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Immagine tratta da www.giornaledipuglia.com

Sollecito e Knox: un caso dove l’attenzione per il particolare (da parte del difensore e degli inquirenti) potrebbe fare la differenza.

Commentando la fase delle indagini preliminari, rilevavo l’importanza – soprattutto per il difensore – del rispetto di ogni formalità nel compimento di tutti gli atti e le attività di acquisizione delle fonti di prova nell’ottica del massimo rispetto della ricostruzione più possibile vicina alla realtà fattuale ancor prima che dei diritti dell’indagato/accusato.

I recenti sviluppi dell’omicidio di Perugia, appaiono essere l’ennesima dimostrazione che nel procedimento penale la forma è sostanza.

Come noto, la perizia disposta dalla Corte di Assise d’Appello perugina ha evidenziato la possibilità che la (supposta) arma del delitto ed il gancetto del reggiseno della povera vittima siano stati oggetto di contaminazione durante la procedura di repertazione-conservazione-analisi da parte degli inquirenti e che, pertanto, le tracce biologiche su di essi evidenziate (in linea con l’ipotesi accusatoria) non possano più considerarsi attendibili.

Orbene, vale la pena innanzitutto evidenziare che ogni attività di individuazione e “isolamento” delle fonti di prova in vista del processo penale ove la prova è formalmente assunta (così come sono evidenziati, raccolti e valutati gli indizi), presuppone il rispetto di formalità dettate dal Legislatore o dalla prassi (ispirata in questo secondo caso da linee guida di valenza generale per la valutazione delle quali spesso è fondamentale l’intervento di consulenti tecnici a supporto delle parti processuali).

Naturalmente, così come l’attività di indagine può variare in atti tipici e atipici, così le procedure da adottare correttamente possono essere le più disparate caratterizzata ognuna dalla più diversa natura e complessità.

Il panorama è davvero molto ampio e si va – ad esempio, ma citando davvero solo pochissimi casi di fronte alla potenzialmente sconfinata moltitudine di attività dello stesso genere e fine – dalle “semplici” tecniche per la segnalazione fottodattiloscopica (ovvero il confezionamento dei cd. cartellini riportanti le generalità, la foto di fronte e di profilo e le impronte digitali e palmari del soggetto identificato), alle procedure per l’individuazione fotografica e personale, a quelle volte all’isolamento ed all’analisi dei residui dello sparo (il cd STUB), ad ogni accertamento tecnico di natura medica svolto sulla vittima del supposto reato, alle analisi foniche, alle tecniche per l’attuazione delle intercettazioni ambientali e telefoniche (comprese le attività e le attrezzature di ascolto e trascrizione), alla procedura di rilevamento, conservazione ed analisi di residui biologici di sangue, cute, capelli, sperma, saliva etc. (in ossequio alla teoria secondo la quale il reo lascia sempre qualche cosa di sé sulla scena del delitto e porta sempre via qualcos’altro).

Tale ultima attività inerente all’accertamento delle tracce biologiche (e ci si riferisce in particolar modo all’attività di repertazione e conservazione del campione sulla scena del crimine, richiede da parte degli operanti elevatissime competenza e specializzazione (oltre ad attrezzature piuttosto sofisticate) presto atto della facilità con la quale si verificano falsi positivi e falsi negativi (indicando con tali termini veri e propri errori con conseguente travisamento dell’evidenza isolata).

Se il sopralluogo di polizia è di per sé complesso poiché è contraddistinto da un susseguirsi di momenti cruciali nei quali chi agisce deve essere massimamente concentrato, la fase di repertazione dei materiali biologici richiede un’attenzione ancora maggiore.

Il art. 622, invero, necessita – come detto – di particolare destrezza nella fase della:

  • raccolta;
  • del confezionamento per il trasporto;
  • della conservazione;
  • e naturalmente al momento dell’analisi di laboratorio.

Il pericolo di inquinamento (ovvero della contaminazione della traccia che perde così la sua “reale identità”) è il maggiore rischio che si profila fin dalla prima fase di repertazione e che rimarrà elevatissimo fino al termine del procedimento penale.

A tal fine è necessario utilizzare strumenti e contenitori assolutamente sterili per l’isolamento di tracce su oggetti, su soggetti viventi o su cadaveri.

A ciò si aggiunga che ogni tipologia di traccia richiede una tecnica specifico a sua volta diversa qualora la repertazione avvenga su oggetti o esseri umani (vivi o deceduti).

Diversa sarà la procedura nel caso di macchie di sangue (liquido o secco) prelevato dal cadavere o su un oggetto da quella indicata per l’isolamento di macchie di sperma (che potrà essere evidenziato liquido, secco, sulla vittima di un assalto sessuale o su degli oggetti) ed ancora un’altra attività sarà adatta nel caso di capelli, saliva, urina ed in caso di materiali particolari quali mozziconi di sigarette, buste e francobolli, residui di feci e proiettili.

Le difficoltà, come detto, non terminano con l’attività di materiale raccolta e conservazione delle tracce; ed invero si amplificano al momento delle analisi di laboratorio volte all’isolamento del DNA.

I laboratori forensi in grado di compiere indagini sul DNA sono in Italia relativamente pochi.

Generalmente sono gli istituti di medicina legale che si occupano delle indagini su tracce biologiche, anche perchè le analisi per l’identificazione genetica richiedono il supporto di analisi tradizionali, quali quelle generiche e di specie, per le quali i laboratori di medicina legale hanno acquisito un’importane esperienza nel tempo.

Le Forze di polizia, peraltro, preso atto della sempre maggiore importanza della genetica forense, hanno istituito dei centri di riferimento a Roma presso la polizia scientifica ed i Carabinieri per lo studio del DNA (questi ultimi hanno attivato anche alti due centri a Parma – e diffusa è la fama, a torto o a ragione, di tale reparto – e a Messina).

La necessaria standardizzazione delle procedure analitiche ed il controllo di qualità sono fondamentali anche per questo tipo di analisi (come per la repertazione) proprio per l’individuazione di protocolli scientificamente validi e condivisi a livello internazionale al fine di “isolare” procedure controllabili ed affidabili (che il difensore dovrebbe, infatti, conoscere anche e soprattutto attraverso un preparato consulente tecnico) volte a garantire l’imputato e, più in generale, la genuinità ed affidabilità del risultato finale.

Il Consiglio di Europa ha fornito delle raccomandazioni specifiche sull’utilizzo del DNA nei casi criminali, sollecitando i paesi membri a promuovere la standardizzazione dei metodi di analisi a livello nazionale ed internazionale.[1]

A livello internazionale esistono organizzazioni che svolgono funzioni di raccordo e provvedono a redigere periodicamente linee guida per la corretta applicazione delle indagini forensi.

Da tale collaborazione è nata una raccomandazione che nelle sue linee essenziali recita:

“L’analisi del DNA è una procedura scientifica sofisticata che dovrebbe essere condotta solamente dai laboratori che possiedono le appropriate attrezzature ed esperienza. Gli stati membri dovrebbero assicurare che sia redatta una lista di laboratori o istituti accreditati i quali soddisfino i seguenti criteri:

  • alta conoscenza professionale e destrezza combinata con appropriate procedure di controllo d qualità;
  • integrità scientifica;
  • adeguata protezione delle istallazioni e delle sostanze sotto investigazione;
  • adeguata salvaguardia per assicurare assoluto riserbo nel rispetto dell’identificazione delle persone che sono in relazione con i risultati delle analisi del DNA;
  • garanzia che le condizioni contenute sotto questa raccomandazione siano seguite.

Gli stati membri dovrebbero istituire un sistema di supervisione regolare dei loro laboratori accreditati.

Questa breve carrellata – che certo non può che essere uno spunto per avere solo un’idea di quanto è complesso nella pratica “l’esame del DNA” che i mass media indicano come la chiave di volta per molti atroci crimini – aiuta a comprendere come sia opportuno che il difensore si prepari, indaghi e sondi ogni singolo aspetto (dalla repertazione effettuata durante il sopralluogo ai risultati ottenuti in laboratorio) in tema di tracce biologiche al fine di appurare  (ed eventualmente mettere in luce con l’obbiettivo di tutelare l’assistito ed in via mediata per la ricerca della verità fattuale) l’esistenza di errori inficianti il risultato dell’attività di indagine degli inquirenti.

Come scrivevo in apertura, il caso Knox-Sollecito sembra essere il paradigma del pericolo paventato in queste righe.

La presenza di DNA misto (ovvero della vittima e degli imputati) sul coltello e sulla chiusura del reggiseno ha rappresentato fino al secondo grado del giudizio un punto fermo dell’accusa che ha via via corroborato durante il dibattimento di primo grado tale fondamentale assunto “scientificamente provato” con altri mezzi di prova e indizi.

Durante il procedimento d’Appello, i periti hanno incrinato in maniera robusta la tesi dell’accusa evidenziando la commissione di un errore pratico ovvero strettamente procedurale evidentemente commesso dagli operanti in una delle fasi di “lavorazione” dei reperti.

Ecco dunque che l’analisi di condotte di indagine che potrebbero sembrare ad un occhio poco attento solo delle formalità – come, ad esempio, nel caso di cui trattiamo, la conservazione separata del coltello e del gancetto, la loro corretta catalogazione, la loro conservazione in contenitori di carta e non di plastica, la conservazione dei campioni a 4°C o a -20°C, l’utilizzazione di procedure note e condivise a livello internazionale durante la fase di analisi dei campioni – risultano di importanza determinante nell’economia processuale.


[1] Vedi:DNA e crimine: dalla traccia biologica all’identificazione genetica – Laurus Robuffo – Ugo Ricci.

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