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Il caso Strauss Khan: l’importanza delle indagini preliminari ed il ruolo della difesa fin dalle indagini preliminari in contraddittorio con l’accusa.

Gli ultimi importanti – direi fondamentali – sviluppi del caso di cronaca giudiziaria internazionale di DSK, mi offre lo spunto per alcune considerazioni già brevemente accennate nella trattazione in questo sito di alcuni aspetti inerenti alle investigazioni preliminari (anche difensive) ed il ruolo (anche mediatico) del difensore durante la fase delle indagini.

Strauss Kahn: un colpevole (quasi perfetto).

Devo confessare che anche il sottoscritto all’inizio della torbida vicenda dell’ormai ex presidente del Fondo monetario Internazionale non ha nutrito sostanziali dubbi circa la responsabilità del potente politico nello stupro della cameriera di colore.

Così come era tratteggiato dalla stampa internazionale, il caso pareva piuttosto scontato.

Sicuramente i mass media in generale hanno spinto in questo senso incoraggiati anche dalla fama non proprio cristallina del diretto interessato (ben più che un impenitente Don Giovanni che anche in Patria si sarebbe reso responsabile, oltre che numerose e note storie galanti, anche di un vero e proprio “assalto sessuale” riferito durante una passata trasmissione televisiva da una giovane giornalista).

Inoltre, in un Paese (gli Stati Uniti) dove forte è la cultura giustizialista (soprattutto a tutela delle minoranze) ed è ritenuto di fondamentale importanza l’approccio “politicamente corretto” nell’ambito – soprattutto – delle relazioni interpersonali tra i sessi, si è assistito ad un processo del tutto sommario (ma la chiamerei gogna) con tanto di foto segnaletiche pubblicate e mandate in onda alternate alle immagini del potente, ricco, libertino ed antipatico europeo con le manette ai polsi.

Come se non bastasse, nell’immediatezza dell’arresto di Strauss Kahn i preparatissimi e famosi (oltre che costosissimi) Colleghi d’oltre oceano hanno – a mio parere – commesso un errore che ha vieppiù rinvigorito l’accusa facendola apparire ancora più fondata.

Essi, infatti, hanno dichiarato nella prima conferenza stampa (organizzata in tutta fretta per cercare di contenere l’ondata di sdegno mondiale) che l’indagato aveva un alibi per l’ora dello stupro salvo poi essere smentiti (evidentemente perchè non ancora del tutto perfettamente informati circa le “carte” in mano al battagliero Procuratore Distrettuale di New York) che l’ora della violenza non era in alcun modo sovrapponibile a quella dell’alibi (un pranzo consumato dall’indagato con la figlia).

Credo che anche la correzione dell’errore da parte del collegio difensivo (ovvero la dichiarazione dei legali che se rapporto sessuale vi era stato, si era trattato di sesso praticato tra consenzienti) non abbia giovato alla credibilità della linea difensiva così repentinamente mutata.

Successivamente, i Colleghi di New York penso abbiano indovinato tutte le mosse; devo dire anche – per certi aspetti – facilitati dall’onesta intellettuale (in ogni caso doverosa) dell’Accusa.

Ed invero, ora tutti sanno – grazie alle intercettazioni telefoniche disposte dall’Accusa rese immediatamente pubbliche ed alla base della revoca degli arresti domiciliari applicati all’indagato – che la “povera” cameriera di colore, buona musulmana, con un figlio, ed onesta lavoratrice violentata dal potente (parrebbe…) essere un’astuta prostituta già calunniatrice che si sarebbe vendicata dell’ex Presidente a fronte del mancato corrispettivo per la prestazione sessuale consumata (come avrebbe fatto altre volte…) nella stanza dell’albergo presso cui lavorava (albergo che ….parrebbe…sapesse e in un certo senso “garantisse” gli extra della bella cameriera).

Innanzitutto, dunque, si è rilevata di fondamentale importanza la prosecuzione delle indagini preliminari anche volte a saggiare la credibilità della persona offesa.

Così come sono certo – benché il particolare non sia stato ad oggi reso ancora pubblico – si siano dimostrate risolutive le indagini difensive svolte da un vero e proprio staff di investigatori privati (quasi tutti ex appartenenti alle forze dell’ordine e ad Agenzie federali) ingaggiati dall’indagato – e fornito dai sui difensori – grazie alle sue illimitate disponibilità economiche.

Entrambi gli “schieramenti” (gli inquirenti ed i consulenti della difesa) si sono trovati nell’impellente ed ineliminabile necessità di vagliare la credibilità della persona offesa unica e sola vera testimone dell’accaduto come spesso accade in reati soprattutto di natura sessuale.

Evidentemente, la comune necessità era per i soggetti coinvolti di opposta natura: gli uni per confermarne l’afidabilità, gli altri per evidenziarne l’inattendibilità.

L’esigenza di investigare la “tenuta” di un teste è effettivamente tipica di tutti quegli ordinamenti (e massimamente di quello di stampo anglosassone) di natura spiccatamente accusatoria ovvero caratterizzato da due parti (accusa e difesa) dotate di pari dignità procedurale (e non solo processuale poiché tale parità è propria anche della fase delle indagini preliminari) destinate a confrontarsi avanti ad un Giudice terzo (equidistante) nell’”arena” del contraddittorio ovvero del migliore sistema (o il meno peggiore che dir si voglia) per il raggiungimento della verità processuale meno distante da quella fattuale.

E’ proprio il contraddittorio costituito dall’apporto delle opposte tesi dei protagonisti del procedimento penale (ciascuno con le sue indagini, i suoi esperti, i suoi documenti ed i suoi testi) che danno al giudice la massima, più vasta, accurata ed esaustiva “materia” da capire e vagliare per addivenire alla decisione finale.

Anche il nostro ordinamento – seppur con alcune importanti limitazioni legislative – è di natura accusatoria (ovvero diverso da quello inquisitorio ove il Giudice che decide ha anche poteri prettamente investigativi e le parti non sono dotate, almeno sulla carta, dei medesimi mezzi e facoltà) e credo che sempre di più l’efficacia di una linea difensiva debba poggiare sul reperimento di elementi (prove ed indizi) volti a:

  • Contrastare la tesi accusatoria adducendo non solo considerazioni ma “fatti”;
  • Fornire una tesi alternativa al Giudice (quando possibile).

Naturalmente, vigendo il principio di non colpevolezza (costituzionalmente garantito), è compito del PM provare la fondatezza dell’accusa e la difesa – dal punto di vista strettamente legale – può anche limitarsi a far rilevare le lacune delle argomentazioni a carico.

Tuttavia, lo si ripete, dal 1988 ovvero dall’entrata in vigore del “nuovo” Codice di procedura penale ispirato al sistema accusatorio ovvero di parti avanti al Giudice terzo ed equidistante (ma che da noi è stato adattato alla passata lunga esperienza inquisitoria con alcuni ritocchi e limitazioni che hanno prodotto un sistema accusatorio “misto” con chiare….vestigia di inquisitorità), quasi sempre un’ attenta attività di indagine investigativa difensiva può essere la chiave di volta per affrontare con buone prospettive un dibattimento.

Indagini difensive che possono essere della più disparata natura e portata: dal “semplice” colloquio con il cliente (approfondito mediante il sistema della cd intervista cognitiva. V. nel sito in “cose da sapere”), alla visione di mappe satellitari dei luoghi teatro dei fatti, all’escussione e reperimento di testimoni, alla visione di documentazione fornita dall’assistito, alla documentazione fotografica etc., etc..

Naturalmente tale attività difficilmente potrà competere con i mezzi illimitati degli investigatori dell’Accusa e spesso sarà limitata anche dalle finanze del cliente (a meno che si chiami Strauss Kahn…); ma, in ogni caso, il difensore non deve mai trascurare di approfondire spunti utili alla difesa intesa come sopra.

Mi piace poi – a conclusione di questa piccola digressione – osservare che anche nel caso di reati astrattamente gravissimi occorre avere la massima cautela ed il più robusto equilibrio.

Ho avuto già modo di osservare in un’altra categoria di questo sito dedicata alla difesa di supposti sex offender, che l’attività del legale deve essere tesa, per quanto sia odioso il reato contestato, alla migliore tutela del cliente tesa alla dimostrazione della sua innocenza, poiché quotidianamente – scrivevo – capita che imputati vengano poi assolti.

Orbene, ancora una volta, qualunque sarà l’epilogo della vicenda newyorkese dell’ex presidente, la realtà giudiziaria insegna che ciò che appare spesso non è e ciò che è stato non appare immediatamente ma solo a seguito di un’attività di ricerca e, direi, di esegesi messa in atto anche dal difensore.

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