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L’art. 95 c.p. – derubricato nel Codice Penale: cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti – dispone che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applichino le disposizioni di cui agli artt. 88 e 89 c.p. (tali disposizioni prevedono e disciplinano il vizio totale e il vizio parziale di mente del colpevole e prevedono rispettivamente o la non imputabilità – vizio totale di mente – o l’imputabilità solo parziale – vizio parziale di mente – con esclusione della pena nel primo caso e diminuzione della stessa nel secondo).

La cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, quindi, per il Legislatore può comportare uno stato psicologico tale da configurare un vizio di mente di tale portata da ridurre o diminuire la capacità di intendere e di volere dell’imputato.

Naturalmente, l’applicazione della norma dipende dal significato e dal contenuto dell’ intossicazione cronica.

Precisamente con l’espressione “cronica intossicazione”, prevista dall’art. 95 c.p., si intende una situazione in cui indipendentemente dall’interruzione dell’assunzione della sostanza, ed anche a distanza di mesi o di anni dall’ultima assunzione, il soggetto continua a presentare segni somatici, neurologici e psicopatologici di intossicazione.

La cronica intossicazione da sostanze stupefacenti condiziona tutto il comportamento del soggetto, incidendo sulla sfera neuropsichica e provocando uno sfacelo della personalità con carattere permanente proprio di una malattia, escludendo o scemando grandemente la capacità di intendere e di volere (ovvero di rappresentarsi correttamente la realtà e di agire di conseguenza comprendendo anche il senso e le conseguenze delle proprie azioni attuando una scelta consapevole tra tutte le alternative possibili).

Tale situazione di cronica intossicazione si differenzia nettamente dai casi in cui l’assunzione di alcool o stupefacenti sebbene abituale – con effetti transitori di offuscamento del raziocinio, compromissione della coscienza, alterazione del giudizio e riduzione delle capacità critiche – non sia tale da provocare la cronicità dell’intossicazione stessa e, anzi, tali assunzioni (come detto, anche reiterate e ripetute nel tempo perché abituali) non solo non costituiscono causa di esclusione o diminuzione della capacità di intendere e di volere (con la conseguenza che il soggetto non sarà imputabile o imputabile ma con pena ridotta), ma anzi comportano un aggravamento della pena.

Quindi, la cronicità dell’intossicazione (i cui caratteri analizzeremo anche alla luce della Giurisprudenza) può comportare la compromissione della capacità di intendere e di volere; mentre la “sola” abitualità dell’assunzione non  fa venire meno nel soggetto assuntore la capacità di intendere e di volere ma, anzi, può comportare un aggravamento della pena.

Tale conclusione è evidentemente frutto della comprensibile necessità per il Legislatore di non “giustificare” (anche a livello sanzionatorio) a priori la commissione di reati da parte di soggetti tossicomani o alcolisti ma di permettere una valutazione della loro capacità di intendere e di volere (eventualmente tramite una perizia) qualora l’abuso delle sostanze e dell’alcool sia di tale importanza, portata, durata e robustezza da pregiudicare (in maniera permanente) la sfera psicofisica dell’assuntore.

L’unico caso che, a livello sanzionatorio, può essere in un certo senso paragonato all’intossicazione cronica disciplinata dall’art. 95 c.p. è l’ubriachezza derivata da caso fortuito o forza maggiore: l’art. 91 c.p. dispone, infatti, che non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o forza maggiore. Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, la pena è diminuita. Esempi di questa ubriachezza accidentale, involontaria o incolpevole, sono quelli di colui che – ad esempio – rimane intossicato lavorando in una distilleria o di chi ingerisce dell’alcool credendolo bevanda non alcolica.

Situazione nettamente differente rispetto alle ipotesi sopra evidenziate (ipotesi, come detto, della cronica intossicazione o dell’intossicazione fortuita o casuale) è, invece, quella disciplinata dall’art. 92 c.p., relativa ai casi di ubriachezza volontaria, colposa oppure preordinata: in queste condizioni il soggetto che ha commesso il reato è considerato pienamente imputabile ed anzi se l’ubriachezza o l’assunzione di sostanze è stata preordinata al fine di commettere un reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata.

Importantissima risulta essere la distinzione tra ubriachezza e assunzione abituale di sostanze stupefacenti (art. 94 c.p.) e quella, appunto, di intossicazione cronica prevista dall’art. 95 c.p.: agli effetti della legge penale è considerato ubriaco abituale o assuntore abituale di sostanze stupefacenti chi è dedito all’uso di tali sostanze e si trovi in stato frequente di ubriachezza. Quando il reato è stato commesso in questi stati, definiti abituali, la pena è aumentata.

La dottrina e la Giurisprudenza si sono più volte soffermate e pronunciate in ordine alla concreta differenza tra chi commette un reato in uno stato di intossicazione abituale e chi, invece, commette il reato perché si trova in una situazione di intossicazione cronica. L’importanza della distinzione è già stata sottolineata: la prima evenienza comporta un aumento della pena; la seconda una diminuzione alla luce dei riflessi della cronicità sulla capacità di intendere e di volere.

Nel caso della intossicazione abituale durante gli intervalli di astinenza, il soggetto riacquista la capacità di intendere e di volere, a differenza dell’intossicato cronico in cui i fenomeni tossici sono stabili senza soluzione di continuità, persistendo anche dopo l’eliminazione dell’alcool o della sostanza assunta, sicché la capacità del soggetto può essere permanentemente esclusa o grandemente scemata.
Tale intossicazione cronica (o. meglio, gli effetti della stessa sulla psiche dell’imputato/indagato) deve essere accertata tramite perizia psichiatrica.

Vediamo alcune pronunce della Giurisprudenza che hanno affrontato il delicato tema della cronicità e dell’abitualità.

“Mentre l’ubriachezza abituale postula il carattere “transeunte” dei fenomeni tossici, che sono assenti negli intervalli di astinenza, durante i quali il soggetto riacquista la capacità di intendere e di volere, l’intossicazione cronica è, al contrario, quella che, per il suo carattere ineliminabile, e per l’impossibilità di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, tali da far apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte ad una vera e propria malattia psichica (così Cass. 11 aprile 1994, n. 4096). Pertanto, poiché l’imputato è affetto da infermità psicoorganica da cronica intossicazione alcoolica dall’età di 20 anni e da una polidipendenza da sostanze stupefacenti e benzodiazepine e che, pertanto, al tempo dei fatti oggetto del processo, egli era totalmente incapace di intendere e di volere, va assolto perché persona non punibile per difetto di imputabilità” (Corte di App. Milano Sez. II, 10-11-2006)

“L’intossicazione cronica da sostanze stupefacenti consiste in una alterazione dell’equilibrio biochimico del soggetto che provoca una permanente alterazione dei processi intellettivi e volitivi configurabile come una vera e propria malattia mentale. A tale fine va operata una distinzione tra l’alterazione della volontà, ed eventualmente della capacità intellettiva, che si manifesta in un soggetto tossicodipendente in crisi di astinenza e che viene superata al termine della crisi stessa, e la permanente compromissione delle facoltà psichiche in conseguenza della intossicazione da sostanze stupefacenti considerata dall’art. 95 c.p.” (Cass. pen. Sez. I, 18-01-1995, n. 3633).

“La linea di demarcazione tra l’intossicazione derivante da un uso abituale di sostanze stupefacenti (art. 94 terzo comma c.p.) e l’intossicazione cronica prevista dall’art. 95 c.p. (che il legislatore considera uno stato patologico assimilato al vizio di mente totale o parziale di cui all’art. 88 e 89 c.p.) sebbene clinicamente ben distinta, deve essere colta dal giudice di merito attraverso un esame approfondito da compiersi caso per caso anche attraverso accertamenti medicolegali (Corte di Appello di Catanzaro Sez. I, 05-11-2009).

“Lo stato di intossicazione cronica è ravvisabile solo quando l’assunzione delle sostanze alcoliche sia pervenuta a tale stato e grado da determinare una autentica affezione cerebrale o una permanente alterazione psichica, così da far concludere che, in realtà, si tratti di un vero e proprio malato di mente. Tuttavia, va precisato che, a norma dell’ art. 92 c.p., l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o forza maggiore non esclude né diminuisce l’imputabilità (App. Palermo Sez. III Sent., 30-03-2009)

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 c.p. sotto il profilo della loro irragionevolezza e sotto quello, collegato, della lesione dell’art. 111. per l’impossibilità di motivazione di un provvedimento giurisdizionale che debba fondarsi sull’impossibile differenziazione tra abitualità nell’ubriachezza e nell’uso di sostanze stupefacenti e cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, in quanto – premesso che la giurisprudenza ordinaria, segnatamente quella di legittimità, si è attestata da alcuni decenni e senza apprezzabili divergenze su un’interpretazione che si presenta con caratteri di certezza e di uniformità nell’identificazione dei requisiti della cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, e che, alla stregua della predetta giurisprudenza, per potersi correttamente invocare lo stato di intossicazione cronica occorre un’alterazione non transitoria dell’equilibrio biochimico del soggetto tale da determinare un vero e proprio stato patologico dell’imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi – a prescindere da ogni legittima discussione scientifica sull’esatta nozione dell’infermità mentale e del ricorso che a questa nozione ritiene di fare la giurisprudenza ordinaria, la non irragionevolezza della disposizione di cui all’art. 95 c.p. deve individuarsi nell’opportunità di riaffermare anche nei casi in esame il superiore valore del principio di colpevolezza. Invero, in ultima analisi, è il riferimento alla colpevolezza o meno del soggetto quello che deve permettere di distinguere, dal punto di vista della volontà del legislatore e per le conseguenze previste dalla legge, l’intossicazione acuta da quella cronica: colpevole quella acuta, sia pure dandosi spazio a tutti i trattamenti di recupero e agli altri provvedimenti ritenuti adeguati sul piano dell’applicazione e dell’esecuzione delle pene; incolpevole, o meno colpevole, quella cronica, sia pure attraverso il passaggio, nell’ipotesi della pena soltanto diminuita, per la discussa e discutibile figura della semi-imputabilità. Ed è altresì facendo riferimento al principio di colpevolezza che il giudice deve porsi in grado di risolvere i problemi che si presentano nella concreta applicazione dell’art. 95 c.p, facendo ricorso, nel dubbio, proprio alle regole di giudizio espressamente stabilite nei commi 2 e 3 dell’art. 530 c.p.p: sotto questo profilo una motivazione della sentenza è non solo possibile, ma doverosa, anche a prescindere dal pur rilevante parere eventualmente espresso, sia sull’imputabilità che sulla pericolosità sociale, dal perito o dai periti (Corte cost., 16-04-1998, n. 114).

(con la collaborazione della Dott.ssa M. Mastrangelo)

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Salve. Vorrei sapere se un alcolista cronico certificato, può fare trattative di vendita beni immobili. E in tal caso i parenti possono intervenire legalmente per annullare l’atto di vendita? Grazie.

    1. Buongiorno,
      in quesito è piuttosto complesso ed in questa sede non è possibile darLe una risposta soddisfacente e completa.
      Contatti lo Studio eventualmente.

      Studio Legale de Lalla

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