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Un problema frequente che Giudici e Avvocati si sono trovati a dovere affrontare nelle aule di Giustizia – in riferimento all’istituto della messa alla provaè la possibilità di applicazione dell’istituto in parola ai procedimenti penali che dopo l’entrata in vigore della Legge n. 67/20014 (ovvero il 17 maggio 2014) sono in una fase processuale successiva rispetto a quella entro la quale può essere richiesta dall’imputato la sospensione del procedimento per la richiesta della messa alla prova.

messa alla prova legge 67 del 2014
messa alla prova legge 67 del 2014


Gli operatori del diritto, infatti, a tal proposito, non hanno rivenuto alcuna normativa transitoria di riferimento che escludesse o prevedesse la possibilità per l’imputato o il suo difensore di chiedere la sospensione del procedimento epr la messa alla prova oltre il termine fissato dall’art. 464 bis c.p.p. comma II^ (……La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall’articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l’atto di opposizione….)

I Giudici di legittimità, alla luce di tale lacuna nella disciplina transitoria della legge 67/2014, decidevano di rimettere la questione alle Sezioni Unite, attesa la “delicatezza della materia e la possibilità di soluzioni interpretative in radicale contrasto, afferenti il regolamento di diritti di rilievo costituzionale“.
I Giudici, infatti, affermavano che “con le nuove disposizioni … il legislatore ha previsto la messa alla prova sia quale causa di estinzione del reato (come esplicitamente previsto dall’art. 168 ter, comma 2, cod. pen. e confermato dalla collocazione della norma nel capo I del Titolo VI del codice penale, subito dopo la disciplina della sospensione condizionale della pena) sia come possibilità di definizione alternativa della vicenda processuale (come confermato dall’inserimento delle specifiche norme in apposito titolo V bis del libro VI – Procedimenti speciali – del codice di rito)”.

La IV^ Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30559/14, ha affrontato la questione dell’applicabilità delle nuove norme della legge n. 67 del 28 aprile 2014, che hanno introdotto nel nostro ordinamento la messa alla prova per gli adulti.
La Corte, in ordine ai termini entro i quali l’imputato o il difensore munito di procura speciale possono richiedere l’applicazione della messa alla prova afferma che la mancanza di norme di diritto intertemporale “impone di affrontare la questione se la nuova disciplina possa trovare applicazione anche nel processo che abbia già superato la fase processuale indicata dal secondo comma del nuovo art. 464 bis c.p.p., entro la quale può essere formulata, a pena di decadenza, la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova”.

La Corte deve affrontare il problema tenendo conto della doppia natura dell’istituto, processuale e sostanziale.
Dal punto di vista processuale, vigendo il principio del tempus regit actum (secondo il quale gli atti processuali devono essere valutati come legittimi se conformi alle norme che li disciplinano nel momento in cui sono attuati) la messa alla prova ex art. 67/2014 non potrebbe trovare applicazione ai fatti pregressi e per i procedimenti pendenti che hanno superato la fase processuale in cui può essere formulata la richiesta.
Qualora invece, si dovesse fare riferimento alla natura sostanziale dell’istituto della messa alla prova, troverebbero applicazione le regole generali previste dall’art. 2, comma 4, c.p. “Successione di leggi penali” – “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”, che permetterebbero l’applicazione anche ai fatti pregressi.

In attesa che la Suprema Corte si pronunci a riguardo, sembrerebbe opportuno che prevalesse un orientamento garantista, posto che, l’esclusione dell’applicazione della nuova normativa ai processi in corso, a causa del superamento degli sbarramenti processuali meramente cronologici, soprattutto nei procedimenti nei quali non è stata compiuta alcuna attività istruttoria, danneggerebbe l’imputato il quale avrebbe, invece, la possibilità – dopo avere superato un percorso di reinserimento e rieducativo – di ottenere il proscioglimento dall’imputazione e la dichiarazione di estinzione del reato nel rispetto del principio del favor rei avendo portato a termine positivamente “la prova”.

(articolo redatto dall’Avv. Elvira La Ferrera dello Studio legale de Lalla. Ogni diritto riservato).

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