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La vittimologia  – ovvero l’analisi anche dal punto di vista sociologico dell’interrelazione tra la vittima e l’autore del reato – nei suoi recenti sviluppi ha messo in luce come la categoria sociale dei minori sia potenzialmente esposta a diverse tipologie di abusi, molti dei quali perpetrati all’interno delle mura domestiche o, comunque, da un aggressore conosciuto dalla vittima.

Proprio gli ambienti domestici sono spesso teatro di abusi e violenze sessuali in danno di soggetti minorenni operate da familiari o soggetti conosciuti dalle vittime poichè legati da rapporti amicali o sentimentali ad altri soggetti adulti appartenenti al nucleo familiare della piccola vittima.

L’art. 609 bis del codice penale – inserito nel nostro ordinamento dalla L. n°66/1996 – punisce il reato di violenza sessuale con una pena base da 5 a 10 anni, definendola come la costrizione operata su un soggetto affinchè a compia o subisca atti sessuali. Per atti sessuali deve intendersi ogni pratica destinata al soddisfacimento del desiderio sessuale dell’agente (desiderio che, naturalmente, deve essere definibile di natura sessuale in quanto connesso a tale sfera).

La costrizione può essere di natura diversa: può consistere nella minaccia, nella violenza o nell’abuso di autorità e deve essere contraddistinta da una costrizione ovvero deve consistere in una lesione della libera autodeterminazione della vittima.

Il medesimo articolo parifica alla violenza e minaccia anche l’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima o il caso (direi piuttosto teorico) di sostituzione di persona.

La pena, come visto è assai elevata trattandosi di un reato che è contraddistinto da una alta riprovazione sociale.

All’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p. è previsto il c.d. “caso di minore gravità” implicante la diminuzuoine della pena in misura NON eccedente i due terzi. Il Legislatore ha opportunamente previsto tale ipotesi attenuata dal momento che in alcuni casi la violenza sessuale agita ha una portata lesiva piuttosto contenuta per la vittima (si pensi che è sussumibile sotto il reato in commento anche òa c.d. “mano morta” o il bacio “rubato” alla vittima con un fugace tocco di labbra).

L’articolo 609 ter c.p. prevede sette ipotesi aggravate di violenza sessuale e ben quattro dipendono dall’età della vittima:

– la pena prevista è aumentata dai 6 ai 12 anni di reclusione se la vittima è una persona non ancora quattordicenne;

– stessa pena se il reato è avvenuto ai danni di una persona non ancora sedicenne da parte di genitori (anche adottivi), ascendenti o tutori;

– stessa pena anche nel caso in cui il reato sia commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto di istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa (che, quindi, si presuppone sia un giovane studente);

– Si prevede un ulteriore aumento di pena (dai 7 ai 14 anni di reclusione) se la vittima ha un’età inferiore ai 10 anni.

L’art 609 quater c.p. si riferisce alla fattispecie di “atti sessuali con minorenne”, adottando le pene previste per il precedente art 609 bis c.p. (reclusione da 5 a 10 anni di reclusione) anche quando la condotta dell’agente non è contraddistinta da violenza, minaccia, abuso di inferiorità psichica o fisica ovvero in tutti i casi in cui la vittima sia consenziente e, nello specifico, quando la persona offesa:

– non ha compiuto gli anni 14;

– non ha compiuto gli anni 16 nel caso in cui il presunto colpevole sia l’ascendetente, il genitore o il di lui convivente, il tutore o altra persona a cui sia affidato il minore;

– le pene sono aumentate in ogni caso quando si tratta di un minore degli anni 10;

– NON è punibile il minore che compie atti sessuali con un altro minorenne che abbia compiuto gli anni 13 se la differenza di età tra i due soggetti NOn è superiore a tre anni;

– anche tale articolo di legge prevede una diminuzione di pena fino a due terzi nei casi di minore gravità.

La L. n. 66/1996 ha introdotto anche una serie di pene accessorie nel caso dei reati di cui sopra come la perdita della potestà genitoriale e l’interdizione completa dagli uffici di tutore o curatore, la perdita del diritto agli alimenti e l’incapacità di succedere alla persona offesa. Tali pene accessorie presuppongono la dimensione intrafamigliare della violenza subita e mirano a tutelare il minore da una realtà abusante che potrebbe portare ad ulteriori conseguenze il reato commesso.

Naturalmente, nel procedimento a carico dell’accusato la vittima minore sarà formalmente persona offesa e successivamente parte civile potendo esercitare i relativi diritti tramite un difensore nominato da colui che esercita la patria potesta.

Nel caso in cui vi sia un conflitto di interessi (ad esempio poichè il soggetto o i soggetti che rappresentano legalmente il minore – classico è il caso dei genitori – risultano accusati del reato per il quale si procede), il Giudice (anche su richiesta del Pubblico Ministero) nominerà un procuratore speciale (solitamente un difensore iscritto all’albo) che tutelerà i diritti della giovane vittima.

Inoltre, il Pubblico Ministero procedente, informerà l’Atuorità Giudiziaria presso il tribunale per i minorenni territorialmente competente qualora la vittimas del reato sul quale sono in corso le indagini sia una soggetto di età inferiore ai diciotto anni.

E’ di intuitva evidenza l’estrema delicatezza dei reati in parola commessi in danno di minorenni.

Si tratta di episodi assolutamente tristi e scabrosi la cui riprovazione sociale è giustamente unanime.

Si tratta, naturalmente, anche di vere e proprie sciagure per il soggetto che viene ingiustamente accusato poichè – oltre a rischiare una pena uguale o superiore a dieci anni (in alcuni casi) – l’accusa lo trasforma automaticamente – spesso anche prima del Giudizio – in un mostro per il quale non vale il principio di non colpevolezza.

Dal punto di vista pratico, ugualmente impegnativa è la difesa (ovviamente garantita e dovuta poichè altraettando giustamente prevista nel nostro ordinamento a livello cosituzionale) del soggetto che innocente non è ma la cui resposnabilità deve essere accertata secondo parametri legali e non già “per dare una lezione” ed un esempio quasi a monito per gli altri cittadini.

Tecnicamente ed anche umanamente si tratta di una delle prove più difficili per la difesa poichè assai spesso la prova consiste nella testimonianza del minorenne che nei casi più gravi può essere in età prescolare. Il legislatore ha previsto particolari accorgimenti per l’assunzione della predetta prova ovvero affinchè la giovane persona offesa sia tutelata anche nel momento in cui è chiamato – suo malgrado – a riferire dei fatti al centro dell’ipotesi accusatoria.

  • Innazitutto, il minore verrà sentito per mezzo dell’incidente probatorio ovvero senza pubblico in un luogo scelto dal Giudice con il minore impatto psicologico per la vittima (aula trasformata in “sala giochi” o più spesso presso strutture dei Servizi Siciali o dell’USL di zona).
  • al cospetto del minore vi sarà solo il Giudice ed un eventuale ausiliario ovvero un esperto dell’età evolutiva;
  • le domande saranno poste solo dal Giudice (presso i Tribunali più attenti, addirittura, inisieme al minore vi è solo l’ausiliario che procede a porre le domande collegato con il Giudice ed i difensori tramite auricolare);
  • la rievocazione dell’accaduto passa necessariamente per una preliminare analisi delle capacità del minorenne sia dal punto di vista intellettivo che espositivo;
  • le domande del difensore vengono poste ugualmente dal Giudice e – salvo rari casi in cui la vittima è quasi maggiorenne e dimostra di poter sopportare lo stress – non si verifica la cross examination o esame e controesame del teste con le relative domande suggestive;
  • massima attenzione deve riservare il Giudice nel porre le domande preso atto dell’età del minore che potrà essere suggestionato dalla figura autorevole del Giudice, dalla situazione del tutto nuova e così radicalmente diversa da quelle fino a quel momento vissute in particolare:

• l’audizione del minore (tanto più se minore prossimo agli anni dieci) è un incombente particolarmente delicato essendo concreto il pericolo che il bambino (anche adottando le opportune cautele) sia suggestionato dalla figura adulta ed autorevole (tanto più ai suoi occhi) del Giudice (autorevolezza che è impossibile eliminare anche escutendo la p.o. utilizzando tecniche a carattere ludico);

• anche solo la reiterazione di una domanda può indurre il bambino a mutare la risposta iniziale nell’errata convinzione che l’interrogativo gli venga ripetuto poiché la prima risposta non è quella che l’intervistatore ritiene esatta;

pur essendo il ricordo del minore potenzialmente accurato come quello dell’adulto (a patto che sia esortato a riferire liberamente); il bambino tende ad assecondare le aspettative dell’adulto che lo esamina propendendo, quindi, a dare risposte positive (soprattutto a domande dirette che prevedono una risposto si/no: hai visto Mario? Mario ti ha dato fastidio?C’era solo Mario?….);

• il minore interrogato da un adulto raramente riferisce di non aver compreso la domanda (e, spesso, non ha nemmeno la consapevolezza di averla fraintesa);

• le domande devono essere poste al piccolo intervistato in maniera che non contengano delle informazioni (la cui effettiva verificazione è l’oggetto del procedimento) o il “punto di vista” dell’intervistatore;

l’audizione del minore avviene decorso un certo lasso di tempo dai fatti per i quali si procede ovvero dopo che, sicuramente, il bambino ha risposto alle legittime e preoccupate domande della madre e del padre, probabilmente dei nonni, di altri bambini, alle eventuali informali richieste di altri soggetti (ad esempio gli investigatori) eccetera;

• altrettanto comprensibilmente e, per certi aspetti, anche doverosamente, il bambino in vista dell’audizione è stato sicuramente rassicurato, preparato e informato da parte dei sui genitori (e dei suoi cari in generale) di tal che le potenziali suggestioni possono essere (rectius: sono) già state veicolate al minore che, di fatto, potrebbe essere indotto a ripetere al Giudice, non già quello che propriamente ha vissuto e percepito, bensì quello che è emerso dai precedenti colloqui (suggestivi) con i genitori e gli altri soggetti coinvolti;

• il Giudice – oltre ad adottare tutta la sua esperienza e la necessaria cautela per non suggestionare (ulteriormente) il minore con domande “guidanti” o eccessivamente “chiuse” – deve anche vagliare se il comprensibile fenomeno di cui ai punti precedenti si è verificato e con quale grado di influenza sul piccolo testimone;

• la rievocazione del ricordo nel bambino (soprattutto se piccolo) segue processi logici e motivazionali differenti rispetto a quelli dell’adulto poiché il minore tende a ricordare (come tutti) i fatti salienti delle situazioni che lo coinvolgono ma è provato che la salienza dal punto di vista del minore NON è sovrapponibile a quella dell’adulto (che lo intervista);

• Che nel porre le domande dirette a sollecitare il ricordo è necessario tenere presente anche la padronanza del lessico e del linguaggio del piccolo teste

Occorre, inoltre, porre particolare attenzione anche alla circostanza in cui a denunciare l’abuso non sia direttamente la vittima, ma un familiare, spesso uno dei genitori. Anche in questo caso è necessario valutare il tipo di rapporto che lega il denunciante al denunciato: è frequente, infatti, riscontrare la presenza di conflitti profondi, per esempio a seguito di cause di separazione o divorzio, in cui la falsa denuncia a danno dell’ex coniuge viene strumentalizzata con finalità di vendetta o per la necessità di mettere comunque in cattiva luce il genitore/contendente.

In questo ultimo caso, il minore, anche se non vittima di violenza sessuale, subisce una situazione profondamente ansiogenza e potenzialemente dirompente per il suo equilibrio psicofisico derivante sia dal conflitto familiare in cui si trova suo malgrado coinvolto, sia dal contatto con il mondo giudiziario percepito come estraneo e lontano dal proprio contesto di vita.

Altre volte – e davvero in questi casi il binomio genitore (falsamente convinto) e piccola vittima si rivela indissolubile e pericoloso preso atto che la seconda è del tutto manipolata e suggestionata dal primo – la causa di una falsa denuncia può essere la convinzione delirante, da parte di uno dei due genitori, che il proprio figlio subisca effettivamente abusi sessuali.

Il compito svolto dal difensore del presunto offender (così come per l’eventuale parte civile) è, come detto, particolarmente delicato e deve essere necessariamente attuato (in considerazione anche delle conseguenze per tutti i protagonisti della vicenda) con la massima professionalità e preparazione con la disamina attentissima degli indizi (a carattere scientifico e non), delle modalità di escussione del minore (sia da parte delle Forze di Polizia che del Giudice) e con la certosina e scrupolosa ricostruzione dei fatti ove possibili procedendo ad indagini investigative difensive e massimamente con l’audizione dell’assistito.

La violenza può essere diagnosticata alla luce di refertazione medica ovvero con il riscontro di lesioni tipiche, infezioni (o, se la vittima ha un’età maggiore dei quattordici anni, anche la presenza di gravidanze precoci). In caso di screening medico è fondamentale stabilire il nesso causa-effetto tra il presunto abuso e le eventuali lesioni riportate dalla vittima dal momento che spesso i referti medici in atti delineano un quadro di comaptibilità che non può escludere la genesi diversa dalla violenza.

Spesso la giovane vittima (anche in assenza di esiti fisici riscontrabili) manifesta cambiamenti psico-comportamentali riconducibili agli effetti a breve termine determinati dal trauma della violenza subita; tali sintomi possono essere: disturbi del sonno, delle condotte alimentari, costanti lamentele di dolori fisici, rifiuto del proprio corpo nudo e paure immotivate, esplosioni emotive improvvise (rabbia, pianto), isolamento sociale e aggressività, peggioramento del rendimento scolastico, spesso le bambine riferiscono di sentirsi “sporche, brutte e cattive”, fino ad arrivare ad atti più o meno gravi di autolesionismo. Quadro – anche in questo caso a conferma ancora una volta della complessità della materia – che, in ogni caso, non può dirsi frutto esclusivamente di una violenza subita ma che può dipendere anche da altri fattori (che, spesso, si verificano unitamente alla false accuse; ad esempio l’avvenuta separazione dei genitori o l’ansia degli stessi trasmessa al bambino nella convinzione del falso abuso).

Nel breve periodo, tuttavia, l’abuso non determina una vera e propria sindrome, quindi anche in questo caso è necessaria una particolare cautela nella diagnosi. Almeno una delle variazioni comportamentali sopra indicate deve essere improvvisa e apparentemente immotivata, duratura nel tempo e non risolvibile a seguito delle rassicurazioni degli adulti significativi.

Come si è detto, riveste particolare importanza anche l’indagine del contesto sociale in cui il minore vive e della relazione denunciante-denunciato. Possono essere d’aiuto anche i fattori di rischio messi in luce dalle ricerche vittimologiche sul tema: il genere dell’offender è quasi sempre di sesso maschile e le figure abusanti che ricorrono più frequentemente sono padri, nonni, zii e fratelli (è segnalato anche un esiguo numero di soggetti abusanti donne, le cui violenze hanno effetti ancora più devastanti rispetto a quelli perpetrati da soggetti maschili; si tratta di una forma di abuso particolarmente difficile da individuare perché comincia a manifestare i propri effetti in età adolescenziale).

Ulteriori indicatori (ma che come tali devono essere interpretati e non già quali indefettibili cetegorie) provengono dalla struttura socio-culturale della famiglia: scenari accertati di violenza domestica, contesti di separazione o divorzio, una madre passiva o assente e un padre particolarmente autoritario o violento, oppure una marito particolarmente succube di una moglie che si mostra emotivamente distante sia dal partner che dai figli. Sono contesti in cui spesso è possibile rilevare un rapporto disfunzionale tra i coniugi, in cui necessariamente i figli vengono coinvolti. Tali fattori di rischio non determinano un nesso automatico causa-effetto con il presunto abuso, ma possono aiutare a delineare un quadro il più possibile esauriente della situazione in cui ha avuto luogo la presunta violenza.

Tali indicazioni, utili ad isolare ed analizzare le criticità concrete del contesto del sospettato abuso unitamente all’analisi degli aspetti più diffusi del triste fenomeno, nonchè la profondissima attenzione e scinetifico approccio alle modalità di escussione del minore costituiscono impresciondibili strumenti per l’organizzazione della migliore difesa sia della vittima che del sospettato.

BIBLIOGRAFIA:
Cifaldi G., (2004), Pedofilia tra devianza e criminalità, Milano, Giuffré Editore.

Crisafi M., Trunfio E., e Bellissimo L., (2010), Pedofilia : disciplina, tutele e strategie di contrasto, Milano, Giuffré Editore.

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