvero ne accetta anche solo la promessa di dazione, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri è puntio con la reclusione da uno a cinque anni.
Si tratta di un atteggiamento di tipo passivo da parte del pubblico ufficiale, perché il pubblico ufficiale accetta qualcosa da altri (anche sotto forma di promessa e quindi senza la materiale dazione di alcunchè). Il privato che dà o promette, a sua volta, commetterà corruzione attiva (e verrà punito con le medesime pene previste per il corrotto ex art. 321 c.p. “pene per il corruttore).
Corrusione per un atto contrario ai doveri di ufficio ex art. 319 c.p.: la costruzione del Reato è la medesima di quello precedentemente analizzato. In questo caso la dazione dei deanaro o altra utlità o la semplice promessa è attuata affinchè il pubblico ufficiale ometta o ritardi o per aver omesso o ritardato ovvero per compirere o aver compiuto un atto contrario ai suoi doveri di ufficio.
Per atto contrario ai doveri d’ufficio non si intende necessariamente che l’atto sia stato posto in violazione di norme di legge, regolamenti o istruzioni interne.
Criminalizzando tale condotta, il Legislatore ha inteso imporre il divieto di accettare una retribuzione privata e non dovuta per il compimento di atti d’ufficio in contrasto con i doveri propri del pubblico ufficiale. Sotto altro profilo, peraltro, si intende tutelare anche il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. È infatti la Pubblica Amministrazione la persona offesa dal reato, mentre il privato corruttore, così come il corrotto, è punito dalla Legge. La sanzione prevista è stata resa ancora più severa dalla L. 190 – da un minimo di quattro a un massimo di otto anni, con possibilità di combinarsi con aggravanti o attenuanti (ad es. per speciale tenuità) – ed è decisa all’esito di un processo che si svolge davanti al Tribunale in composizione collegiale.
E’ importante notare che – a seguito dell’introduzione della responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche – è stato sancito che tale forma di responsabilità può essere accertata ed operare anche in relazione al reato di corruzione, quando il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, secondo le peculiari regole della materia (D. L.vo 231/2011).
Una particolare forma di corruzione è la corruzione in atti giudiziri ex art. 319 ter c.p.: il reato prevede che se i fatti e le condotte di cui agli artt. precedenti 318 e 319 c.p. (quelli sopra analizzati) sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo penale, civile o amministrativo la pena edittale è pari nel amssimo ad anni dieci.
Anche l’istigazione alla corruzione è punita dall’art. 322 c.p. (anch’ esso novellato dalla Legge 190/2012). Si verifica la fattispecie quando chiunque offre o promette denaro o altra utilità al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (prima della novella: per compiere un atto del suo ufficio) ma l’offerta o la promessa non è accettata. Vi è istigazione anche quando la promessa è avanzata affinchè il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio siano indotti a omettere, ritardare o compiere un atto contrario ai suoi doveri. Il reato di istigazione alla corrusione si realizza anche quando è il soggetto pubblico (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) che sollecita il privato di promettere o dare per l’esercizio delle sue funzioni.
Il reato di concussione è punito più gravemente dal Legislatore ex art. 317 c.p..
In questo caso è il pubblico ufficiale (prima della novella del 2012 anche l’incaricato di pubblico servizio) che abusando della sua qualità e dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad altri, denaro o altra utilità (senza che tale costrizione sia connessa ad attività alcuna del soggetto agente pubblico ufficiale che basa la costrizione sulla sua qualifica pubblica).
Il soggetto abusa della propria qualità o del proprio pubblico potere con l’effetto finale di alterare la libertà di determinazione del privato e depauperarne il patrimonio. Si verifica una vera e propria costrizione della vittima che è costretta a dare o promettere denaro o altra utilità al pubblico ufficiale che esercita illegalmente ed illegittimamente i poteri connessi alla sua qualificazione pubblica. E’ leso, altresì, il bene dell’imparzialità della pubblica amministrazione e il buon andamento della stessa entrambi beni tutelati dalla Costituzione.
Si configura il reato anche quando non vi è un’esplicita minaccia, essendo sufficiente un atteggiamento allusivo del pubblico ufficiale tale da ricollegare la prestazione del privato all’esercizio di pubbliche funzioni (è il caso, ad esempio, del dirigente Asl che aveva costretto il titolare di un ristorante a somministrargli pasti gratis chiedendo allusivamente al titolare se l’esercizio era a posto con le autorizzazioni di Legge).
Sotto altro profilo, è stato affermato che vi è utilità per il soggetto agente anche laddove il vantaggio sia costituito da favori sessuali oppure da vantaggi di natura politica. Inoltre, vi sono precedenti che affermano come l’utilità possa identificarsi in una pretesa che non sia illecita di per sé, ma che venga ottenuta con strumenti diversi da quelli legalmente previsti, avvalendosi dell’induzione o della costrizione (è il caso di un carabiniere che – accennando alla possibilità del ritiro della patente – aveva costretto il responsabile di un sinistro stradale a risarcirgli immediatamente il danno provocato, anziché incardinare la normale procedura di risarcimento del danno).
E cosa succede se l’evento della dazione di denaro o di altra utilità non si verifica pur essendocene in presupposti? Si può configurare il reato di concussione in forma tentata ovvero il tentativo, laddove sussistano gli altri requisiti. Dovrà però essere accertato che la condotta posta in essere dal pubblico agente abbia oggettivamente avuto una capacità di intimidazione in danno della persona offesa.
E’ molto importante sottolineare che la condanna per il reato di concussione (da sei a dodici anni di reclusione) comporta la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici solo temporanea se la pena inflitta è inferiore ai tre anni di reclusione, perpetua se superiore (la competenza è del Tribunale collegiale).
Altro reato che riguarda il solo pubblico agente è quello di peculato ex art. 314.
La condotta censurata è quella di colui che, rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, si apprpria di denaro o altra cosa mobile altrui, di cui abbia per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità. Si tratta, a ben vedere, di fattispecie analoga a quella dell’appropriazione indebita, dove la differenza sta nella qualifica soggettiva di chi agisce ovvero non il privato ma il pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio).
Il reato è ritenuto particolarmente grave (e la pena edittale è stata aumentata nel minimo a quattro anni dalla L. 190/2012) poichè lede sia il buon andamento della Pubblica Amministrazione sia il patrimonio delle stessa (e, quindi, dei cittadini) leso da un soggetto (il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio) che dovrebbe svolgere i suoi compiti in favore della collettività. Occorre, dunque, che il soggetto abbia il possesso o la disponibilità del denaro o di altra cosa mobile altrui e che ciò derivi dalla qualità (pubblica) rivestita.
Sussiste il reato anche quando l’agente avvantaggia un terzo (è il caso, ad esempio, del pubblico agente che, disponendo del potere di ordinare pagamenti di fatture, esercitava tale potere in accordo con imprenditori compiacenti che presentavano fatture per lavori pubblici inesistenti oppure aumentavano le richieste economiche in relazione alle reali prestazioni). Un’ipotesi specifica è quella, meno grave, del peculato d’uso, che si verifica quando il colpevole – sempre soggetto con funzioni pubbliche – abbia agito facendo solo un uso momentaneo della cosa di cui possiede la disponibilità per ragioni di servizio o d’ufficio, nel caso in cui, dopo l’uso, la cosa sia immediatamente restituita.
Anche per il condannato per peculato si applica la pena accessoria dell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici. Anche per l’ipotesi del peculato giudica il Tribunale in composizione collegiale.
La Legge 190/2012 ha introddo nel novero delle norme atte a reprimere l’illegalità nella pubblica amministrazione, l’art. 319-quater c.p. rubricato: induzione indebita a dare o promettere utlità che ha ulteriormente amplito il campo dell’illecito penale nei rapporti tra privato e pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio.
Si tratta di un reato che ricalca per certi aspetti la concussione; ma l’ipotesi di reato è estesa anche all’incaricato di pubblico servizio (come NON è nella concussione) ed il termine “costringe” titpico della concussione è sostituito dal termine “induce”. Inoltre, a differenza della concussione, è previsto esplicitamente al comma secondo della norma che sia punito anche chi dà o promette denaro.
Vediamo il testo integrale della norma: salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare i promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.
Merita di essere menzionato anche il reato di abuso d’ufficio, che è ipotesi residuale rispetto a quelle specifiche di cui sopra.
Si tratta dell’incriminazione della condotta del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, violando la legge o i regolamenti durante lo svolgimento delle proprie funzioni o servizi, intenzionalmente si procura un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure arreca ad altri un ingiusto danno. L’ipotesi sussiste anche quando l’ingiusto vantaggio patrimoniale è procurato a terzi. Sussiste il reato, altresì, quando il pubblico agente omette di astenersi in presenza di un interesse proprio o altrui nei casi in cui dovrebbe farlo.
La legge prevede una specifica circostanza attenuante per i reati di peculato, concussione, corruzione e abuso d’ufficio data dalla particolare tenuità dei fatti.
L’attenuante riguarda il fatto illecito in tutti i suoi profili, compreso quello psicologico soggettivo.