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I fatti di cronaca sono a dir poco noti e sulle responsabilità sta indagando la magistratura.

In estrema sintesi: venerdì 13 gennaio 2012 un’enorme nave da crociera della Compagnia Costa urtava uno scoglio di fronte al porto dell’Isola del Giglio (nell’arcipelago toscano) pare nell’attuazione di una manovra (fino a quel giorno – credo – ai più sconosciuta) denominata “inchino” ovvero un passaggio ravvicinato alla costa.

La collisione con lo scoglio (che rimaneva letteralmente conficcato nello scafo della nave) determinava una falla lunga circa settanta metri (all’altezza della sala macchine) alla quale seguiva l’allagamento di molti comparti del natante.

La nave si piegava sul fianco davanti alle coste dell’isola toscana (non è ancora accertato se a seguito di una manovra del comandante o per forza di inerzia).

Le persone a bordo – tra passeggeri ed equipaggio oltre 4000 – abbandonavano la nave (o ci provavano) con il solo aiuto di alcuni membri dell’equipaggio (nemmeno specializzati) avvalendosi delle scialuppe o gettandosi in mare.

Malauguratamente, a seguito del disastro si verificavano delle vittime (alcune delle quali ancora oggi ufficialmente disperse)

Ombre si sono subito estese sulle responsabilità del Comandante Schettino e davvero si sono sprecate le testimonianze filmate (e non) e le indiscrezioni (anche alla luce della presenza in plancia in quegli attimi cruciali di una signora straniera – la Cermotan – che non pare avesse alcun ruolo ufficiale soprattutto in quel momento) sull’accaduto e, in particolare, sulla sua condotta subito dopo la collisione.

Cerchiamo di capire meglio (anche se la trattazione non potrà che essere superficiale) quali sono gli aspetti giuridici della questione, al di là delle polemiche e degli scoop.

Il diritto alla navigazione disciplina con leggi ad hoc quello che di giuridicamente rilevante può accadere a bordo di una nave.

Il diritto della navigazione (o diritto marittimo) è la branca del diritto costituita dall’insieme di norme che disciplinano la navigazione marittima ed aerea di tipo commerciale e non commerciale.

Il Codice della Navigazione, prevede un reato in capo al Comandante che, in caso di abbandono della nave, del galleggiante o dell’aeromobile in pericolo, non scende per ultimo da bordo. Per questo delitto, il Comandante è punito con una pena alla reclusione fino a due anni.

È punto fermo quello per cui il Comandante deve dirigere le operazioni di evacuazione necessarie a mettere al sicuro i passeggeri.

Un’aggravante è prevista se dal fatto deriva l’incendio, il naufragio o la sommersione della nave o del galleggiante, ovvero l’incendio, la caduta o la perdita dell’aeromobile. Un’ulteriore aggravante può essere contestata se la nave o l’aeromobile è adibito a trasporto di persone: in tal caso la pena può arrivare a dodici anni.

Anche gli altri membri dell’equipaggio possono rendersi responsabili di reato quando abbandonano la nave o l’equipaggio in pericolo. Se il componente dell’equipaggio abbandona la nave o il galleggiante in pericolo, senza il consenso del comandante, è punito con la reclusione fino a un anno.

Aggravanti analoghe a quelle previste per il fatto del Comandante, sono previste anche per il componente dell’equipaggio.

Nel caso di cronaca, puntuali sono arrivati gli avvisi di garanzia per alti ufficiali a bordo durante l’incidente, perché anche loro avrebbero abbandonato la nave ore prima della conclusione delle operazioni di salvataggio.

Il reato di naufragio è invece previsto dal codice penale, nella parte dei delitti contro l’incolumità pubblica.

Bene tutelato è, infatti, non la singola integrità della persona, ma un più ampio bene giuridico.

Concettualmente, il reato di naufragio appartiene alla categoria dei reati di disastro, di cui si è parlato su questo sito a proposito della sentenza c.d. Eternit.

L’art. 428 del codice penale, denominato “Naufragio, sommersione o disastro aviatorio”, punisce chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà, con la pena della reclusione da cinque a dodici anni.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di sua proprietà, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica. Non deve sorprendere la particolare severità prevista dal Codice della Navigazione.

L’equipaggio tutto deve obbedienza al Comandante.

Nel caso in cui un ufficiale riconosca uno sbaglio in capo al Comandante, ha il dovere di segnalarlo, anche perché la gerarchia della marina commerciale è meno rigida di quella militare; se non lo segnala e viene individuato tra quei soggetti che non potevano non sapere, è riconosciuto anch’egli responsabile.

In caso di emergenza, è consentito al Comandante di ordinare l’abbandono della nave in pericolo, ma solo dopo aver esperito senza risultato i mezzi suggeriti dall’arte nautica, per salvare nave e passeggeri, e sentito il parere degli ufficiali di coperta. L’abbandono deve essere preceduto da un messaggio internazionale (may day) con cui si chiede immediato aiuto all’autorità marittima, alla Guardia Costiera, alle altre imbarcazioni che si trovano nelle acque vicine.

 Per costoro vi è obbligo di prestare soccorso.

Il Comandante non può rifiutare gli ordini legittimi dell’autorità marittima che attengono alle operazioni di salvataggio.

In generale, il Comandante, anche quando è obbligato ad avvalersi del pilota, deve dirigere personalmente la manovra della nave all’entrata e all’uscita dei porti, dei canali, dei fiumi e in ogni circostanza in cui la navigazione presenti particolari difficoltà.

In altre parole: in casi di difficoltà, non sono ammesse deleghe, ma è solo il Comandante che deve gestire e guidare le operazioni, coordinando l’equipaggio.

Il Comandante ha dunque la responsabilità della navigazione della nave.

Ciò non significa che il Comandante debba dirigere personalmente la navigazione per tutto il tempo del viaggio, avendo lo stesso turni di riposo. È comunque necessario che il comandante dia le disposizioni necessarie agli ufficiali di coperta e ne controlli puntualmente l’attuazione. Come detto, è punto fermo che all’entrata e all’uscita dei porti e in tutte le circostanze che presentino particolari difficoltà, il Comandante deve dirigere personalmente la manovra.

Nel caso della Costa Concordia sembra che il Comandante abbia agito contra legem, violando tali disposizioni.

Sembra che il Comandante non abbia peraltro osservato quanto previsto dal Codice della Navigazione, riguardo la navigazione in zone vietate.

Ci si è chiesti come mai la nave si trovasse così vicino agli scogli, pur segnalati dalla carte nautiche, così da incagliarsi pericolosamente. Da quello che emerge la manovra posta in essere dal Comandante sarebbe pratica fuori dalla norma marinara perché espone nave, equipaggio e passeggeri a troppi rischi di sicurezza. Il Procuratore Capo di Grosseto ha dichiarato che il Comandante non poteva avvicinarsi così tanto all’isola. Così facendo era inevitabile che la nave colpisse lo scoglio. Quanto alle responsabilità, non è chiaro se possano essere estese anche alle compagnie di navigazione che, stando a quanto è emerso, non avrebbero vietato mai queste manovre, ma addirittura in alcuni casi le avrebbero addirittura sollecitate per aumentare l’orgoglio dei comandanti e stupire i passeggeri. Sembrerebbe, altresì, che il Comandante abbia peccato di diligenza sottovalutando le condizioni in cui la nave si trovava dopo la manovra imprudente ed azzardata; così si sarebbero determinati quei ritardi nell’assumere le necessarie urgenti decisioni. Sempre carente di diligenza sarebbe stato il comportamento consistente nel ritardo nella richiesta di aiuto alla Capitaneria di porto. Il ritardo ha certamente aggravato la situazione.

Nel caso della Costa Concordia, purtroppo, ci sono state anche passeggeri che hanno perso la vita.

È, pertanto, configurabile anche il reato di omicidio colposo plurimo, per avere cagionato la morte di più persone per imprudenza, negligenza e imperizia.

Infine, sotto gli occhi di tutti, è la possibilità che dai fatti occorsi possa derivare anche un disastro ambientale. Ricordiamo come si siano dispersi in mare i rifiuti, gli olii motore, i solventi i prodotti chimici e tutto quello che può servire ad oltre 4000 persone per 8 giorni. Senza contare la possibilità di dispersione in mare delle 2380 tonnellate di gasolio che la nave aveva ancora nei serbatoi, essendo partita poco prima dal Porto di Civitavecchia. Per questo coinvolgimento del bene ambientale, il Ministero dell’Ambiente ha preannunciato la sua costituzione quale parte civile.

Per completezza, va detto che su una nave può verificarsi il fenomeno noto come ammutinamento, che costituisce un reato punito con la reclusione fino a tre anni per i componenti dell’equipaggio della nave che in numero non inferiore al terzo disobbediscono, collettivamente o previo accordo, ad un ordine del comandante. Si è discusso se possa sussistere tale illecito per i noti fatti della Costa Concordia presso l’Isola del Giglio, ma parrebbe doversi dare risposta negativa, in quanto i membri dell’equipaggio sembra abbiano agito in seguito alla totale mancanza di ordine di parte del Comandante e per la necessità di salvare se stessi e i passeggeri da imminente pericolo di vita. In sostanza, anzi, l’iniziativa dei membri dell’equipaggio (alcuni di essi) sarebbe stata benevola per il destino dell’operazione, rendendo un po’ meno infausto e terribile l’esito di quanto si stava consumando sotto i loro occhi.

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