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Analizziamo per sommi capi in questo articolo quello che impropriamente è stato ribattezzato dagli organi di stampa il Decreto (il secondo del 2013) “svuota carceri” ovvero il Decreto Legge 146/2013 entrato in vigore il 24.12.2013.
Il provvedimento legislativo di cui trattiamo – sollecitato anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza del 8.1.2013 che condannava l’Italia per il trattamento carcerario inumano riservato ai ricorrenti – si intitola Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria.
Occorre puntualizzare subito che il Decreto Legge 146/2013 non prevede alcun provvedimento clemenziale (amnistia o indulto) né alcun automatico sconto di pena per i detenuti e gli internati ma solo un potenziamento di alcuni istituti già esistenti nel diritto penitenziario e nella procedura penale e l’introduzione di alcuni istituti e Autorità (come il Garante nazionale dei diritti del detenuto) deputati alla salvaguardia dei diritti delle persone recluse.
Sul punto, prima ancora di affrontare l’analisi dei punti più salienti del decreto in commento, chi scrive desidera fare una riflessione che – credo – possa essere condivisa in linea di principio se si approccia il problema sociale del sovraffollamento carcerario con l’opportuno equilibrio.
La pena della detenzione – ovvero la restrizione della libertà personale presso una struttura statale c.d. totale a ciò deputata – è una pena disciplinata e prevista dal codice penale quale rimedio special e general preventivo (ovvero, rispettivamente, affinché il reo non delinqua dopo il commesso reato e tutti i cittadini siano spinti a non farlo poiché consapevoli delle conseguenze di condotte illegali) che nel nostro ordinamento deve tendere (costituzionalmente) alla rieducazione del reo (il Legislatore ha espressamente utilizzato il verbo “tendere” poiché la rieducazione non deve essere imposta al condannato ma verificarsi con la sua collaborazione).
Questi sono principi base del nostro ordinamento frutto di una storia secolare fatti propri anche da tutti gli Stati europei che riconoscono i dettami della Carta Europea dei diritti dell’uomo.
Non esistono (né potrebbero esistere) nel nostro ordinamento norme che impongono per i detenuti delle pene accessorie oltre la restrizione della libertà che sanciscono (e rendono legale) l’opportuno ed indefettibile sovraffollamento delle strutture penitenziarie (con tutte le conseguenze che ne derivano) o che le pene detentive siano eseguite in strutture fatiscenti, malsane, senza attrezzature di sorta e, comunque, non adatte alla permanenza prolungata dei soggetti ivi rinchiusi.
E’ evidente che la pena – in quanto tale – deve essere afflittiva per chi la subisce (e sul punto non è possibile fare alcuna osservazione di segno contrario); ma, come detto, l’afflittività non deve superare quella soglia oltre la quale si trasforma in un trattamento inumano assolutamente lontano da quella rieducazione che dovrebbe essere lo scopo della pena (e, ad esempio, costringere dieci persone adulte a dividere 24 ore al giorno uno spazio appena sufficiente per cinque uomini è sicuramente un trattamento non rispettoso dei diritti umani).
Non è possibile negare che molto spesso si è portati a ritenere i detenuti del tutto responsabili della loro condizione e, in alcuni casi e per certi reati, assolutamente meritevoli di ogni surplus di pena che la condizione di detenzione può determinare.
Non è questa la sede per riflettere sulla dimensione filosofica della pena detentiva; ma sul punto occorre fare una duplice osservazione:
– Il nostro Stato (a torto o a ragione, dipende dalle posizioni) ha sancito a livello costituzionale (riconoscendo anche norme ed Autorità internazionali) che la pena per il reo non deve consistere in trattamenti disumani e deve tendere alla rieducazione del condannato;
– La rieducazione è un obbiettivo possibile (non è una valutazione soggettiva:i numeri lo dimostrano in quelle strutture dove effettivamente è cercata ed attuata) ed è utile dal momento che scongiura la commissione di nuovi crimini.
Ciò posto, il Legislatore ha il dovere – senza alcuna concessione ad un supposto “buonismo” delle istituzioni – di provvedere ad eliminare il sovraffollamento carcerario sia in virtù della concezione della pena adottata dal nostro Paese sia in attuazione di una utile politica criminale volta a diminuire il fenomeno del recidivismo.
Non si fraintenda l’intervento del Legislatore (e, nello specifico, il Decreto Legge 146/2013) come un colpo di spugna o un trattamento di favore per coloro che sono stati condannati.
Peraltro, come sopra accennato, le disposizioni del Decreto in esame non comportano né comporteranno nell’immediato alcuna emorragia di condannati o l’indistinta concessione di benefici carcerari.

I PUNTI SALIENTI DEL DECRETO LEGGE 146/2013
Come detto, la norma ha previsto sia la modifica di alcuni istituti già esistenti nel nostro ordinamento sia la creazione di nuovi presidi giuridici che dovrebbero portare ad una graduale diminuzione del sovraffollamento carcerario con un più ragionato impiego di misure alternative alla detenzione e con l’introduzione dell’autonoma figura di reato ex art. 73 comma 5 DPR 309/1990 ovvero lo spaccio di lieve entità (fino ad oggi considerato NON un reato a sé ma una circostanza solo attenuante della fattispecie più grave prevista dal primo comma del medesimo articolo. Vedi oltre).

Ecco nel dettaglio gli aspetti più caratteristici della nuova disciplina:
 – Incentivo all’utilizzo del braccialetto elettronico ex art. 275 bis c.p.p. per permettere una maggiore applicazione della detenzione e degli arresti domiciliari.
Il braccialetto elettronico era già stato introdotto dal Legislatore nel 2000 ma non ha mai avuto una reale diffusa applicazione per la difficoltà di reperimento sia del personale deputato al controllo sia delle attrezzature necessarie. Con il Decreto Legge 146/2013 il Legislatore ha inteso facilitarne l’utilizzo imponendo ai giudici di motivare specificatamente le ragioni per le quali tale dispositivo, nel caso concreto, non è ritenuto idoneo al controllo del soggetto al quale si dovrebbe applicare. Nel frattempo (dal 2000 ad oggi), inoltre, l’innovazione tecnologica ha permesso un ammodernamento dei dispositivi di controllo, una maggiore affidabilità degli stessi ed una più semplice attività di controllo che le Forze dell’Ordine dovrebbero esperire. Va da sé che una maggiore applicazione del controllo presso il domicilio comporterebbe una diminuzione degli ingressi in carcere di quei soggetti, ad esempio, sottoposti a custodia cautelare in carcere (soggetti che, evidentemente, dovrebbero possedere in ogni caso le risorse morali e materiali per rispettare il regime di restrizione della libertà personale presso il domicilio con controllo remoto).

– Autonoma configurazione del reato di spaccio di lieve entità ex art. 73 comma 5 DPR 309/1990 e diminuzione della pena per tale ipotesi da un massimo di sei ad uno di cinque anni.
Lo spaccio di lieve entità (per i mezzi e la quantità di sostanza stupefacente oggetto della cessione a terzi) diviene un reato autonomo e non più una circostanza attenuante della cessione a terzi di cui al primo comma del medesimo articolo.
Tale innovazione permetterà un trattamento sanzionatorio più mite per il microspaccio (in tema di bilanciamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e, soprattutto, della recidiva ex art. 99 comma 4 c.p.) e, quindi, un minor ricorso alla pena detentiva.
E sul punto occorre sottolineare che la popolazione carceraria è attualmente composta per quasi un terzo da soggetti tossicodipendenti effettivamente coinvolti nel c.d. spaccio di strada.
Inoltre, il braccialetto potrà essere utilizzato anche per il controllo dei soggetti detenuti ammessi ai permessi premio, al lavoro esterno ed alle misure alternative alla detenzione. Rimane ancora in vigore l’arresto facoltativo in flagranza per tale reato e, quindi, un effettivo contenimento della portata deflattiva della novella sulla popolazione carceraria.

Ampliamento da tre a quattro anni del termine entro il quale è possibile usufruire (anziché della detenzione intramuraria) dell’affidamento in prova al servizio sociale (ovvero la misura alternativa alla detenzione che è possibile espiare presso il proprio domicilio sottostando a limitazioni orarie e di libero movimento sul territorio;

– Prolungamento e stabilizzazione dell’espiazione delle pene detentive entro i 18 mesi presso il domicilio e, quindi, abolizione del termine dell’istituto in parola originariamente previsto in vigore fino al 31 dicembre 2013;

Potenziamento dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a titolo di pena alternativa al carcere.

 – Ripensamento e nuova applicazione della liberazione anticipata e potenziamento della stessa.
Come noto, prima della riforma di cui qui si tratta, ogni detenuto che collaborava all’opera di rieducazione aveva diritto a 45 giorni di detrazione della pena ogni sei mesi di pena scontata.
Il Decreto Legislativo 146/2013 ha ridisegnato l’istituto in questi termini:
1. I giorni di detrazione della pena per coloro che espiano una pena detentiva presso il carcere sono oggi aumentati a 75 gg per ogni semestre di pena espiata;
2. Tutti coloro che hanno espiato la pena in carcere a partire (o successivamente) al 1° gennaio 2010 e sono già stati ritenuti meritevoli di liberazione anticipata per i semestri espiati (ovvero i 45 giorni previsti prima della riforma del Decreto in esame) avranno diritto – FACENDONE APPOSITA RICHIESTA al Magistrato di Sorveglianza – ad una ulteriore detrazione di giorni 30 per i semestri già espiati qualora abbiano tenuto una condotta corretta e partecipe all’opera di rieducazione;
3. I richiamati giorni 75 di liberazione anticipata saranno riconosciuti anche ai condannati per i reati particolarmente gravi ex art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario qualora abbiano dato prova di un concreto recupero sociale.
4. Da sottolineare che la liberazione anticipata di cui si tratta (i 75 giorni detratti per ogni semestre espiato e la maggiore detrazione dei 30 giorni per i semestri espiati a partire dal 1° gennaio 2010) NON si applicano a coloro che hanno espiato (e stanno espiando la pena) in detenzione domiciliare o in regime di affidamento in prova al servizio sociale (e anche sotto questo profilo si intuisce come il Legislatore del Decreto in esame abbia inteso porre un freno al sovraffollamento e non già alleggerire accorciandole in maniera indiscriminata le pene inflitte).
5. In ogni caso, la liberazione anticipata “potenziata” sarà in vigore esclusivamente per due anni dall’entrata in vigore del decreto ovvero fino al 24 gennaio 2015.

Nuova disciplina del reclamo opposto dal detenuto avverso provvedimenti disciplinari che ne compromettono sensibilmente i diritti (e non già tutti i provvedimenti di ordine disciplinare).
Prima della riforma – come aveva rilevato la Corte Costituzionale nel 2006 – il reclamo del detenuto avverso provvedimenti disciplinari inflitti dall’amministrazione penitenziaria erano privi di tutela giurisdizionale (ovvero la trattazione in contraddittorio tra le parti avanti ad un Giudice terzo) ed erano decisi in difetto di una efficace difesa tecnica della posizione del ricorrente.
La novella in esame introduce (oltre ad un più ampio ventaglio dei soggetti giuridici ai quali il reclamo può essere inoltrato) un vero e proprio giudizio avanti al Magistrato di Sorveglianza con possibilità di successiva impugnazione del provvedimento decisorio avanti alla Corte di Cassazione.

– Istituzione di un nuovo ente – il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale – deputato al controllo ed alla supervisione delle condizioni dei detenuti con poteri di raccomandazione, ispezione, documentazione ed investigazione (in tema di trattamento intramurario) assolutamente ampi e mai prima esercitati da un collegio unitario con il dovere di riferire annualmente direttamente ai Presidenti di Camera e Senato e ai Ministri dell’Interno e della Giustizia.

Il Decreto Legge 146/2013 – che potrà subire diverse modifiche in sede di conversione – affronta, quindi, sotto diversi profili (e anche sotto la spinta di organi ed istanze sovranazionali) il delicatissimo tema del sovraffollamento carcerario e delle attuali condizioni degradanti dei detenuti con interventi ad ampio spettro assolutamente non clemenziali ma dipendenti dalla meritevolezza del richiedente e non venendo meno alle legittime richieste di protezione e certezza della pena provenienti dalla società civile tutta.
Per adesso, è impossibile stilare un bilancio dei risultati che la novella permetterà di raggiungere e solo il tempo consentirà di valutare la correttezza metodologica dei soggetti (Giudici, avocati, operatori sociali, amministrazioni penitenziarie in primis) deputati all’attuazione del Decreto Legge n. 146/2013.

(Articolo redatto dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ne è vietata la riproduzione).

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