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Prima ancora che principio giuridico, è concetto logico che il diritto di difesa (sancito dalla Costituzione e del quale è titolare ogni cittadino – anche straniero ed irregolare sul suolo italiano – qualsiasi sia il reato per il quale è accusato) può essere legittimamente e (soprattutto) efficacemente esercitato solo conoscendo l’accusa che viene contestata/ipotizzata dal Pubblico Ministero per mezzo del capo di imputazione.

La difesa (intendendola quale effettiva tutela dei diritti dell’incolpato in qualsiasi fase del procedimento penale), infatti, non può che essere studiata, ipotizzata, diretta e calibrata alla luce del capo di incolpazione elaborato dalla Pubblica Accusa.

Si precisa che per conoscenza del “capo di accusa” in termini giuridici si intende (almeno ai fini di questo breve articolo di carattere meramente divulgatico/informativo) quale contezza del capo di imputazione così come formalizzato dal Pubblico Ministero (ovvero dal Giudice a cui spetta l’esercizio dell’azione penale).

Il capo di imputazione è l’indicazione delle norme di Legge che si assumono violate nonchè l’indicazione delle condotte concrete (azioni o omissioni) che l’agente avrebbe tenuto (in violazione delle predette norme) con l’ulteriore fissazione delle coordinate spazio/temporali della/delle azione/azioni illegali dell’agente. Nel capo di imputazione devono essere, altresì, menzionate le eventuali circostanze aggravanti.

Prima ancora dell’eventuale conoscenza degli atti di indagine espletati dalla Polizia Giudiziaria (coordinata e diretta dal Pubblico Ministero) durante le indagini preliminari, il capo di imputazione permette al soggetto indagato (ovvero sottoposto alle indagini) di conoscere gli debbiti mossigli e, quindi, seppure alla luce di un’indicazione solo generica (il capo di imputazione può consistere in poche righe e altrettanti ristretti riferimenti giuridici), di organizzare ed attuare un “embrione” di difesa che poi verrà eventualmente approfondita e corretta durante il procedimento penale (quindi sia durante le indagini preliminari che nella fase processuale di accertamento del merito).

L’ignoranza del capo di imputazione non permetterà la proficua organizzazione di una mirata attività difensiva sebbene il soggetto indagato abbia la certezza (magari per averlo saputo direttamente dal denunciante) di essere oggetto di indagini prelimari da parte della Autorità Giudiziaria.

Solitamente (tralasciando le richieste secondo l’art. 335 c.p.p., l’informazione di garanzia e l’espeltamento di atti di indagine irripetibili a cui l’indagato ha diritto di assistere anche in fase di indagini preliminari. Argomenti tutti trattati nel sito),  la conoscenza del capo di imputazione da parte dell’interessato avviene tramite la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. già oggetto di ampia analisi in questo sito (v. nella categoria “DA SAPERE”: l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p.).

In questa sede, occorre rilevare che la perfetta indicazione (e, quindi, la potenziale esatta conoscenza) del capo di imputazione da parte dell’incolpato (quale presupposto logico/giuridico del diritto di difesa), è più volte richiamata dal Legislatore nel codice di procedura penale quale condizione di validità dell’atto (e dell’iter) giudiziario.

Invero, nella disciplina del Decreto di citazione diretta a Giudizio (vedasi l’art. 552 c.p.p.) il Legislatore ha prescritto (oltre ad altre formalità) che sia indicato a pena di nullità del Decreto medesimo (ovvero dell’atto con il quale l’indagato – dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari – è avvisato della celebrazione del processo a suo carico avanti al Giudice unico) “l’enunciazione del fatto in forma chiara e precisa delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza con l’indicazione dei relativi articoli di legge”.

Ugualmente, nel caso di richiesta di rinvio a Giudizio confezionata e presentata dall’Accusa (ex art. 417 c.p.p. ovvero nel caso in cui la competenza a decidere non spetti al Giudice unico ma al Tribunale Collegiale e sia prevista la celebrazione dell’Udienza preliminare durante la quale il GUP vaglierà se gli elementi raccolti sono sufficienti per la celebrazione del processo. V. “DA SAPERE” L’udienza preliminare gli scopi e la disciplina), il Legislatore ha stabilito che la richiesta contenga “l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge”.

Il “diritto/principio di esatta conoscibilità” di cui si tratta (baluardo, come detto, del diritto di difesa) è ribadito dal Legislatore anche in tema di necessaria correlazione tra l’imputazione e la sentenza (ex art. 521 c.p.p.) ovvero riconoscendo al Giudice che emette la sentenza solo il residuale potere – non già di modificare il fatto richiamato nel capo di imputazione sotto il profilo storico/naturalistico – bensì di poterlo (ri)definire (solo) giuridicamente in altro modo sempre nel rispetto della sua competenza (ovvero se a seguito della (ri)modificazione – solo in ordine all’indicazione delle fattispecie di Legge violate – rientri comunque nella sua competenza funzionale).

Come spesso accade nel processo penale, dunque, la forma è sostanza: un atto formalmente corretto è anche il presupposto giuridico e logico per il legittimo esercizio di diritti (anche di grado costituzionale come in questo caso) da parte del diretto interessato.

Tuttavia, come altrettanto spesso accade, la Legge nella sua materiale applicazione è più complessa e problematica rispetto alla chiarezza prima facie delle singole norme che la compongono.

La realtà procedural/processuale rappresenta una manifestazione umana e, come tale, spesso (sotto certi aspetti: sempre) non “ridimensionabile” al puro dettato normativo (nemmeno procedurale e massimamente in tema di diritto penale sostanziale) bensì implicante un’attività interpretativa da parte degli operatori del diritto.

In tema di corretta indicazione del capo di imputazione e, nello specifico, in relazione all’esatta indicazione nel capo medesimo delle norme di legge che si ipotizzano violate (come sopra osservato, indicazione “integrata” nel capo di imputazione), la Giurisprudenza più recente (Cassazione Penale, Sezione IV^ Sentenza n. 49828/2012) ha infatti osservato che “…Qualora il fatto ascritto all’imputato sia contestato con chiarezza, l’erronea indicazione della norma violata si risolve in un mero errore materiale, atteso che, ai fini della contestazione dell’accusa, ciò che rileva è, non già l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, bensì la compiuta descrizione del fatto…” (Fattispecie in cui la Corte, in un procedimento per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, ha ritenuto irrilevante, a fronte di un fatto compiutamente contestato, che fosse mancata l’esplicita indicazione della norma relativa all’aggravante speciale dell’articolo 589 del codice penale).

La decisione dimostra come – effettivamente – preso atto di norme di Legge chiare nella loro formulazione (e, direi, anche logicamente immediatamente comprensibili e condivisibili come quelle sopra brevemente richiamate in tema di diritto di difesa e indicazione dell’imputazione) siano legittimi ed opportuni (la condivisbilità, semmai, è discutibile) interventi degli operatori del diritto all’atto della concreta applicazione.

Da segnalare, altresì, che nella medesima pronuncia la Corte di Cassazione – in tema di richiamata correlazione tra imputazione contestata e sentenza – ha chiarito i poteri del Giudice in relazione al potere di (ri)definire giuridicamente il fatto contestato specificando che “…. l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di fatto contenuta nelle disposizioni in questione, va quindi coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi….”.

(I passi citati della Sentenza ed il corsivo sono pubblicati su “Guida al diritto” pag. 86 n. 10 del 2 marzo 2013)

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