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Gli ultimi casi di cronaca avvenuti su tutto il territorio nazionale hanno messo in luce una forma di violenza assolutamente arcaica e perdurante nient’affatto tipica del nostro tempo ma negli ultimi anni in preoccupante e velocissimo incremento: la violenza agita sulle donne da parte di uomini conviventi con le persone offese o, comunque, legati alle vittime da rapporti sentimentali (in atto o interrotti).
La violenza è agita con le modalità e gli esiti più vari ovvero dai maltrattamenti fisici e/o psicologici, agli atti persecutori (stalking), alla violenza sessuale fino – sempre più spesso – all’omicidio.
Proprio la frequenza di condotte criminali aventi l’esito più grave ha fatto si che io mass media coniassero il termine “femminicidio” atto a contraddistinguere come l’omicidio (alcuni tipi di omicidio) sia effettivamente compiuto in danno delle donne con una sistematicità tale da poter essere considerato un c.d. “delitto di genere”.
Il compimento di reati di violenza nei confronti delle donne ha subito negli ultimi anni un considerevole aumento e si è passati a 101 donne uccise nel 2006 da parte del proprio partner a 127 nel 2010 (il 70% erano vittime italiane ed il 76% degli assassini erano della medesima nazionalità) delle quali solo il 4% è stata ucciso da un soggetto sconosciuto.
La “famiglia”, quindi, continua ad essere il contesto nel quale maturano percentualmente il maggior numero di reati contro la persona e le donne in particolare.
La recrudescenza del fenomeno non è limitato al nostro Paese ed anche altri Stati Europei ed esteri in generale hanno registrato un aumento sensibile dei reati compiuti da uomini in danno della partner: stando ai dati del 2011, il 62% degli omicidi in famiglia hanno come vittime donne come sottolineato dalla Commissione ONU sulla prevenzione del crimine e sulla giustizia penale nel rapporto sul trends del crimine nel mondo presentato il 30 gennaio 2013.
La violenza agita dagli uomini nei confronti delle donne (e ci riferiamo a quella qui trattata ovvero intrafamiliare o, comunque, perpetrata da un soggetto legato da un pregresso o attuale rapporto sentimentale con la vittima) è un fenomeno, ovviamente, particolarmente articolato (che, peraltro, non si riduce ad un accadimento unitario ma si sviluppa spesso in un lasso di tempo anche considerevole con la reiterazione di più ipotesi criminose) lei cui cause sono varie e complesse.
E’ possibile, tuttavia, individuare un presupposto pressoché inconscio caratterizzante il più delle volte l’”offender tipo” quale soggetto maschile contrapposto a quello femminile.

Si tratta di un fattore che affonda le proprie radici nella parte più profonda dell’essere umano e che è il presupposto, il substrato psicologico ancestrale da cui prende le mosse il fenomeno della violenza “di genere” in danno delle donne.
Tale dato è la tendenza del maschio a ritenere come di propria ed assoluta disponibilità la donna esigenza e necessità derivante dall’ancestrale preoccupazione per l’uomo di impiegare ed investire risorse ed energie finalizzate alla cura di una prole non propria. Ci si riferisce ovviamente ad un meccanismo – come detto – inconscio sviluppato agli albori della storia dell’essere umano eppure ancora radicato la cui conseguenza è quella tragica di spingere il maschio a vittimizzare la donna nelle forme più bieche e drammatiche considerandola “cosa propria”.
E’ evidente che tale spiegazione (proposta e condivisa tra gli altri Autori anche dall’esimio Prof. Avv. Guoltta; V. Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale a cura di Guglielmo Gulotta. Giuffrè Editore 1987) non rappresenta una giustificazione deterministica ma solamente l’ individuazione più recondita di condotte che anche in altre e molteplici concause trovano origine (cercare di capire non significa ovviamente giustificare).

Un altro dato che spesso non è considerato nella sua pienezza e che, al contrario, dovrebbe essere attentamente analizzato (non solo e non tanto in chiave difensiva ma anche al fine di individuare possibili soluzioni preventive per la tutela delle persone offese) è l’interazione vittima/offender quale genesi del reato.
La vittimologia ha già messo in luce da tempo la stretta correlazione che esiste tra condotta della vittima e quella di colui che agisce la violenza (intendendo con questo temine non solo quella domestica) e come il comportamento della prima possa influire in maniera determinante con l’azione dell’agente. Non si tratta – ovviamente ed è appena il caso di segnalarlo – anche in questo caso di individuare una giustificazione dei reati commessi dall’uomo in danno della vittima donna; bensì di specificare che i rapporti tra esseri umani (tanto più quelli che nella relazione sentimentale nascono e si sviluppano) non sono riconducibili ad una semplice schema lineare causa/effetto ma debbono essere considerati in maniera circolare in un sistema dove una causa è anche l’effetto di una causa precedente che a sua volta è un effetto e così via fino alla ricostruzione del primo scambio interpersonale tra vittima e reo.

Solo tenendo presente questi due concetti (violenza come modello di interfazione che affonda le radici nell’inconscio e rapporti interpersonali complessi sotto il profilo causa/effetto) è possibile capire e quindi intervenire efficacemente (sia nel campo della repressione che della prevenzione ovvero nell’ottica della tutela della vittima e della difesa del reo) per il contenimento del tristissimo fenomeno della violenza contro le donne (e circa l’importanza e la complessità delle interazioni reciproche tra vittima ed autore si pensi al recente caso della giovane miss che, reduce da un selvaggio pestaggio da parte del fidanzato, ancora nel letto di un ospedale presso il quale le veniva asportata la milza, confidava alla giornalista di voler “ritirare” la denuncia convinta che l’uomo l’amasse e che sarebbe sicuramente cambiato).

Il nostro Paese – anche sull’onda emotiva degli eclatanti casi di cronaca degli ultimi mesi – il 29 maggio 2013 ha ratificato (attualmente la ratifica è stata della sola Camera dei deputati e si attende quella scontata e doverosa anche dell’altro ramo del Parlamento) la Convenzione sulla prevenzione ed il contrasto alla violenza domestica, adottata ad Istanbul dal Consiglio di Europa l’11 maggio 2011.
La Convenzione di Istanbul non è il primo atto di respiro internazionale che l’Italia approva per la maggiore tutela della donna: nel 1979 veniva ratificata la Convenzione della Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione con la donna e del medesimo anno è anche il protocollo opzionale con la possibilità di rivolgersi al comitato ONU per l’eliminazione delle discriminazioni.
La Convenzione di Istanbul è rilevante per la maggiore portata rispetto ai citati provvedimenti internazionali perché finalizzata al contrasto della violenza sulle donne in ogni sua forma anche quale conseguenza di approcci culturali e stereotipi radicati nella cultura diffusa del Paese ratificante.
La Convenzione appena ratificata prevede sia presidi sanzionatori che preventivi e gli Stati hanno la possibilità di estenderla anche oltre la violenza di genere in danno delle donne ed agita anche nei confronti dei bambini e degli uomini laddove il fenomeno trovi la causa nella discriminazione.
L’Italia nella sottoscrizione (non la ratifica di cui sopra si è parlato) della Convenzione avvenuta il 27 settembre 2012 ha specificato di non ritenere condivisibile la nozione di “genere” indicata nella Convenzione ritenendola troppo ampia di tal che l’applicazione della Convenzione risulta di una portata meno estesa rispetto a quella del modello frutto dei lavori di Istanbul.
La Convenzione di Istanbul delinea un concetto generale di violenza domestica intesa quale ostacolo alla realizzazione dei pieni diritti dell’essere umano e quale impedimento al raggiungimento dell’uguaglianza tra uomo e donna. La violenza domestica correlata ai diritti fondamentali dell’uomo è un aspetto innovativo ed importante della Convenzione perché si afferma il fondamentale concetto che ogni forma di discriminazione e sopraffazione – seppur agita all’interno di rapporti familiari – impedisce la piena attuazione di ogni altro diritto umano necessario a realizzare una società democratica.
L’art. 3 della Convenzione di Istanbul assimila espressamente la violenza fisica a quella psicologica nella quale sono ricomprese anche la privazione alla partecipazione alla vita sociale da parte della vittima nonché le privazioni e l’assoggettamento economico.
Lo sforzo della Convenzione di Istanbul è stato anche quello di pensare ed attuare effettivi presidi per la massima protezione della vittima e per l’efficacia (anche deterrente) della punizione a carico dei rei.
Si è sottratta la procedibilità a querela di parte dei reati manifestazione della violenza domestica di tal che il ritiro della denuncia non potrà più essere oggetto di negoziazioni tra vittima e reo (ovvero frutto di ulteriori violenze o anche ricatti da parte della vittima solo presunta) ed è stato pensata una rete di assistenza alle vittime realizzata sia nella fase preliminare del commesso reato (linee telefoniche anonime per la prima assistenza, case rifugio etc.) che successiva dell’accertamento del merito (facilitazioni per l’accesso alla giustizia civile e penale anche tramite il c.d. gratuito patrocinio, tutela dei piccoli testimoni, effettività del risarcimento etc.).
Tale assetto prevede anche una tutela a livello internazionale ove la persona offesa è tutelata anche dall’eventuale cooperazione tra gli Stati qualora (come accade sempre più spesso) i reati acquistino carattere transnazionale (come capita nel caso dio coniugi di diversa nazionalità).

Certamente, l’alto tasso di conflittualità che contraddistingue la coppia “moderna” rende viepiù fertile il terreno per condotte abusanti e violente: si pensi che nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano in media 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 182 divorzi (fonti: Istat – Separazioni e divorzi in Italia – Anno 2011).
E vale la pena sottolineare in questa sede anche un dato rilevante che si deve considerare come strettamente connesso al già citato aumento dei casi di violenza domestica ed alla rinnovata (opportuna) sensibilità sociale del dramma delle vittime di genere.

Purtroppo, l’altra faccia del fenomeno, più sommersa ma non meno drammatica e legata anche alla maggiore conflittualità intrafamiliare (ed ai connessi procedimenti civili in materia di mantenimento ed affidamento dei figli) è la prospettazione da parte di uno dei partner di notizie di reato calunniose artatamente confezionate e strumentalmente utilizzate per il raggiungimento degli obbiettivi reclamati avanti al Giudice civile.
La difesa dell’incolpato (il più delle volte l’uomo) è in questi casi assai delicata poiché la gravità delle accuse è molto spesso il presupposto di un atteggiamento verificazionista degli investigatori (e naturalmente stiamo parlando di procedimenti indiziari ovvero in difetto di evidenze incontrovertibili) e per la stessa natura dei reati prospettati (i maltrattamenti domestici, la violenza sessuale agita tra le mura di casa l’abuso dei figli minori etc.) la presenza di testimoni terzi è l’eccezione e non la regola.
Le accuse, quindi, devono essere smontate una ad una con lo studio e l’analisi:

– dei rapporti tra presunto agente e vittima,

– la situazione ambientale ed i rapporti pregressi tra autore e vittima,

– la presenza o l’assenza di riscontri oggettivi,

– la verifica delle coordinate spazio temporali e fenomeniche dei reati denunciati (dove, quando e in che modo),

– la compatibilità delle conseguenze lamentate.

La violenza domestica nelle forme dei maltrattamenti e della violenza sessuale tra coniugi è oggetto delle recenti Sentenze qui riportate che ancora una volta confermano come i Giudici applichino in maniera ampia (e, per certi aspetti, doverosa) il concetto di violenza (interpretazione che rende viepiù delicata la difesa dell’accusato) agita sui soggetti della famiglia quali i minori e le donne:

Integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli, la condotta di colui che compia atti di violenza fisica e/o morale contro il coniuge in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e della loro riferibilità a uno qualsiasi dei soggetti passivi, potendo i singoli episodi di atti lesivi di diritti fondamentali della persona essere inquadrati in una cornice unitaria caratterizzata dall’imposizione ai soggetti passivi di un regime di vita oggettivamente vessatorio (Corte di appello di Roma, I sezione penale, sentenza 6 – 13 febbraio 2013 n. 537)

In tema di violenza sessuale, l’esistenza di un rapporto di coniugo accompagnato da effettiva convivenza non esclude, di per sé, la configurabilità del reato, dovendo ritenersi, alla luce di quanto stabilito dall’art. 143 del Cc in materia di diritti e doveri dei coniugi, che non sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell’istinto sessuale anche conto la volontà dell’altro coniuge, tanto più in un contesto di sopraffazioni, infedeltà, e violenze, ponendosi queste in contrapposizione rispetto ai sentimenti di rispetto, affiatamento e vicendevole aiuto e solidarietà fra le cui espressioni deve ricomprendersi anche il rapporto sessuale (Corte di Appello di Napoli, IV sezione penale, sentenza del 23 gennaio – 7 febbraio 2013 n. 389).

(articolo ispirato al n. 24 de “Guida al diritto” dell’8 giugno 2013 dal quale sono state estrapolate anche le Sentenze massimizzate)

Questo articolo ha 7 commenti

  1. Blog davvero interessante, peccato non sia ancora disponibile la versione mobile. Almeno io non l’ho trovata, infatti per leggere questo articolo sul mio telefono ci messo mezz’ora. Perlomento era interessante e ben scritto.

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