L'utilizzo nel processo penale della Prova video. Sia in fase di indagini preliminari che nel corso del dibattimento.
Pubblichiamo in questa pagina un articolato intervento sotto forma di memoria difensiva redatta dall’avvocato Giuseppe de Lalla in seno ad un procedimento penale e, per la precisione, nel corso delle indagini preliminari in occasione dell’appello del Pubblico Ministero ex art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza del GIP che accoglieva solo parzialmente la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere avanzata dal PM applicando la meno grave misura degli arresti domiciliari. Questa la vicenda (evidentemente riassunta con una modalità atta a mantenere l’anonimato di tutti i protagonisti della stessa): un anziano allenatore di pallavolo veniva accusato da un minore di averlo molestato in occasione di una trasferta. A seguito della denuncia, il Pubblico Ministero assiganatario dirigeva le indagini volte a raccogliere elementi a carico dell’indagato (come detto: anziano, del tutto incensurato e già padre di famiglia). All’esito di alcuni incombenti, il PM chiedeva al GIP l’applicazione della custodia cautelare in carcere individuando il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio e, successivamente all’interrogatorio di garanzia, il Giudice per le indagini preliminari applicava quella meno grave degli arresti domiciliari. A seguito della predetta ordinanza, il PM ricorreva in appello ex art. 310 c.p.p. al Tribunale del riesame in funzione di Giudice dell’appello. La memoria difensiva sotto illustrata è l’atto depositato dal difensore in occasione della discussione del predetto appello presentato dal PM finalizzato all’applicazione della più grave delle misure cautelari in riforma (peggiorativa) dell’ordinanza del GIP.
La vicenda è interessante perché ci permette di illustrare alcuni punti importanti per la difesa soprattutto (ma non solo) nei processi ove si discute di reati sessuali.
Ed invero:
– Quando è applicata una misura cautelare è opportuno valutare la possibilità di poter visionare gli atti di indagine anche prima del termine delle indagini preliminari(ovvero del momento in cui vi è la discovery del fascicolo del PM). Questa opportunità è assai preziosa per la difesa che potrà avere contezza degli elementi a carico PRIMA del termine delle indagini (con connessa e conseguente possibilità, quindi, di poter cominciare a studiare una linea difensiva basata sugli atti). E’ necessario, quindi, depositare richiesta di riesame ex art. 309 c.p.p. entro dieci giorni dall’applicazione della misura in maniera tale che – per legge – siano depositati presso la cancelleria del Tribunale del Riesame gli atti di indagine sui quali si basa la misura applicata. Colà, il difensore potrà estrarre copia di tutta la documentazione. Dopo una attenta analisi della stessa, il Difensore – se ritiene che non ci siano allo stato sufficienti margini di successo – potrà depositare la rinuncia al riesame con il vantaggio, in ogni caso, di avere avuto conoscenza degli atti delle indagini.
– E’ sempre meglio non affidare solo alla discussione orale la rappresentazioni delle ragioni dell’assistito e/o le fragilità del coacervo accusatorio o le lacune dello stesso. Nel procedimento inferenziale e decisionale del Giudice la rappresentazione grafica aiuta la migliore comprensione (e quindi l’accoglimento) delle argomentazioni difensive. Lo scritto è sempre consultabile dal Giudice e questo può chiarire dei passaggi importanti quando egli si ritira in camera di consiglio per la decisione.
– La redazione della memoria dovrebbe ripercorrere l’iter argomentativo seguito dal PM sconfessando punto per punto la ricostruzione dell’accusa in maniera che il Giudice che legge abbia la versione della difesa esattamente sovrapponibile (ma contraria) a quella dell’accusa.
– La redazione della memoria nella fase cautelare (che sia depositata come nel caso in esame nel procedimento cautelare o meno) è massimamente efficace proprio alla luce della conoscenza da parte della difesa del contenuto degli atti di indagine. Contenuto che, come sopra illustrato, potrà essere accessibile al difensore a seguito della presentazione della richiesta di riesame della misura cautelare applicata (richiesta che, come detto, potrà essere oggetto di rinuncia prima della fissazione dell’udienza avanti al Tribunale del riesame e che potrà essere presentata anche solo per la finalità strumentale di anticipare la discovery degli atti del PM). – Il deposito della memoria permette al difensore – e consiglia – di interloquire in udienza con un intervento più “snello” che sia meglio percepibile di un elenco di date, nomi, luoghi ore ed altre circostanze importanti ma la cui menzione verbale in aula distrarrebbe il Giudicante e renderebbe l’esposizione meno discorsiva e quindi anche meno efficace. Meglio affidare tali dati “aridi” all’atto scritto unitamente ad altre argomentazioni che, al limite, verranno solo accennate nella discussione orale che potrà essere dedicata anche ad altri temi rispetto a quelli formalizzati per iscritto.
L’atto qui sotto riportato si rendeva necessario per contrastare le pretese cautelari del PM per il quale non erano sufficienti gli arresti domiciliari per la tutela delle richiamate esigenze cautelari. La memoria ripercorre per sconfessarle le argomentazioni addotte dal PM criticando la posizione della Pubblica Accusa sotto ogni aspetto ricostruttivo e valutativo. Inoltre, con il predetto atto venivano allegati anche i documenti di indagine (che la difesa poteva ottenere presentando una richiesta di riesame della misura poi oggetto di rinuncia. Vedi sopra) corroboranti la ricostruzione difensiva (da notare che l’allegazione era finalizzata alla migliore consultazione da parte del Tribunale del riesame in funzione di Giudice dell’Appello che, sebbene in possesso di tutti gli atti, avrebbe dovuto cercarli all’interno del voluminoso faldone). Nel caso qui tratteggiato, il Tribunale del riesame non accoglieva l’appello del PM e non aggravava la misura cautelare in essere.
ILL.MO TRIBBUNALE DELLA LIBERTA’
DI XXX
Nota di udienza
Il sottoscritto Avv. Giuseppe Maria de Lalla del Foro di Milano difensore del Signor
CM
nato a XXXX il XXXX ed attualmente sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la propria abitazione in xxxx
PREMESSO
– Che il Pubblico Ministero in data 30 maggio 2016 avanzava al GIP richiesta di applicazione della misura cautelare custodiale a carico dell’indagato;
– Che la predetta richiesta – secondo le argomentazioni del PM – trovava ragione nella necessità di salvaguardare le esigenze cautelari di cui alle lettere A) e C) dell’art. 274 c.p.p. ovvero, nello specifico, preso atto della frequentazione del CM con ragazzi minorenni in prevalenza legati alla palla a volo (P., M., F. pagg. 33 – 36 della richiesta di applicazione della misura) nonché dei contatti telefonici (intercettati) dell’indagato con la Signora L. (telefonata del 18.3.2016) ed alla luce (sempre secondo la teoria del PM) delle dichiarazioni dei minori Z. e P. che in sede di S.I.T. riferivano di aver appreso dal CM alcuni aspetti della vicenda legati alla (supposta dall’indagato) strumentalità della denuncia della S. (pag. 37 della richiesta del PM);
EVIDENZIATO
– Che in data 3.8.2016 il GIP presso il Tribunale di xxxx in parziale accoglimento della richiesta del PM emetteva ordinanza di applicazione all’indagato della misura cautelare degli arresti domiciliari ritenendo …..la misura carceraria richiesta dal P.M. (….) eccessiva, nel caso concreto, sia alla luce dell’incensuratezza del prevenuto, sia in considerazione delle modalità di conoscenza e approccio con i minori da lui (dal CM n.d.r.) utilizzate (….) e che pertanto anche la misura domiciliare – con le prescrizioni indicate in dispositivo efficace anche riguardo al delineato rischio di inquinamento probatorio – risulta idonea a neutralizzare (….);
PRESO ATTO
– Che in data 9.8.2016 il PM presentava a Codesto Tribunale atto di appello ex art. 310 c.p.p. avverso la richiamata ordinanza del GIP invocando al Collegio l’applicazione all’indagato della più grave (e già rigettata) misura della custodia cautelare;
– Che il PM basava la propria doglianza nell’ordine:
Sull’asserzione che il CM frequenti abitualmente adolescenti (sebbene, come si evince dagli atti, egli per ragioni sportive abbia un rapporto costante negli anni con il solo P. e i di lui genitori e sebbene il minore – e i di lui genitori – sentiti a S.I.T. abbiano escluso qualsiasi interazione anche solo sospetta dell’indagato con N.);
Su suggestive quanto giuridicamente infondate – ed illegittime stante il divieto di cui all’art. 220 comma II^ c.p.p. – analisi di tipo psicologico (CM per il PM sarebbe affetto da ….tratti istrionici di personalità, narcisista..oltre che incapace di gestire i propri impulsi criminali oltre che affetto da una sorta di delirio di impunità) nonché alla luce di asserite scorrette modalità di esecuzione dei provini dei giovani aspiranti sportivi (provini ai quali in TUTTE le occasioni partecipavano i genitori dei candidati e che si svolgevano in luoghi pubblici e stante il difetto da parte del PM di ogni indicazione oggettiva e non suggestiva delle modalità criminali che avrebbe adottato l’indagato ed in quali occasioni);
Sulla considerazione – contraddetta dai fatti ovvero in primis l’incensuratezza del prevenuto, la totale assenza di accuse simili a quelle mosse allo stesso dal T. e dalla S. de relato, la conferma della correttezza della condotta dell’indagato così come si evince dalle S.I.T. già in atti (evidentemente se si escludono quelle del giovane T. e della di lui madre che apprendeva, come detto, i fatti di cui ai capi di accusa dal figlio) nonché da ultimo sul rispetto dell’indagato di ogni prescrizione impostagli dal GIP – che il CM ….è totalmente privo di qualsiasi forma di disciplina e di autocontrollo..
Su una visione del PM del tutto verificazionista ed a tunnel per la quale ogni condotta dell’indagato sarebbe conferma delle accuse che gli vengono mosse sebbene, in realtà, logicamente in contrasto con esse ;
Sull’asserita volontà del CM di subornare le persone informate dei fatti L. (e sul punto verrà in proseguo analizzata la natura DELL’UNICO CONTATTO TELEFONICO tra la L. ed il CM al quale il PM fa riferimento ovvero quello del 18.3.2016) ed i minori P. e Z. che, in verità, contrariamente a quanto ipotizzato dal PM, si limitavano – secondo il dettato normativo per il quale è d’obbligo riferire il vero – a esporre in sede di S.I.T. che avevano appreso alcuni aspetti della vicenda S./CM dallo stesso indagato (evidentemente, quindi, non nascondendo nulla ed indicando la fonte delle loro informazioni di fatti che – confermavano – non avevano appreso direttamente);
Su una ripetuta disamina del PM (già valutata dal GIP) della supposta intensità del dolo dell’indagato che nulla ha a che vedere – tanto meno in concreto – con le asserite esigenze cautelari (analisi che fa tutt’uno con la non meglio indicata, specificata e documentata scientificamente …personalità sconcertanate….e criminale che il PM riconosce all’indagato);
Su una immagine di un bambino nudo che gesticola ritrovata nella messaggistica di una chat di gruppo sul telefono dell’indagato giunta sul dispositivo successivamente al sequestro (unica immagine “di interesse” reperita dal Consulente del PM sul telefono nemmeno inviata dal CM né salvata ma dallo stesso ricevuta da un soggetto allo stato ignoto – e davvero la circostanza appare una lacuna investigativa – e, come detto, unica supposta evidenza reperita dopo il sequestro e l’analisi di TUTTO il materiale informatico in possesso del CM);
Sulla inaccettabile, non provata, suggestiva e inopinatamente citata presunta poca chiarezza del ruolo rivestito dai familiari del CM (tra cui due adolescenti) tesi destituita nella maniera più assoluta (anche solo la poca chiarezza supposta dal PM) di qualsivoglia fondamento e ventilata a livello di pettegolezzo (evidentemente recepito dalla pubblica accusa) da parte della S. (intercettata) alle amiche e confidenti (e va da sé che non può rivestire alcun sospetto che il più grande dei figli del CM rassicuri la madre che sulla chiavetta sequestrata “non vi sia nulla” posto che il ragazzo – come tutti i ragazzi adolescenti fruitori del web ed anche astrattamente di immagini a carattere sessuale del tutto lecite – al corrente delle accuse mosse al padre voglia rassicurare la madre che sul supporto informatico non vi è nulla di scabroso anche se legale).Tutto ciò premesso ed evidenziato, il sottoscritto
OSSERVA
Occorre preliminarmente osservare – ancora prima di analizzare nel dettaglio gli elementi che sconfessano la pretesa cautelare del PM – che l’atto di appello del Pubblico Ministero difetta del tutto di elementi nuovi e nuove prospettive di valutazione rispetto a quelle già dallo stesso illustrate nella primitiva richiesta di applicazione della misura solo parzialmente accolta dal GIP..
Il Giudice per le indagini preliminari, invero, nella propria ordinanza (che in questa sede la difesa si astiene per precise ragioni procedurali dal commentare e censurare in ordine alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza) argomentava in ordine ai medesimi aspetti cautelari che il PM (sebbene con maggiore enfasi espositiva) riproponeva nell’atto di appello.
Come si legge nell’impugnazione, peraltro, il Pubblico Ministero ometteva anche di illustrare debitamente isolandoli e censurandoli i passaggi logico-giuridici del GIP non corretti secondo la tesi accusatoria ed alla luce dei quali veniva rigettata la richiesta di custodia cautelare.
Come detto: l’appello consta di una sostanziale ripetizione di quanto già valutato dal GIP in difetto dell’indicazione da parte del PM di quali sarebbero gli asseriti errori logico/valutativi/motivazionali commessi dal Giudice che applicava la misura meno afflittiva rispetto a quella richiesta dall’accusa.
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Già si è accennato, inoltre, alla marcata enfatizzazione di aspetti meta giuridici che il PM utilizza a supporto delle proprie doglianze.
A tale proposito bisogna sottolineare che la Pubblica Accusa dipinge il CM con caratteri specifici di matrice psicologica e criminologica che – oltre a non essere argomentazioni pertinenti in ambito cautelare tanto più preso atto che l’indagato è sostanzialmente incensurato e comunque mai deferito all’Autorità Giudiziaria per reati anche solo lontanamente della stessa natura per il quale si procede – appaino essere espressi da un soggetto non qualificato (un Giudice e non un medico o uno psicologo o un criminologo) ed in ogni caso contro il dettato del II^ comma dell’art. 220 c.p.p. e, quindi, privi di rilevanza nel ragionamento giuridico che qui interessa.
Il PM parla del CM indicandolo affetto da tratti istrionici di personalità, di incapacità a qualsiasi forma di disciplina, di una spiccata indole criminale etc. spingendosi in valutazioni del tutto indebite, contra ius e prive di qualsivoglia riscontro concreto che – invero – non viene nemmeno indicato dal PM.
Sulla medesima linea, peraltro, deve essere qualificata ogni valutazione anche solo di mero sospetto della Pubblica Accusa di un non meglio specificato coinvolgimento dei figli e della moglie del CM nella vicenda che qui ci interessa posto che dagli atti non emerge nemmeno un barlume di indizio in tal senso (ma semmai il contrario: vedi la telefonata tra la moglie ed il CM nella quale la G. rimprovera al marito anche solo di essersi offerto di pagare le spese di trasferta della L. convocata a S.I.T. posto che ella – sostiene giustamente la moglie dell’indagato – è obbligata a recarsi al cospetto della PG e lui “ non c’entra un piffero” (vedi telefonata del 18.3.2016 CM/G. qui allegata al n. 1 per comodità espositiva).
In tutte e 5 le prime pagine del suo atto di appello il PM illustra suggestioni menzionando anche diversi minori – N. P., M. e P. – che a suo dire sarebbero stati “catturati” dal CM con modalità subdole e che egli avrebbe manipolato anche per mezzo di messaggi telefonici.
Ebbene, anche in questo caso difettano totalmente CONCRETI elementi in tal senso e, al contrario, i tre minori escussi a SIT (che qui si allegano) confermavano:
– Sia la correttezza della condotta del CM;
– Sia, nel caso di M. e P., anche l’estrema episodicità di ogni interazione con l’indagato incontrato solo in occasione della palla a volo.
N. P. (ai genitori del quale il CM, d’accordo con la moglie, partecipava le scabrose accuse rivoltigli – Vedi Sit in atti del padre di N. P. e la telefonata tra l’indagato e la moglie del 15.2.2016 nella quale si accordano per recarsi insieme dai P. a dar loro la feral notizia del procedimento penale) riferiva di frequentare CM da circa due anni senza alcun tipo di problema e/o sospetto (vedi SIT allegato n. 2 del 25.3.2016).
Suo padre – A. P. – nelle SIT del 25.3.2016 ribadiva la propria totale stima e fiducia nel CM in concerto con la moglie (Vedi SIT Allegato n. 3) anche dopo aver conosciuto le accuse mosse allo stesso.
M. nelle SIT del 29.3.2016 (allegato 4) riferiva di aver incontrato CM 3 e solo ed esclusivamente per allenarsi nella palla a volo. Non accenna ad alcuna ingerenza telefonica da parte dell’indagato (nemmeno via SMS. E, del resto, nella mole delle intercettazioni il PM non può indicare, perché non ci sono, quali sarebbero i messaggi “sospetti” che il CM intrattiene con i tre ragazzi dei quali qui si parla).
Il giovane P. in sede di SIT il 30.3.2015 (Allegato 5) riferiva di aver incontrato CM solo nei campi di pallavolo e di “non aver alcun rapporto” con lo stesso.
Ancora: non vi è traccia alcuna in atti (ed il PM, infatti, nulla può indicare ed indica di concreto) riguardo ad occasioni nelle quali il CM interagiva con modalità meno che trasparenti con giovani sportivi.
Dalla lettura delle SIT si evince pacificamente che CM per la squadra di palla a volo incontrava i ragazzi IN LUOGHI PUBBLICI ED ALLA PRESENZA DEI GENITORI e tutti – debitamente interpellati in sede di SIT – confermavano la correttezza degli incontri con l’indagato (e difatti il PM nell’atto di impugnazione omette qualsiasi riferimento preciso limitandosi ad utilizzare la parola allenamenti al plurale senza alcuna indicazione del dove? Come? E quando? E con chi?).
Ugualmente suggestivo il riferimento alle “feste” nella palestra dell’indagato: a quale “festa” si riferisce il PM? Quale tipo di atto illegale sarebbe stato accertato o sarebbe avvenuto durante tale “festa”? Chi era presente? Qualcuno tra i presenti ha riferito di fatti di interesse accaduti durante tale “festa”?
A fronte di questi dati oggettivi (e delle lacune sopra evidenziate), raccolti dagli stessi investigatori delegati dal PM, la Pubblica Accusa insiste nel sostenere la tesi che l’indagato intrattenesse rapporti insani (almeno) con i tre giovani spinto da un altrettanto insano desiderio (evidentemente, in ogni caso, e a tutto voler concedere, rimasto tale…) di natura sessuale (ed in questa sede si deve ricordare, con buona pace di ogni pruderie, che il procedimento pende per accuse gravissime e non certo per aver episodicamente spiegato in auto ad alcuni adolescenti pratiche sessuali che essi già conoscevano ed avevano visionato poco prima di loro stessa iniziativa).
Nessun segreto, nessuna modalità subdola per “catturare” le sue vittime (atto di appello pag. 6) e nessuna complicità esclusiva in relazioni che trovano la loro ragione nello sport e nella squadra di pallavolo che l’indagato aveva in progetto di costituire.
Il Pubblico Ministero alla ricerca di una serialità che non esiste (come confermato da tutte le persone sentite a SIT) interpreta con modalità inquisitorie ogni interazione del CM con soggetti minorenni che, però, al contrario, debitamente interrogati sul punto contraddicono in ogni aspetto la ricostruzione accusatoria (non solo in tema di sospetti abusi ma anche, più semplicemente, in ordine all’intensità ed alle modalità dei contatti anche solo telefonici avuti con l’indagato).
Sulle esigenze cautelari: il pericolo di reiterazione.
La breve esposizione di cui sopra illustra credo abbastanza chiaramente – ma soccorre la lettura degli atti tutti e, in particolare, delle SIT qui allegate – l’approccio del Pubblico Ministero teso a sostenere già in questa fase assolutamente preliminare la colpevolezza del CM oltre ogni ragionevole dubbio.
Ed in linea con tale posizione il PM riteneva non correttamente tutelate le esigenze cautelari a seguito dell’applicazione all’indagato degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione.
Sul punto occorre innanzitutto osservare il dato empirico che CM non ha ceduto ad alcun impulso criminale e/o mania di grandezza e dal momento dell’applicazione della misura cautelare in atto non ha in alcun modo trasgredito le restrizioni impostigli dal GIP.
Già questo dato di fatto dovrebbe scongiurare qualsivoglia allarmismo (e massimamente quello basato su suggestive valutazioni della capacità a delinquere di un soggetto praticamente incensurato).
Appare davvero bizzarro che un soggetto che mai antecedentemente al procedimento pendente rimaneva coinvolto in fatti di tale gravità, decida di reiterare il reato dopo essere stato sottoposto ad indagine, intercettato, ristretto ai domiciliari, additato dalla stampa, soprattutto quando egli si è astenuto per 70 anni (diciamo, con maggiore precisione, dalla maggiore età a quella attuale) da condotte simili.
Non c’è davvero un solo elemento concreto che deponga per la probabilità di tale bizzarria.
Difettando la concretezza – che il PM non ha argomentato se non lanciandosi in dissertazioni a carattere psicologico e criminologico sulla natura ed ammissibilità delle quali abbiamo già osservato – manca anche l’attualità di un dato (la concretezza, appunto), di fatto, inesistente.
CM è risultato essere del tutto corretto nell’interazione con ogni minore escusso a SIT e tale dato è fondamentale per valutare l’effettiva concretezza di un ipotetico pericolo di reiterazione del reato per il quale si procede.
La domanda alla quale il PM non risponde e che è l’unica che è legittimo porsi in questa sede è: quali sono gli elementi concreti ed attuali (così come esige e rafforza la novella legislativa) indice di una oggettivamente probabile possibilità che il CM attualmente AI DOMICILIARI (perché l’efficacia di questi è messa in dubbio dal PM; ma la difesa sarebbe tentata di ipotizzare in questa sede la totale libertà dell’indagato) possa reiterare il reato?
Preso atto:
– Del presofferto patito dall’indagato in questa fase ancora preliminare (e ci si riferisce anche al trauma delle perquisizioni, delle notizie della stampa, dell’impatto sui familiari ed amici etc);
– Delle indagini in corso;
– Della sua incensuratezza;
– Del rispetto ad oggi di ogni restrizione degli arresti in essere;
– Della conferma – anche alla luce dell’ipotesi accusatoria ad oggi documentata agli atti – di una sola persona offesa;
– Da ultimo, della distanza del domicilio dell’asserita persona offesa da quello del CM.
La risposta è obbiettivamente semplice: non vi sono elementi concreti (e quindi nemmeno attuali) che depongano in tal senso.
Ed il PM – come detto – non ne indica.
Non vi è ragione alcuna per ritenere che il presidio assicurato dalla misura in atto (ammesso e non concesso che vi siano esigenze cautelari di sorta tema sul quale non è possibile e utile in questa sede osservare alcunché preso atto della natura dell’impugnazione che qui si discute) non sia adeguato all’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato.
A nulla vale in argomento di irrefrenabilità degli impulsi criminali del CM l’osservazione del PM (pag. 9) sull’UNICA foto a carattere sessuale rinvenuta sul cellulare del CM (o, meglio, su tutti materiali informatici allo stesso sequestrati).
Nelle premesse si è già detto in merito:
– È giunta sul cellulare del CM quando il telefono era già in sequestro (e tale dato ha indotto il PM a supporre che egli ne avesse cancellate altre…ma nessuna immagine di interesse cancellata è stato rilevata dal Consulente della Pubblica Accusa);
– L’immagine di cui si tratta è l’unica che è stata rinvenuta in TUTTI i dispositivi sequestrati al CM;
– L’immagine è giunta in una chat Whats App nella quale il CM partecipa unitamente a molti altri soggetti (ai quali, evidentemente, è giunta la medesima immagine e che, dunque, seguendo la tesi del PM, sarebbero una congrega di pedofili…);
– CM non ha cercato, non ha slavato e non ha spedito tale immagine a chicchessia ma ne è stato – con altri – il destinatario (e davvero se avessimo a che fare con un callido pedofilo dall’appetito ingestibile a dalla spiccata indole criminale nonché contraddistinto da una grave personalità istrionica e dagli appetiti ingovernabili, appare singolare che egli non abbia conservato nemmeno UNA immagine pedopornografica per placare le sue brame sessuali).
Piuttosto è singolare che la solerzia degli investigatori non abbia permesso ad oggi di individuare il mittente di tale immagine/filmato (il cui carattere pornografico, peraltro, è del tutto discutibile).
Ancora sulle esigenze cautelari: il pericolo di inquinamento probatorio.
Il Pubblico Ministero individua in tre distinti occasioni quelle che a suo dire dovrebbero rappresentare quel pericolo concreto ed attuale in tema di genuinità della prova:
– La conversazione telefonica tra CM e la L. del 18.3.2016;
– Le dichiarazioni di Z. rilasciate a SIT il 7.4.2016;
– Le dichiarazioni di N. P. rilasciate a SIT il 25.5.2016.
Prima ancora di entrare nello specifico, occorre ancora una volta ribadire che la misura in atto mai violata dal CM è del tutto idonea – contrariamente a quanto paventato dal PM – sia in concreto che in astratto ad impedire qualsivoglia contatto del CM con terzi estranei alla famiglia che, infatti, egli non contatta più da quando è sottoposto agli arresti domiciliari ed alle relative prescrizioni.
Il PM omette di specificare quali sarebbero gli elementi male valutati dal GIP e sintomo di quella concretezza ed attualità previsti dall’art. 274 c.p.p. che renderebbero la misura in atto non idonea.
Ciò posto.
Secondo il PM il CM avrebbe indotto la L. – sua conoscente e nulla più – a mentire in sede di SIT al fine di vedere corroborata la sua tesi ovvero che la S.:
– era rimasta assolutamente delusa ed allarmata dai nuovi provini per gli trovare altri giovani pallavolisti sostituti di quelli precedentemente selezionati;
– che la S. aveva chiamato più volte la L.;
– che la S. aveva un passato di depressione
– e che a fronte di tale “collaborazione” egli le avrebbe pagato le spese di viaggio per recarsi a Ravenna dalla PG.
Tale posizione del PM è innanzitutto sconfessata da due dati di fatto oggettivi:
1. la L. – si legga il SIT allegato n. 6 – nulla riferiva alla PG di quanto affrontato nel corso della telefonata con CM;
2. La L. nel corso della telefonata con il CM non smentisce mai l’indagato contestandogli l’infondatezza di quanto afferma.
Ma l’aspetto più significativo è che il CM nel corso di tutta la telefonata riportata solo a stralci dal PM (e la cui trascrizione si allega qui integralmente al n. 7) esorta la L. a dire la verità (!!!), a non negare la verità, a non dire altro che la verità, che lo la sta esortando a dire solo la verità (!!!).
CM non fa che ripetere tale concetto.
Più volte reclama che ella riferisca solo il vero e nulla più.
Non vi è alcun tipo di pressione né alcun tipo di esortazione a riferire notizie difformi dal vero né alcuna opposizione e/o reticenza da parte della L. che l’indagato debba superare convincendola.
La lettura della trascrizione integrale, scevra dal verificazionismo che contraddistingue l’approccio del PM, permette di apprezzare senz’altro la preoccupazione del CM; ma anche il comprensibile interesse dello stesso affinché la L. – riferendo il vero – non ometta di specificare quei particolari che egli ritiene utili per ricostruire la realtà dei fatti.
Non vi è alcuna forzatura indebita nelle raccomandazioni dell’indagato.
Egli ritiene che non sia particolarmente importante che la L. – come lei stessa gli partecipa durante la telefonata de qua – riferisca alla PG che era proprio la S. ad indirizzarla ai provini per la squadra garantendo sulla serietà dell’allenatore; ma il CM certo NON raccomanda alla sua interlocutrice di omettere il particolare ! L’indagato ritiene, semmai, che tale circostanza sia del tutto ininfluente e che siano molto più importanti gli altri particolari che la L. conosce e che lui le raccomanda di riferire.
Il difetto di ogni induzione, è oltremodo provato dalla telefonata del 29.3.2016 (qui allegata) che intercorre tra CM e la L. SUCCESSIVA all’escussione (allegato 8).
Innanzitutto, di fronte al dubbio della donna che l’indagato sia intercettato, il CM afferma che potrebbe essere ma che non gli importa e che non fa nessuna differenza e, va da sè, tale posizione contrasta del tutto con l’intenzione di compiere azioni illegali…per mezzo del telefono.
Secondariamente, a fronte del fatto che la L. si era limitata a rispondere alle domande fattele dalla PG senza aggiungere altro ovvero senza affrontare gli argomenti che CM riteneva la verità dei fatti (la depressione della S., il suo disappunto, l’insistenza della S. a contattare la L. etc); l’indagato non mostra alcun disappunto e non rinfaccia alla donna alcun tipo di preventivo accordo a dire o non dire.
Inoltre, in merito al fatto di essersi offerto di pagare le spese di trasferta per recarsi dalla PG alla L. per pura cortesia e non certo quale controprestazione di un fantomatico accordo a mentire, è emblematico quanto intercettato tra il CM e la moglie nella telefonata dello stesso 18.3.2016 (allegato n. 9).
In quella conversazione la moglie dell’indagato lo riprende aspramente rimproverandogli di prendere tali iniziative e specificando che la L. era obbligata a recarsi dalla PG e non era affar suo (del marito) non c’entrandoci egli “un piffero” (peraltro nell’incipit della telefonata riassunto nella trascrizione, il CM specifica alla moglie di aver raccomandato alla L. di riferire solo il vero).
La sospetta ingerenza del CM nelle dichiarazioni della L. non solo non si è verificata; ma nemmeno è stata dallo stesso proposta o paventata.
Per quanto riguarda i due minori escussi a SIT il Z. ed il P., la tesi del PM è che i due giovani siano stati avvicinati dal CM affinché riferiscano alla PG dei propositi vendicativi della S. che avrebbero spinto la stessa a proporre la falsa denuncia.
Secondo il PM tali affermazioni sarebbero state il frutto del convincimento del CM e nel suo disegno i due minori avrebbero dovuto dare etero-conferma a tale ricostruzione.
Ebbene, la tesi della Pubblica Accusa è destituita di ogni fondamento e si giunge a questa conclusione anche solo leggendo l’atto di impugnazione alle pagine 7 e 8.
Invero:
– ENTRAMBI I MINORI riferivano alla PG che era stato lo stesso CM ad informarli di tale sua ricostruzione dei fatti accaduti (Vedi SIT allegate nn. 10 e 11).
Le dichiarazioni dei minori non fanno propria in alcun modo tale ricostruzione.
I due giovani si limitano a riferire alla PG cosa avrebbe detto loro il CM in merito alla vicenda S./CM (…di questa cosa ce ne ha parlato….CM mi ha detto….CM gli aveva raccontato….).
I due ragazzi non riferiscono come proprie le tesi del CM e, quindi, le loro dichiarazioni non hanno nessuna valenza di conferma di quanto sostenuto dall’indagato.
Certo sarebbe stato diverso se i due giovani (subornati) avessero riferito di aver percepito, ascoltato, dedotto in prima persona quanto ugualmente asserito dall’indagato.
Tale eventualità sarebbe stata una etero conferma che astrattamente avrebbe potuto essere l’oggetto di una qualsivoglia pressione dell’incolpato.
Indicando chiaramente ed apertamente che certe riflessioni e conclusioni erano del CM e che lo stesso le aveva condivise con loro, ogni possibilità di intento manipolatorio svanisce in capo all’indagato.
Egli, semmai, se davvero avesse voluto inquinare le prove veicolando informazioni false alla PG per mezzo dei minori (informazioni false sovrapponibili alle sue), li avrebbe esortati in tutti i modi a riferire di aver appreso e percepito in prima persona quanto verbalizzavano.
Solo così si sarebbe realizzata quella pluralità di fonti utile ed assolutamente necessaria ad avvallare la ricostruzione (mendace) dell’accusato (accusato che, peraltro, viene dipinto dai ragazzi come un uomo del tutto corretto. Informazioni all’apparenza non valutate dal PM che si limitava a dedurre dalle predette SIT conclusioni in linea con la pretesa accusatoria).
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Per tutto quanto sopra esposto e per quanto verrà illustrato in udienza, il sottoscritto difensore
CHIEDE
Che l’appello del Pubblico Ministero sia rigettato.
Milano, il xxxxxxx
Avv. GM de Lalla
(articolo e modello redatto dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ogni diritto riservato. Vietata la riproduzione).
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