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Pubblichiamo di seguito un interessante ed esaustivo contributo pubblicato sul numero di GENNAIO 2023 della rivista in questo sito più volte citata POLIZIA MODERNA a cura di PIETRO CASERTA, WALTER DE FUSCO, MARIA ROSARIA GIANNUZZI ED EGIDIO LA NEVE.
Tutti noi, ormai quotidianamente, sentiamo parlare di Polizia Giudiziaria o, più brevemente, di PG. Personalmente, sorrido pensando a quante volte, recentemente, ho sentito questo termine pronunciato dal giornalista Stefano Nazzi all’interno del podcast, assolutamente interessantissimo, “Indagini” – che ripercorre alcune tra le vicende giudiziarie italiane che più hanno segnato l’opinione pubblica italiana – soffermandosi proprio sulle attività di investigazione effettuate, sugli errori commessi e sui guizzi intuitivi che hanno portato alla risoluzione di casi di cronaca tra i più eclatanti e complicati degli ultimi anni.
Quando si verifica un reato, e massimamente quando si verificano fatti gravi di sangue, violenza, abuso o organizzazioni criminali, le indagini sono svolte da personale appartenente alle Forze dell’Ordine ai quali è demandato il difficile compito di ricostruire l’accaduto ed individuare i responsabili.

La Polizia Giudiziaria effettua i rilievi, assicura le fonti di prova, escute le persone informate sui fatti, raccoglie tutte le informazioni utili per poter garantire che il colpevole sia individuato e che nei confronti della persona accusata possa prendere avvio il procedimento penale.

Da Difensori, ovviamente, l’attività di indagine svolta da questi Operatori del Diritto è sempre sottoposta ad un attento vaglio per verificare la correttezza ed il rispetto delle normative e delle procedure. Quando, in dibattimento, si esaminano o contro-esaminano le persone che hanno effettuato accertamenti a carico del soggetto che si difende, un pubblico giustamente digiuno da nozioni e tecnicismi giuridici potrebbe pensare che la Difesa della persona accusata cerchi si svilirne competenze e capacità,.

Ma così non è.

Attraverso il difficilissimo compito che è chiamata a compiere, la Polizia Giudiziaria contribuisce alla definizione del processo, che può concludersi con il proscioglimento o la condanna della persona accusata di un reato. Per questo motivo, è assolutamente fondamentale che il Difensore sia consapevole di quali operazioni possano essere compiute e, ancor di più, con quali modalità. Non si tratta di una sfida personale, ma del corretto esercizio del Diritto di Difesa dell’imputato.

Mi ricordo che qualche anno addietro, in un processo che vedeva accusato un maestro per delle asserite molestie sessuali, controesaminai uno degli agenti intervenuto approfondendo le modalità con le quali era stata svolta la perquisizione presso il domicilio dell’imputato. Chiesi come era disposto l’appartamento, se ella era intervenuta personalmente, se l’accusato era stato collaborativo, in quanti operatori erano intervenuti, se la perquisizione aveva avuto esito positivo o negativo eccetera. Avuta risposta dettagliata a tutte le domande, chiesi come mai in atti NON vi era il verbale della predetta perquisizione. Ebbene, solo in quel momento la testimone ufficiale di PG si ricordò che NON era stata svolta nessuna perquisizione….

Ci è parso pertanto utile riportare la seguente analisi che ripercorre tre aspetti di fondamentale rilevanza nell’ambito del procedimento penale:

  • che cosa è e da chi è formata la Polizia Giudiziaria?
  • Che attività svolge e quali, invece, le sono precluse?
  • Durante il dibattimento, su quali fatti può riferire un appartenente alla PG e quali parti delle dichiarazioni saranno, invece, inutilizzabili per la decisione

Approfondiamo quindi gli aspetti organizzativi e procedurali della Polizia Giudiziaria con ogni richiamo alle relative norme sostanziali, procedurali ed amministrative.

Ancora una volta, gli autori di POLIZIA MODERNA hanno curato un articolo approfondito ed esauriente che coniuga un approccio teorico ed uno maggiormente operativo. Valore aggiunto: è scritto da appartenenti alle Forze dell’Ordine ed è rivolto ad operatori del settore.

Particolarmente ben fatta e completa la seconda parte dello speciale riguardante la fase dibattimentale e, in particolare, l’esame ed il controesame dei testimoni (non solo appartenenti alle Forze dell’Ordine) ovvero quello che nel nostro ordinamento è il fulcro del Giusto Processo.

ORGANIZZAZIONE, ATTIVITÀ E TESTIMONIANZA
DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA
ORGANIZZAZIONE
1. LE SEZIONI DI P.G.

Le sezioni di polizia giudiziaria sono delle particolari strutture collocate presso le Procure della Repubblica e sono composte da personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza e da eventuali appartenenti ad altri organi specializzati per particolari attività di P.G. (art. 56 cpp e artt. 5-11 disp. att. cpp).
L’art. 58 cpp stabilisce che ogni Procura dispone della relativa sezione di P.G., mentre la Procura Generale presso la Corte d’Appello dispone di tutte le sezioni istituite nel distretto.
Le attività di P.G. per i giudici del distretto sono svolte dalla sezione istituita presso la corrispondente Procura della Repubblica.
Il primo comma dell’art. 59 cpp precisa che tutti gli appartenenti alla sezione dipendono direttamente dai magistrati che dirigono gli uffici presso i quali le stesse sono istituite.
La dipendenza degli appartenenti alle sezioni nei confronti del Procuratore della Repubblica è di tipo funzionale, generale, diretta, immediata e anche personale (artt. 59 c.3 cpp e 10 c.3 disp. att. cpp). Difatti, per il loro utilizzo, il Procuratore non deve preventivamente interpellare il capo dell’ufficio di appartenenza da cui dipende gerarchicamente il componente della sezione di P.G. (es. Questore) e può assegnare l’indagine direttamente al componente della sezione da lui scelto e gli stessi componenti della sezione non possono essere distolti dall’attività di P.G., se non per disposizione dello stesso Procuratore. Il personale della sezione adempie esclusivamente alle funzioni di P.G., pertanto è esonerato dai compiti e dagli obblighi derivanti dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza, salvo che per casi eccezionali o per esigenze d’istruzione. Tuttavia anche in questi casi è necessario il consenso del Procuratore (es. non possono essere impiegati per i servizi di ordine pubblico, a disposizione dell’ufficio di polizia, senza la preventiva autorizzazione del Procuratore).
La dipendenza dei componenti della sezione dell’A.G., in ogni caso, rimane di tipo funzionale. Infatti, per ciascuna forza di polizia che compone la sezione, l’ufficiale di P.G. più elevato in grado o con qualifica superiore è responsabile del personale appartenete alla propria amministrazione e ne coordina l’attività in relazione alle richieste formulate dai singoli magistrati a norma dell’art. 58 cpp (art. 9 disp. att. cpp). Pertanto, il capo ufficio presso cui è istituita la sezione (responsabile della sezione di P.G.) ha il compito di direzione amministrativa e di coordinamento del lavoro dei vari appartenenti “con la conseguenza che gli ordini ai singoli componenti della sezione risultano pur sempre mediati dalla relativa gerarchia amministrativa o militare” .
Il legame di subordinazione esistente tra i singoli componenti della sezione e il Procuratore è rafforzato anche dalla previsione normativa di cui l’artt. 11 e 15 disp. att. cpp, che prevedono per il trasferimento e la promozione dell’appartenente alla sezione, rispettivamente il nulla osta e il parere favorevole del Procuratore della Repubblica e del Procuratore generale presso la Corte d’Appello, nonché dalla sezione accessoria dell’allontanamento dalla sezione, qualora l’appartenente alla stessa dovesse incorrere in una delle sanzioni disciplinari indicate dall’art. 16 disp. att. cpp.
Le sezioni per i due terzi sono costituite da ufficiali di P.G. e per un terzo da agenti di P.G.
L’organico della sezione deve essere almeno pari al doppio dei magistrati facenti capo alla Procura. L’art. 5 disp. att. cpp prevede, altresì, la possibile applicazione, anche temporanea e in soprannumero, di ufficiali e agenti provenienti da altri organi di polizia, per particolari esigenze investigative o di specializzazione (es. ispettori dell’Asl incaricati di accertare le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro). Anche questi ultimi fruiscono dello status giuridico previsto per gli appartenenti alla sezione.

2. I SERVIZI DI P.G.
Sono servizi di polizia giudiziaria tutti gli uffici e le unità cui le singole amministrazioni o gli organismi previsti dalla legge affidano in via prioritaria e continuativa funzioni di P.G. (art. 12 disp. att. cpp). Tali sono ad esempio le Squadre Mobili, le squadre anticrimine dei Commissariati di P.S., i nuclei investigativi dei Carabinieri, i nuclei di polizia tributaria della Guardia di Finanza, ecc.
Coloro che sono assegnati ai predetti uffici, diversamente dagli appartenenti alle sezioni, svolgono funzioni di P.G. in via continuativa ma non esclusiva, essendo possibile per l’amministrazione di appartenenza destinarli all’assolvimento anche di altri compiti istituzionali.
Per i servizi di P.G. il rapporto di subordinazione, con l’A.G. in generale e con la Procura in particolare, si attenua notevolmente, giacché solo il responsabile del servizio ha una dipendenza funzionale personale, diretta e immediata dall’A.G. Infatti, gli ordini emanati dai giudici o dai P.M., per l’espletamento delle attività di P.G., sono mediati dal responsabile del servizio.
Per i servizi di P.G. non è prevista una dipendenza della struttura nel suo complesso (es. Squadra Mobile) nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dove ha sede il servizio.
Ne segue che la responsabilità personale, diversamente da quanto previsto per i componenti della sezione, investe esclusivamente il responsabile del servizio. Pertanto, sarà solo costui a rispondere all’A.G. della buona organizzazione del servizio, per l’operato dell’ufficio e per le attività eseguite dal personale a egli sottoposto, fermo restando che per l’eventuale violazione commessa la responsabilità penale e/o disciplinare è personale, rimanendo in capo a chi l’ha posta in essere.
L’art. 12 disp. att. cpp impone alle amministrazioni, dalle quali dipendono i servizi, di comunicare al Procuratore generale presso la Corte d’Appello e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ove è istituito il servizio, i nominativi del dirigente e di quelli delle relative articolazioni del servizio (es. servizi della Squadra Mobile) scelti dall’amministrazione.
Al pari di quanto stabilito per i componenti della sezione di P.G., anche per il dirigete del servizio o della singola articolazione di P.G. il trasferimento e la promozione sono disposti, rispettivamente, con il consenso e il parere favorevole del Procuratore. Il legislatore ha costituito, altresì, servizi centrali e interprovinciali di polizia giudiziaria, per un contrasto più efficace dei fenomeni di criminalità e per consentire che l’attività di prevenzione e di indagine in materia di criminalità organizzata sia compiuta da organismi dotati di adeguata specializzazione . Presso ciascuna forza di polizia sono stati istituiti servizi centrali e interprovinciali di polizia giudiziaria, al fine di garantire tra le singole strutture un effettivo collegamento delle attività investigative relative ai delitti di criminalità organizzata.

I servizi di P.G. assolvono a una triplice funzione:
– Studiano l’evolversi dei fenomeni criminali, per elaborare prassi operative in grado di prevenirli e reprimerli efficacemente e definitivamente;
– Coordinano le attività delle altre unità di polizia sparse sul territorio nazionale in presenza di reati particolarmente gravi e allarmanti, che richiedono investigazioni complesse e dispendiose ovvero l’impiego di mezzi tecnologici d’avanguardia.
– Svolgono attività investigativa su tutto il territorio nazionale in presenza di reati particolarmente gravi e allarmanti, che richiedono investigazioni complesse e dispendiose ovvero l’impiego di mezzi tecnologici d’avanguardia.

Sono servizi centrali di polizia giudiziaria:
– La Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (Strutture Interforze);
– Per la Polizia di Stato, il Servizio Centrale Operativo (SCO) ;
– Per l’Arma dei Carabinieri, il Raggruppamento Operativo Speciale (ROS);
– Per la Guardia di Finanza, il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO);
– I nuclei interforze per le indagini sui sequestri di persona ;
– Le unità investigative interforze per le indagini su delitti di terrorismo di rilevante gravità .

I servizi interprovinciali di polizia giudiziaria delle singole forze di polizia sono stati istituiti presso gli uffici ove hanno sede le Procure distrettuali antimafia.
Essi operano secondo le direttive tecnico-funzionali e di coordinamento emanate dai rispettivi servizi centrali e secondo le direttive d’indagine della DDA, con competenza territoriale coincidente con quella della DDA di riferimento.
Sono servizi interprovinciali:
– Per la Polizia di Stato, le sezioni per la repressione della criminalità organizzata che sono inserite all’interno delle Squadre Mobili delle questure aventi sede nei capoluoghi di distretto di Corte d’Appello;
– Per l’Arma dei Carabinieri, le sezioni anticrimine che sono collocate all’interno dei Comandi provinciali aventi sede nei capoluoghi di distretto di Corte d’Appello;
– Per il Corpo della Guardia di Finanza, i gruppi di investigazione sulla criminalità organizzata ubicati all’interno dei nuclei di polizia tributaria o all’interno dei Comandi, con sede nei capoluoghi di distretto di Corte d’Appello.
Ai fini informativi, investigativi e operativi, i servizi centrali e interprovinciali si coordinano tra loro e, se necessario, si coordinano con gli altri organi o servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge con quelli delle polizie estere eventualmente interessati.
A conclusione della trattazione dell’organizzazione della P.G., si ricordi che il livello di subordinazione funzionale maggiore, nei confronti dell’A.G., è quello riguardante gli appartenenti alle sezioni di P.G.
Il secondo livello di subordinazione funzionale intermedio è quello che intercorre tra l’A.G. e i Servizi di P.G.
L’ultimo livello di dipendenza funzionale minore concerne tutti gli ufficiali e agenti di P.G. ai quali l’art. 56 c.3 cpp impone l’obbligo di eseguire i compiti a essi affidati inerenti alle funzioni di P.G. (per questi ultimi, il rapporto di subordinazione funzionale intercorrente con l’A.G. ha carattere generico e occasionale, si tratta di soggetti obbligati per legge a svolgere attività investigativa ma sporadicamente, in quanto normalmente svolgono funzioni amministrative, si pensi agli ispettori del lavoro).

3. SQUADRE INVESTIGATIVE COMUNI OPERANTI NELL’UE.
Con il dlgs n. 34/2016 è stata data attuazione alla decisione quadro della Ue n. 2002/465/Gai, riguardante la costituzione e al funzionamento delle Squadre Investigative Comuni (SIC) operanti nel territorio dell’Unione Europea, per l’accertamento e la repressione di forme di criminalità transnazionale.
Il frazionamento dell’attività delinquenziale tra i vari Stati membri, posta in essere dalle organizzazioni criminali, che sempre più spesso agiscono su scala internazionale, determina difficoltosi ostacoli alle attività investigative e repressive degli organi di polizia e spesso provoca l’impunità di coloro che ne sono a capo.
Con le SIC si è dato, quindi, vita a una forma di effettiva cooperazione tra gli organi investigativi degli Stati membri dell’Unione europea.
Le SIC sono composte da un gruppo di investigatori che non si limitano a porre in essere solo misure di coordinamento tra gli organi requirenti nazionali, ma operano simultaneamente nei vari Stati membri interessati dalle indagini, ponendo in essere ogni materiale attività investigativa occorrente per una più efficace repressione dei crimini di criminalità organizzata (in particolare, traffico di droga, terrorismo, tratta di esseri umani, pedo-pornografia, criminalità informatica, ecc.).
Le SIC sono istituite sia su iniziativa dell’autorità giudiziaria italiana che dall’autorità di un altro Stato membro.
Per l’Italia spetta al Procuratore della Repubblica richiedere la costituzione di una o più squadre investigative quando procede a indagini relative ai delitti di cui gli articoli 51, commi 3 bis, 3 quater e 3 quinquies, e 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale o a delitti per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni.
La richiesta può essere formulata anche quando vi è l’esigenza di compiere indagini particolarmente complesse sul territorio di più Stati membri o di assicurarne il coordinamento.
Quando diversi uffici del Pubblico Ministero procedono a indagini collegate, la richiesta è formulata d’intesa tra loro.
La richiesta di istituzione della SIC è trasmessa all’autorità competente dello Stato membro o degli Stati membri con cui si intende istituire una squadra.
Il Procuratore della Repubblica che richiede l’istituzione della SIC ne deve dare comunicazione al Procuratore generale presso la Corte d’Appello o al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, quando si tratta di indagini relative ai delitti di cui all’articolo 51, comma 3 bis e comma 3 quater cpp.
Gli atti compiuti all’estero dalla SIC hanno la stessa efficacia degli atti corrispondenti compiuti secondo le disposizioni del codice di procedura penale e sono pienamente utilizzabili secondo la legge italiana.
Sulla richiesta della costituzione della Squadra Investigativa Comune proveniente dall’autorità di altro Stato membro è competente a pronunciarsi il Procuratore della Repubblica, il cui ufficio è titolare di indagini che esigono un’azione coordinata e concertata con quelle condotte all’estero, o il Procuratore della Repubblica del luogo in cui gli atti d’indagine devono essere compiuti dalla SIC. Di tale richiesta il Procuratore della Repubblica ne deve dare informazione al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello o al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, se si tratta d’indagini relative ai delitti di cui all’articolo 51, comma 3 bis e comma 3 quater cpp. Il Procuratore, tuttavia, sentito il Procuratore Generale, può decidere di non dare corso alla richiesta di costituire la Squadra Investigativa Comune quando comporti il compimento di atti espressamente vietati dalla legge o contrari ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano. In questo caso il Procuratore è tenuto a darne comunicazione anche al Ministro della Giustizia e alle autorità richiedenti degli altri Stati coinvolti.
I membri distaccati della SIC operante sul territorio del nostro Stato assumono, anche agli effetti della legge penale, la qualifica di pubblico ufficiale e svolgono le funzioni di polizia giudiziaria nel compimento delle attività di indagine a essi assegnate.
L’istituzione della Squadra Investigativa Comune avviene con la sottoscrizione di un atto costitutivo, a opera del Procuratore della Repubblica procedente e dell’autorità competente dello Stato membro o degli Stati membri coinvolti.
L’atto costitutivo indica:
a. I componenti della SIC, ossia i membri nazionali e i membri distaccati. I membri nazionali sono individuati tra gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria. Della Sic possono far parte uno o più magistrati dell’ufficio del pubblico ministero che ha sottoscritto l’atto costitutivo. La composizione della squadra può, in seguito, essere modificata con la sostituzione di taluno dei membri o con l’aggiunta di ulteriori membri, sia nazionali che distaccati;
b. Il direttore della Squadra Investigativa Comune, scelto tra i suoi componenti. Quando fanno parte della squadra magistrati dell’ufficio del pubblico ministero, il direttore è indicato tra uno di essi;
c. L’oggetto e le finalità dell’indagine, che tuttavia possono essere modificate in corso d’opera con atto sottoscritto;
d. Il termine entro il quale le attività di indagine devono essere compiute che tuttavia può anche essere prorogato.
All’atto costitutivo è allegato il piano d’azione operativo, contenente le misure organizzative e l’indicazione delle modalità di esecuzione.
Le attività della Squadra Investigativa Comune, che opera sul territorio dello Stato, sono in ogni caso sottoposte, ai sensi dell’articolo 327 cpp, alla direzione del pubblico ministero.

ATTIVITÀ

1. ATTIVITÀ D’INIZIATIVA.
La fase delle indagini preliminari, come si è detto, è la fase processuale finalizzata a individuare e assicurare le fonti di prova e permettere al P.M., sulla base degli elementi raccolti, di decidere se esercitare o meno l’azione penale, accusando un soggetto di essere l’autore di un reato.
Con l’esercizio dell’azione penale (con la formulazione dell’imputazione, cioè dell’accusa, da parte del P.M.), invece, inizia il processo vero e proprio. Nel processo si forma la prova nel contraddittorio tra le parti e così il giudice decide in merito alla responsabilità penale dell’imputato, emettendo sentenza di proscioglimento o di condanna. Il materiale raccolto nel corso delle indagini preliminari, quindi, di regola non potrà servire come prova nel processo.
Il P.M. si avvale della P.G. sia per decidere in merito all’esercizio dell’azione penale, sia per acquistare ulteriori elementi probatori una volta esercitata l’azione stessa. In tal senso, la P.G. svolge attività di polizia giudiziaria, sia d’iniziativa che delegata dall’A.G.
La P.G. compie attività d’iniziativa nell’esecuzione delle funzioni indicate dall’art. 55 co.1 cpp, senza impulsi esterni, notizie qualificate di reato, deleghe e ordini dell’A.G.
L’attività d’iniziativa della P.G. consiste nel compimento di atti tipici o atipici, di informazione, investigazione e assicurazione, diretti alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole (art. 348 c.1 cpp) e può essere ripartita in:
 Attività autonoma che la P.G. compie immediatamente dopo l’acquisizione della notizia di reato e sino a quando non intervengono le direttive impartite dal P.M. una volta assunta la direzione delle indagini;
 Attività guidata che la P.G. compie nell’ambito delle direttive impartite dal P.M.;
 Attività successiva svolta in base agli elementi emersi nel corso delle indagini, come conseguenza di atti delegati o delle direttive impartite;
 Attività parallela all’attività autonoma che la P.G. compie, dopo aver ricevuto le direttive del P.M. e indipendentemente da queste, in attuazione delle proprie piste investigative.

La P.G. di norma svolge attività d’iniziativa nella fase delle indagini preliminari, prima dell’intervento del P.M. e dell’assunzione da parte di questi della direzione delle indagini. Ma l’attività d’iniziativa per accertare i reati può e deve essere compiuta anche dopo la comunicazione della notizia di reato e anche dopo l’assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M., che deve essere prontamente informato di tale attività (artt. 327 e 348 c.1 e 3 cpp).
Dopo l’assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M. possono emergere elementi che richiedono ulteriori indagini. In questo caso la P.G. deve comunque assicurare le nuove fonti di prova delle quali viene conoscenza, informando il P.M. (art. 348 c.3 cpp).
L’attività investigativa della P.G., d’iniziativa e delegata, seppur prevalentemente concentrata nella fase delle indagini preliminari, è posta in essere anche nella fase processuale, dopo che è stata promossa l’azione penale, con le indagini suppletive e/o integrative (artt. 422 e 430 cpp).
Nel caso in cui il P.M. abbia già assunto la direzione delle indagini, il compimento di atti di iniziativa non deve contrastare con le direttive impartite e deve essere caratterizzato dalla necessità e dall’urgenza, in quanto, se si dovessero attendere le direttive del P.M., le fonti di prova utili per le indagini potrebbero non essere assicurate adeguatamente.
Il codice di rito richiede la sussistenza del requisito dell’urgenza come presupposto necessario per il compimento di alcuni atti tipici di iniziativa. Tali atti sono:
 Assunzione dall’indagato, anche se arrestato o fermato, sul luogo o nell’immediatezza del fatto, di notizie e indicazioni utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini (art. 350 c.5 cpp);
 Apertura immediata di plichi o di corrispondenza, previa autorizzazione del P.M. (art. 353 c.2 cpp; l’urgenza è data dalla necessità di acquisire fonti di prova che potrebbero andare disperse a causa del ritardo; l’urgenza può derivare anche dalla necessità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, si pensi ad es. a un pacco che può contenere materiale esplosivo);
 Perquisizioni personali o locali (art. 352 cpp; al comma 1 l’urgenza è data dalla flagranza del reato o dall’evasione, invece al comma 2 l’urgenza ricorre se sussistono particolari motivi che non consentano la tempestiva emissione di un decreto di perquisizione);
 Accertamenti urgenti sui luoghi e sulle persone (art. 354 c.2 cpp; l’urgenza consiste nel pericolo che le cose, le tracce o lo stato dei luoghi si alterino o si disperdono o comunque si modificano e il P.M. non possa intervenire tempestivamente oppure non abbia ancora assunto la direzione delle indagini);
 Sequestro del corpo del reato (art. 354 c.2 cpp; ricorrendo gli stessi motivi d’urgenza sopra indicati per gli accertamenti urgenti);
 Arresto, obbligatorio o facoltativo, in flagranza (artt. 380 e 381 cpp; l’urgenza è data, in ogni caso, dallo stato di flagranza);
 Fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.2 e 3 cpp; l’urgenza è qualificata dall’esistenza di specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga; nel caso di fermo di indiziato dopo l’assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M., l’urgenza è ulteriormente rinforzata dalla circostanza che non è possibile attendere il provvedimento del P.M.);
 Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282 bis c.6 cpp, ove sussistano fondati motivi che le condotte criminose possano essere reiterate, ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa (art. 384 bis cpp).

L’attività d’iniziativa della P.G. non può essere arbitraria ma è delimitata dalla legge entro specifici confini. In linea di massima, tale attività può esplicarsi in qualunque attimo legittimo, tipico o atipico (es. appostamenti, pedinamenti), diretto alla ricostruzione dei fatti e all’individuazione del colpevole. Tale principio generale, tuttavia, è limitato da importanti eccezioni.
Innanzitutto il P.M. può espressamente vietare alla polizia giudiziaria di compiere determinati atti, che potrebbero compromettere il prosieguo delle indagini o pregiudicare la genuinità della prova (es. sommarie informazioni dell’indagato, in quanto il P.M. potrebbe decidere di procedere con interrogatorio, oppure perquisizioni d’iniziativa per evitare di allarmare l’indagato e compromettere altre attività in corso, oppure l’individuazione personale effettuata senza formalità e senza garanzie difensive – il suo compimento può infatti pregiudicare la genuinità della successiva e formale ricognizione compiuta dal giudice, cfr. artt. 361, 213-217 cpp).
Sono atti d’iniziativa espressamente vietati:
 Assunzione di sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte indagini che si trovi in stato d’arresto o di fermo di cui all’art. 384 cpp o che sia stato allontanato dalla casa familiare ex art. 384 bis cpp (a eccezione dell’assunzione, sul luogo o nell’immediatezza del fatto, delle notizie utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini, ex art. 350 c.5 cpp e delle dichiarazioni spontaneamente rese, ex art. 350 c.7 cpp);
 Ispezione personale;
 Interrogatorio (la P.G. può svolgere l’interrogatorio solo se delegato dal P.M., se l’indagato si trova in stato di libertà);
 Perquisizioni, ispezioni e sequestri negli uffici dei difensori e dei consulenti tecnici;
 Intercettazioni di conversazioni e comunicazioni (che devono essere autorizzati dall’A.G.).

2. ATTIVITÀ DELEGATA
Il P.M. compie personalmente attività d’indagine ma può avvalersi della P.G. per il compimento di attività d’indagine e di atti specificamente delegati (art. 370 c.1 cpp).
È opportuno che il pubblico ministero assuma al più presto la direzione delle indagini, al fine di impartire direttive e deleghe alla P.G.
La delega riguarda l’esecuzione di uno o più atti di P.G., che devono essere specificamente indicati dall’A.G. delegante.
Il pubblico ministero può delegare alla P.G. tutti quegli atti che egli stesso può compiere, a eccezione dell’interrogatorio e dei confronti con la persona indagata che non si trovi in stato di libertà (art. 370 c.1 cpp).

Sono atti delegabili alla P.G.:
 Ricezione di denunce, querele, istanze di procedimento presentate oralmente (art. 373 c.1 lett. a cpp);
 Atti di individuazione di persone o di cose (art. 361 cpp);
 Assunzione d’informazioni da persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (art. 362 cpp) e confronti tra le stesse (art. 370 c.1 cpp);
 Ispezioni di cose e di luoghi;
 Perquisizioni e sequestri;
 Interrogatori e confronti, cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l’assistenza necessaria del difensore (art. 370 c.1 cpp);
 Operazioni d’intercettazione di conversazioni o comunicazioni (art. 267 c.4 cpp);
 Accertamenti tecnici ripetibili (art. 359 cpp, v. anche art. 348 c.4 cpp);
 Esame di atti, documenti e corrispondenza presso banche, per rintracciare cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini (art. 248 c.2 cpp; in caso di rifiuto all’esame il diritto di procedere a perquisizione spetta all’A.G. e non anche all’ufficiale di P.G.).

Non sono delegabili alla P.G.:
 Interrogatorio dell’indagato che non si trovi in stato di libertà, anche a seguito di arresto o fermo (artt. 364, 370 c.1 e 388 cpp);
 Confronto cui partecipi l’indagato che non si trovi in stato di libertà (artt. 211, 212, 364 e 370 c.1 cpp);
 Ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici dei difensori (art. 103 c.4 cpp);
 Apertura di plichi o corrispondenza sequestrati (artt. 353, 254 c.2 cpp);
 Perquisizione presso banche, quando è disposta dopo il rifiuto di consentire il preventivo esame della documentazione (art. 248 c.2 cpp);
 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (il pubblico ministero procede alle operazioni d’intercettazione personalmente oppure avvalendosi di un ufficiale di P.G. per le attività tecniche o meramente esecutive (art. 267 c.4 cpp);
 Accertamenti tecnici non ripetibili, di esclusiva competenza del P.M. (art. 360 cpp);
 Ispezioni personali (art. 364 c.1 in relazione agli artt. 354 c.3 e 245 cpp);
 Acquisizione di documenti presso gli organismi di informazione per la sicurezza (Aise, Aisi; cfr. art. 256 bis cpp);
 Prelievo coattivo di materiale biologico utile alla determinazione del profilo genetico, se effettuato per finalità di investigazione (ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 359 bis e 224 bis cpp, il prelievo coattivo può essere disposto solo dall’A.G. e mai dalla P.G.; l’art. 349 c.2 bis cpp consente alla P.G. il prelievo coattivo di materiale biologico, previa autorizzazione del P.M., non ai fini investigativi ma ai fini dell’identificazione dell’indagato o di persona sospetta).

Gli organi di polizia giudiziaria devono eseguire l’attività a essi delegata con la massima tempestività e diligenza, osservando scrupolosamente le norme dettate dal codice di procedura penale.
Eventuali ostacoli all’esecuzione delle attività delegate o impartite oppure qualsiasi situazione nuova devono essere tempestivamente riferiti al magistrato delegante.
Si ricordi che l’omissione, il ritardo, la negligenza nell’esecuzione di ordini, impartiti dall’A.G., costituiscono comportamenti omissivi, censurabili in sede penale e disciplinare. “Se si tratta di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1 e 557, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero (art. 370, comma 2 bis cpp).
Nei casi di cui al predetto comma 2 bis dell’art. 370, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell’attività nelle forme e con le modalità previste dall’articolo 357 cpp (art. 370, comma 2 ter cpp)”.

3. AUSILIARI DI P.G.
Nel compiere indagini, d’iniziativa o delegate, può succedere che la polizia giudiziaria debba svolgere attività che richiedono competenze specifiche di un tecnico o di un esperto in materia.
In tal caso la P.G. può avvalersi di persone idonee, che non possono rifiutare la propria opera: si tratta dei cd. ausiliari di P.G. (art. 348 c.4 cpp).
Ad esempio, si potrà richiedere la collaborazione di un falegname per forzare una porta o di un interprete per capire un dialetto altrimenti incomprensibile o di un medico nell’ambito di accertamenti sanitari volti a verificare lo stato di ubriachezza di un soggetto. L’ausiliario deve essere persona idonea dal punto di vista delle capacità tecniche e dell’idoneità morale. Pur in assenza di criteri specifici dettati dalla legge, è opportuno che la scelta si ispiri a criteri di professionalità, insospettabilità e imparzialità. In particolare è opportuno utilizzare gli stessi criteri di scelta del perito/consulente tecnico adottati dall’A.G. Pertanto, l’ausiliario deve essere scelto tra gli esperti iscritti in appositi albi oppure, qualora non sia possibile, tra le persone che svolgono la propria attività professionale presso un ente pubblico (art. 67 disp. att. cpp).
Gli ausiliari opereranno sotto le direttive e il controllo degli ufficiali di P.G. e l’accertamento tecnico che ne consegue dovrà considerarsi atto dello stesso ufficiale di P.G. (la cui carenza tecnica è stata integrata dall’apporto del terzo soggetto esterno). Nell’espletamento dell’attività gli ausiliari sono considerati pubblici ufficiali, in quanto chiamati a esercitare temporaneamente una funzione giudiziaria. L’ausiliario ha l’obbligo di presentarsi e di espletare l’incarico ricevuto, salvo giustificato motivo, e di mantenere il segreto (art. 329 cpp). In caso di rifiuto, ritardo o omissione dell’atto è configurabile a suo carico il delitto di rifiuto o omissione di atti di ufficio (art. 328 cp). In caso di violazione dell’obbligo di segreto incorre nel delitto di rilevazione e utilizzazione dei segreti di ufficio (art. 326 cp).

TESTIMONIANZA

1. PRINCIPIO DELL’ORALITÀ
Prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, il processo era essenzialmente scritto, segreto e mancava qualsiasi forma di contraddittorio, cioè di confronto, tra accusa e difesa (cd. sistema inquisitorio).
Lo stesso giudice presiedeva sia l’istruttoria (fase scritta e segreta in cui venivano raccolte le prove) sia il giudizio (fase in cui venivano valutate le prove).
Il modello accusatorio al quale si ispira il nuovo codice, invece, si potrebbe rappresentare graficamente con un triangolo equilatero, che ha al vertice il giudice, terzo e imparziale, super partes appunto, e ai due angoli di base accusa (P.M.) e difesa (imputato e difensore), in posizione contrapposta ma su un piano di parità di parti e di armi.
Nell’attuale processo penale accusa e difesa, infatti, si fronteggiano davanti a un giudice terzo e imparziale, con posizioni contrapposte ma su di un piano di parità e la prova si forma oralmente in dibattimento.
Accusa e difesa raccolgono ciascuno per conto proprio gli elementi che poi produrranno in giudizio, in attuazione del principio del giusto processo sancito dall’art. 111 Cost.
La prova di regola si forma in dibattimento.
Pertanto, gli atti compiuti durante le indagini preliminari (a eccezione degli atti di indagine irripetibili, degli atti dell’incidente probatorio e di quelli che le parti di comune accordo decidono di far entrare nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431 cpp) sono utilizzabili per le decisioni del giudice solo prima del dibattimento (es. per l’applicazione delle misure cautelari, per la convalida dell’arresto, per l’autorizzazione a compiere particolari attività investigative, ecc.) ma non per la decisione finale di condanna o proscioglimento. In dibattimento il giudice valuta in modo immediato la prova che si forma davanti a sé.
Si pensi ai testimoni, sia dell’accusa sia della difesa, che il giudice vede e sente in udienza: ciò che il teste dice in quel momento costituisce prova che poi il giudice valuta ai fini della decisione finale.
In tal senso va inteso il principio dell’oralità che caratterizza il processo.
L’udienza è pubblica (art. 471 c.1 cpp) ma in alcuni casi il giudice può disporre che il dibattimento si svolga a porte chiuse .
L’art. 194 cpp stabilisce oggetto e limiti della testimonianza, circoscrivendo gli argomenti sui quali il teste deve essere esaminato.
Il testimone è esaminato sui fatti oggetto di prova, cioè sui fatti riguardanti l’imputazione, la punibilità, la determinazione della pena e delle misure di sicurezza, quelli inerenti alla responsabilità civile e l’applicazione delle norme processuali (art. 187 cpp).
L’esame può, inoltre, estendersi ai rapporti di parentela e interessi che legano il teste alle parti o ad altri testimoni e alle circostanze idonee a verificare la credibilità del teste.
Il teste non può, invece, essere obbligato a testimoniare su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale, nel rispetto del principio nemo tenetur se detegere.
L’esame deve vertere su fatti determinati e pertinenti connessi all’oggetto della testimonianza.
Non può, invece, riguardare le voci correnti, cioè i cosiddetti “si dice” e gli apprezzamenti personali, salvo l’impossibilità di tenerli separati dalla deposizione sui fatti.
Il teste non può deporre sulla moralità dell’imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale (art. 194 c.1 cpp).
A tutela della dignità della persona offesa e del diritto dell’imputato alla prova, la testimonianza sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa del reato è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona (art. 194 c.2 cpp).
Sempre a tutela della persona offesa l’art. 472 c.3 bis cpp stabilisce che nei procedimenti per delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone le domande aventi a oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato di regola sono vietate e possono consentirsi solo se necessarie alla ricostruzione del fatto.
Il giudice può disporre che avvenga a porte chiuse l’esame dei minorenni (art. 472 c.4 cpp).

2. IL CONTRADDITTORIO TRA LE PARTI.
Le parti (P.M., imputato, parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato) devono indicare in apposita lista le persone che intendono far escutere (esaminare) in dibattimento, con l’indicazione delle circostanze sulle quali le medesime saranno chiamate a deporre (art. 468 cpp).
Tale lista deve essere depositata presso la cancelleria del giudice almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, salvo che le parti dimostrino di non averlo potuto fare nei termini. Si pensi ad es. alla conoscenza dell’esistenza del teste solo successivamente alla presentazione della lista o nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
La suddetta regola è derogata per i testimoni prodotti a controprova, cioè quelli che sono chiamati a contraddire ciò che dichiara il testimone indicato nella lista (art. 468 c.4 cpp).
In dibattimento, una volta ammessi dal giudice i testi indicati dalle parti nella lista e gli altri mezzi di prova richiesti (art. 495 cpp), si passa alla fase dell’istruzione dibattimentale. È in questa fase che i testi vengono sentiti e si realizza il principio del contraddittorio e dell’oralità.
Si inizia col sentire i testimoni del P.M., sul quale grava l’onere della prova, seguono poi quelli delle parti private e si termina con quelli dell’imputato, salvo diverso accordo (art. 496 cpp).
Poi sono sentiti i periti, i consulenti tecnici e per ultimo le parti private che ne abbiano fatta richiesta o che vi consentano (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato, imputato).
Il teste ha l’obbligo di (art. 198 cpp):
 Presentarsi, salvo giustificato motivo;
 Rispondere;
 Dire la verità.
Il teste non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (art. 198 cpp) o su questioni coperte dal segreto professionale, d’ufficio o di Stato (artt. 200 ss. cpp) o quando l’imputato è un prossimo congiunto (art. 199 cpp).
L’esame testimoniale è condotto direttamente dal P.M. e dai difensori delle parti private (art. 498 cpp), a eccezione dell’escussione di minori. Solo in quest’ultimo caso l’esame è condotto dal giudice presidente del collegio, su domande e contestazioni proposte dalle parti.
L’esame dei testi si svolge in forma orale, dopo che questi ultimi si sono impegnati a dire la verità.
Il testimone nel corso dell’escussione può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto alla memoria, i documenti da lui redatti (art. 499 c.5 cpp). L’autorizzazione del presidente è necessaria anche quando depongono gli ufficiali e agenti di P.G. (artt. 514 c.2 e 499 c.5 cpp).
L’escussione dei testi è eseguita con la tecnica dell’esame incrociato, vale a dire mediante esame, controesame ed eventuale riesame.
Essi sono esaminati l’uno dopo l’altro, nell’ordine prescelto dalle parti che li hanno indicati (artt. 194, 497, 498, 499 cpp).
L’esame incrociato (cd. Cross examination) si svolge come segue (artt. 496 e 497 cpp):
 Per prima inizia la parte che ha chiesto l’esame, che quindi pone le domande;
 Le altre parti contro-esaminano, quindi a loro volta pongono domande;
 Dopodiché chi ha chiesto l’esame può proporre nuove domande al teste.
Lo scopo del controesame è quello di consentire alla parte contro la quale è stato introdotto il teste di interrogarlo dopo aver conosciuto le domande proposte dalla parte richiedente l’esame del teste e le relative risposte date.
Il rispetto delle regole prescritte per l’esame testimoniale è assicurato dal presidente del collegio giudicante, il quale interviene d’ufficio o su richiesta di parte per assicurare:
 La pertinenza delle domande sui fatti specifici oggetto del processo;
 La genuinità delle risposte, ossia ciò che effettivamente il teste vuole dire con la dichiarazione che sta rilasciando senza che sia condizionato o che gli sia suggerita la risposta;
 La sincerità delle risposte, ossia la corrispondenza tra ciò che il teste riferisce e ciò che ha percepito;
 La lealtà dell’esame, non consentendo le domande vietate;
 La correttezza delle contestazioni eseguite dalle parti, ossia la concordanza tra ciò che si contesta e ciò che è scritto nell’atto utilizzato per la contestazione (art. 499 c.6 cpp).
Il presidente del collegio giudicante, anche su richiesta degli altri componenti, può proporre domande al teste solo dopo che è stato ultimato l’esame incrociato delle parti (art. 506 c.2 cpp).

Nel corso dell’esame incrociato non possono essere proposte le domande vietate dalla legge (artt. 499, 194, 195 e 472 bis cpp).
Sono vietate le domande:
 Che nuocciono alla sincerità della risposta, sono tali ad es. quelle che contengono intimidazioni indirette, mettono il teste in cattiva luce, fanno leva sulla sua emotività o debolezze culturali (cd. domande nocive);
 Trabocchetto o quelle che suggeriscono la risposta, ad es. “Di che colore era la Fiat Punto di colore rosso?” (cd. domande suggestive). Il divieto opera con esclusivo riferimento all’esame e non anche per il controesame, essendo quest’ultimo finalizzato anche a dimostrare l’inattendibilità del teste;
 Sulla moralità dell’imputato, salvo che non attengano a fatti specifici idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale, e su quella della persona offesa, salvo che non servano per valutare il fatto commesso dall’imputato;
 Sulle voci correnti;
 Che implichino apprezzamenti personali;
 Su fatti appresi da persone soggette al segreto professionale o d’ufficio, salvo che queste ultime vi hanno già deposto o li hanno comunicati. Le domande vietate sono escluse d’ufficio o su eccezione di parte.
Quando una domanda è ammessa nonostante lo specifico divieto, la prova è inutilizzabile.

All’esame del perito e del consulente tecnico (art. 501 cpp) si applicano le stesse regole previste per il testimone, con l’esclusione della dichiarazione d’impegno di dire la verità.
L’assenza di tale obbligo dipende dal fatto che il perito è vincolato ad adempiere fedelmente all’incarico (art. 226 cpp), mentre i consulenti tecnici esprimono un loro punto di vista e di parte.
L’art. 503 cpp dettala disciplina in materia di esame delle parti nel dibattimento.
Nel dibattimento sono esaminate, cioè interrogate, dal P.M. e dal difensore, le parti (es. imputato) che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito (art. 503 c.1 cpp).
La parte non ha l’obbligo di sottoporsi a esame ma se accetta l’esame è tenuto a rispondere alle domande (tranne l’imputato che ha facoltà di non rispondere, C. Cost. 191/2003), a eccezione di quelle dalle quali possa emergere una sua responsabilità penale.
Anche per le parti nel dibattimento si svolge la cross examination, l’esame incrociato: il P.M. interroga l’imputato, poi il difensore a sua volta può rivolgergli domande, a seguito delle quali il P.M. può riesaminare l’imputato (art. 503 c.2 cpp).
Il P.M. e il difensore, per contestare il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del P.M. (art. 503 c.3 cpp).
Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità dell’esaminato (art. 503 c.4 cpp). Ad es., l’imputato in dibattimento nel corso dell’esame sta dicendo qualcosa di diverso da quello che aveva dichiarato alla P.G. nel corso delle indagini preliminari, quando era stato assunto a sommarie informazioni. Pertanto, per contestare quello che sta dicendo l’imputato, il P.M. può servirsi delle dichiarazioni rese alla P.G. quando è stato redatto il verbale di sommarie informazioni assunte dall’indagato, verbale contenuto nel fascicolo del P.M. Il P.M. può fare questo per far emergere la contraddizione dell’imputato, che nel corso delle indagini preliminari aveva dichiarato qualcosa di diverso e il giudice ne potrà tener conto per valutare la credibilità dell’imputato. Normalmente le sommarie informazioni assunte dall’indagato non hanno valore probatorio, non sono utilizzabili in dibattimento dal giudice ai fini della decisione finale.
Quando invece il verbale dell’interrogatorio, delegato alla P.G. dall’A.G., è stato utilizzato in dibattimento per una contestazione, entrerà a far parte del fascicolo del dibattimento e quindi sarà utilizzabile come prova (art. 503 c.5 cpp).

L’art. 500 cpp disciplina le contestazioni nell’esame del testimone.

Esaurita l’assunzione delle prove nella fase dell’istruzione dibattimentale si procede alla discussione finale (art. 523 cpp).
Il presidente dirige e modera la discussione e le parti vi intervengono nello stesso ordine di cui si è detto per l’escussione dei testimoni. La discussione, in genere, avviene in forma orale ed è finalizzata all’esposizione delle conclusioni di ciascuna parte.
Il P.M. e le altre parti hanno il diritto di replica per una sola volta. Il difensore dell’imputato e l’imputato devono avere la parola per ultimi, a pena di nullità.
A differenza delle altre parti, la parte civile ha l’obbligo di presentare le proprie conclusioni per iscritto; se richiede il risarcimento del danno dovrà indicare anche il quantum preteso. Esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso il dibattimento e delibera, cioè decide, immediatamente con sentenza (art. 525 cpp) . Conclusa la deliberazione, il giudice redige la sentenza (art. 544 cpp) .

3. RIMEDI ALLE INTIMIDAZIONI DEL TESTIMONI: L’ART. 500 C.4 CPP
L’art. 500 c.4 cpp prevede che quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del P.M. precedentemente rese dal testimone sono acquisite nel fascicolo del dibattimento e possono essere utilizzate come prova le dichiarazioni lette per le contestazioni, che normalmente possono essere valutate dal giudice ai fini della credibilità del teste.
La norma costituisce un’applicazione dell’art. 111 c.5 Cost., che consente un’eccezione al principio della formazione della prova in dibattimento nel contraddittorio, in caso di provata condotta illecita.
Il solo fatto che il testimone sia stato indebitamente condizionato è di per sé sufficiente per rendere acquisibili le precedenti dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, contenute nel fascicolo del P.M.
In tali casi, al fascicolo del dibattimento va allegato l’intero verbale dell’atto d’indagine, e non solo la parte della dichiarazione effettivamente utilizzata.
Lo scopo della norma è quello di evitare che le pressioni illecite sul teste possano impedire l’utilizzabilità delle dichiarazioni anteriori al dibattimento.
Gli elementi concreti comprovanti l’illecita pressione esercitata sul teste possono desumersi da circostanze emerse in dibattimento o da situazioni esterne portate a conoscenza del giudice (si pensi ad es. a una lettera di minaccia), mentre non possono desumersi dalle modalità della deposizione. L’accertamento sulle circostanze concrete si svolge in contraddittorio, nel corso di un procedimento incidentale promosso dalla parte che vuole ottenere l’allegazione delle precedenti dichiarazioni e sul quale grava l’onere probatorio della intimidazione o della subornazione (corruzione).
La norma è importante in quanto consente, quale rimedio alle intimidazioni del testimone, che siano valutate come prova in dibattimento le dichiarazioni rese dal teste in fase d’indagine, quale persona informata sui fatti, alla P.G. ex art. 351 cpp o al P.M. ex art. 362 cpp.
La minaccia o violenza esercitata sul teste o su un suo prossimo congiunto, al fine di indurre alla ritrattazione, deve emergere dagli atti in modo inequivocabile e oggettivo, e non dalle condizioni psicologiche del teste.
In tal senso è importante che la P.G. documenti accuratamente tali situazioni, in modo da consentire al giudice di valutare l’applicabilità di tale norma. Tale aspetto è particolarmente delicato specie nei casi di violenza sessuale .

4. LA TESTIMONIANZA DELL’OPERATORE DI P.G.: I CONTENUTI E LIMITI
Nel processo penale il giudice non conosce i risultati delle attività investigative eseguite nel corso delle indagini preliminari della P.G., poiché deve decidere in merito alla responsabilità dell’imputato in base a quanto accertato in udienza dibattimentale davanti a sé e non in base alla lettura delle carte.
L’attività svolta nella fase delle indagini preliminari è diretta ad acquisire non prove ma elementi di prova che orientano il P.M. in merito all’esercizio dell’azione penale, in quanto è in dibattimento che si formano, in contraddittorio, le prove utilizzabili dal giudice per la decisione. Ciò in attuazione dell’art. 111 Cost., che ne consacra il principio del contraddittorio nella formazione della prova.
Pertanto, l’esame testimoniale della P.G. assume una particolare rilevanza: gli operatori non possono limitarsi a confermare gli atti a loro firma ma devono sottoporsi all’esame incrociato delle parti, in modo da consentire al giudice di conoscere direttamente l’attività di P.G. svolta che ha consentito l’incriminazione dell’imputato.
Gli ufficiali e gli agenti di P.G. chiamati a testimoniare, in dibattimento devono ricostruire l’attività investigativa svolta e i vari passaggi logici delle singole attività d’indagine.
Spesso l’esito del giudizio dipende dalla capacità degli ufficiali e agenti di P.G. di ricordare i dettagli e della efficacia della testimonianza degli stessi sulle attività d’indagine.
Da ciò deriva che gli appartenenti alla P.G., atteso il notevole lasso di tempo che, di norma, intercorre tra l’attività posta in essere e l’esame testimoniale, devono studiarsi gli atti d’indagine eseguiti, al fine di saper rispondere puntualmente alle varie domande che potrebbero essere poste nel corso dell’esame.
Lo studio della documentazione può eseguirsi sia attraverso le copie esistenti agli atti d’ufficio (art. 115 disp. att. cpp), sia richiedendo al P.M. l’autorizzazione a prendere visione degli atti a propria firma inclusi nel suo fascicolo.
Gli ufficiali e agenti di P.G. possono avvalersi della facoltà di non rilevare i nomi dei loro informatori, fermo restando l’inutilizzabilità in dibattimento delle informazioni da essi acquisite (artt.201 e 329 cpp).
Hanno invece l’obbligo di non dichiarare sulle indagini ancora in corso, essendo le stesse coperte dal segreto d’ufficio, pena l’irrogazione della sanzione penale di cui all’art. 326 cp (violazione del segreto d’ufficio). In tal caso si potrebbe configurare anche il concorso con il delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).
L’art. 201 cpp prescrive nei confronti dei pubblici ufficiali l’obbligo di astenersi dal deporre sui fatti conosciuti in ragione del loro ufficio che devono rimanere segreti, mentre l’art. 329 cpp stabilisce che gli atti d’indagine compiuti dal P.M. o dalla P.G. sono coperti dal segreto sino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza.
La testimonianza degli appartenenti alla polizia scientifica e degli ufficiali e agenti di P.G. in tema di intercettazione presenta caratteristiche particolari.
Il personale della polizia scientifica è chiamato a deporre su questioni tecnico-scientifiche.
Di riflesso, a seconda dei casi, il predetto personale può assumere anche la veste di consulente tecnico del P.M. o di perito del giudice (art. 501 cpp), per cui non è soggetto alla dichiarazione d’impegno di dire la verità. L’assenza dell’obbligo dipende dal fatto che il perito è vincolato ad adempiere fedelmente all’incarico, mentre il consulente tecnico esprime un suo punto di vista e di parte, esprimendo entrambi una valutazione tecnica.
Detto personale della scientifica assume la veste di perito quando è incaricato direttamente dal giudice, mentre assume quella di consulente tecnico per l’attività svolta su mandato del P.M.
Si pensi ad es. al caso in cui il giudice nel corso del giudizio incarichi un appartenente alla polizia scientifica di accertare se il DNA dell’imputato corrisponda a quello rinvenuto sul luogo dell’omicidio ovvero all’accertamento balistico disposto dal P.M. sull’arma del delitto sequestrata nell’abitazione dell’indagato nel corso delle indagini preliminari.
Il predetto personale, in tali ipotesi, nel corso dell’esame può consultare documenti, note scritte e pubblicazioni senza la preventiva autorizzazione del giudice, attesa la complessità della deposizione e tenuto conto della necessità di fondare le dichiarazioni su dati certi (v. art. 501 c.2 cpp).
Il personale della scientifica, quando depone su fatti accaduti in sua presenza o sotto la sua diretta percezione sensoriale, inerenti alla sua abituale e particolare attività, non incontra il divieto imposto dall’art. 194 cpp relativo agli apprezzamenti personali, essendo l’apprezzamento inscindibile dal fatto oggetto della testimonianza . Altra particolarità si riscontra nella testimonianza degli appartenenti alla P.G. quando depongono riguardo alle intercettazioni telefoniche o ambientali. In tali casi, il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nella forma della perizia, poiché la prova non è costituita dalla trascrizione grafica della conversazione, ma dalla bobina o da nastri, che potrebbero essere stati distrutti o andati persi .

5. LA TESTIMONIANZA DE RELATO DELLA P.G.
La testimonianza è indiretta (art. 195 cpp) quando il teste, esaminato su un fatto specifico, riferisce notizie apprese da altri sia oralmente che in forma diversa da quella orale (es. Tizio riferisce che Caio gli ha detto di aver visto Sempronio uccidere la vittima; Tizio è teste indiretto).
L’art. 195 cpp, come regola generale, statuisce che la testimonianza indiretta, detta anche de relato, può essere utilizzata solo se la fonte primaria di conoscenza, cioè la persona da cui il teste de relato ha appreso le notizie riferite, si sottopone all’esame testimoniale, a seguito della richiesta di una delle parti o su disposizione del giudice.
La mancata escussione della fonte primaria (o teste diretto, Caio nell’esempio di cui sopra) provoca l’inutilizzabilità della testimonianza indiretta (quella di Tizio nell’esempio), salvo che l’esame della fonte primaria sia divenuta impossibile per morte, infermità o irreperibilità (art. 195 c.3 cpp).
Le dichiarazioni rilasciate dal teste de relato sono utilizzabili anche quando la fonte primaria è un minore e la sua testimonianza è divenuta impossibile, in quanto ha rimosso dalla memoria il ricordo della violenza subita .
Altro divieto assoluto di testimonianza indiretta si ha per le dichiarazioni apprese dai soggetti vincolati dal segreto d’ufficio o professionale (ad es. Tizio non può testimoniare sulle dichiarazioni relative all’imputato apprese da uno psicoterapeuta). Tale divieto viene meno se dette persone hanno già divulgato i fatti coperti da segreto o hanno già dichiarato su di essi.
Le dichiarazioni del teste de relato non possono essere utilizzate quando questi si rifiuti o non sia in grado di indicare la persona o la fonte dalla quale ha appreso tali notizie.
La disciplina dell’art. 195 cpp opera con esclusivo riguardo alla fase dibattimentale, pertanto nel corso della fase delle indagini preliminari la testimonianza de relato è pienamente utilizzabile (per l’adozione di misure cautelari, per l’autorizzazione di intercettazioni o altre attività investigative).
L’art. 62 cpp afferma l’impossibilità di testimoniare sulle dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato nel corso del procedimento. Il divieto riguarda anche le dichiarazioni dell’indagato o dell’imputato assunte dalla P.G. ai sensi degli artt. 63, 350 e 351 c.1 bis cpp.
Lo scopo della norma è impedire l’ingresso nel dibattimento di dichiarazioni non acquisite con la documentazione scritta e con le forme prescritte dalla legge, per evitare contaminazioni probatorie fondate su atti unilateralmente ottenuti e ricevuti nel corso delle indagini preliminari, senza contraddittorio .
Se si consentisse alla P.G. di testimoniare sulle dichiarazioni rese dall’indagato/imputato nel corso del procedimento, si ammetterebbe l’ingresso in dibattimento e l’utilizzabilità come prova di tali dichiarazioni, assunte durante le indagini senza contraddittorio, quando invece la prova si deve formare in dibattimento nel contraddittorio tra le parti.
Il divieto previsto dall’art. 62 cpp ha carattere assoluto e comprende sia le dichiarazioni sollecitate, sia quelle rese spontaneamente dall’indagato o dall’imputato e riguarda anche le dichiarazioni rilasciate dai predetti soggetti, sul proprio conto, prima di assumere la veste d’indagato.
Il divieto vale per le dichiarazioni acquisite dalla P.G. nell’ambito dell’attività investigativa svolta, in ordine ai fatti per i quali si procede. Pertanto, in tali casi l’operatore di P.G. non potrà assumere la veste di testimone (es. l’appartenente alla P.G. ascolta una conversazione tra indagati, su questioni per le quali sta investigando, mentre si trova al bar libero dal servizio. Su ciò non potrà testimoniare).
Non sono colpiti dal divieto dell’art. 62 cpp, invece, i dialoghi tra indagati percepiti dagli appartenenti alla P.G. presenti in un posto per finalità diverse dagli accertamenti dei fatti sui quali gli indagati stanno dialogando: in tal caso, la P.G. potrà testimoniare sui fatti appresi al di fuori dell’attività investigativa (es. l’appartenente alla P.G. ascolta casualmente una conversazioni tra indagati, su questioni per le quali non sta investigando, mentre si trova al bar libero dal servizio. Su ciò potrà testimoniare).
Il divieto dell’art. 62 cpp è legato a quello previsto per la testimonianza indiretta della P.G. ex art. 195 c.4 cpp, in base al quale gli ufficiali e gli agenti di P.G. non possono deporre sulle dichiarazioni acquisiste da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357 c.2 lett. a, b cpp.
Anche questo tipo di divieto è finalizzato a non consentire alla P.G. di deporre sugli atti tipici di P.G. acquisiti in ragione della funzione esercitata.
Il divieto riguarda le sole dichiarazioni, che riguardano la responsabilità altrui, contenute nei verbali di:
 Sommarie informazioni da persona informate sui fatti;
 Sommarie informazioni rese dalla persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato;
 Sommarie informazioni dalla persona indagata;
 Spontanee dichiarazioni rese dall’indagato;
 Denuncia, querela, istanza.
In sostanza la P.G. non può testimoniare sulle dichiarazioni per quali il codice prevede l’obbligo di redigere il verbale. In tali casi può parlare solo la documentazione redatta.
Ciò per evitare l’utilizzo di elementi probatori incontrollabili.
Normalmente il verbale di sommarie informazioni non entra nel fascicolo del dibattimento, non è conosciuto dal giudice del dibattimento come prova per fondare la sua decisione.
Ciò in quanto la prova si forma in dibattimento nel contraddittorio tra le parti: il giudice sente in udienza direttamente l’imputato e il testimone e non sente indirettamente le loro dichiarazioni tramite la P.G.
Se si consentisse alla P.G. di testimoniare sul contenuto di tali verbali, ciò sarebbe un escamotage per far entrare in dibattimento dichiarazioni che devono restarne fuori.
Il testimone e l’imputato sono sentiti dal giudice direttamente in dibattimento: in tal senso la prova si forma in dibattimento nel contraddittorio.
In tutti gli altri casi, cioè quando la testimonianza non riguarda le dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato o informazioni che dovrebbero essere acquisite con verbale , la testimonianza de relato della P.G. è ammessa e regolata nei modi ordinari, previsti per chiunque dall’art. 195, c.1, 2, e 3 cpp.
Pertanto, la testimonianza indiretta della P.G. può essere utilizzata quando è indicato il teste indiretto o quando l’esame del teste primario sia divenuto impossibile per morte, infermità o irreperibilità.
Si tenga presente che la testimonianza indiretta è utilizzabile anche se nessuna delle parti chiede di esaminare il teste e il giudice non lo dispone d’ufficio .
Non va considerato de relato:
 La testimonianza avente a oggetto un dialogo fra terze persone non indagate, occasionalmente ascoltato dalla P.G.;
 La testimonianza dell’operatore di P.G. su comportamenti, e non dichiarazioni, posti in essere dall’indagato in sua presenza (es. sul fatto che Tizio impugnava un’arma oppure ha ceduto sostanze stupefacenti) ;
 La testimonianza su dichiarazioni rese non direttamente alla P.G. ma ad un terzo davanti alla P.G. durante la fase delle indagini (es. ciò che l’imputato dice a Tizio durante una perquisizione effettuata dalla P.G.) .
In tali casi la P.G. può testimoniare.

In casi eccezionali, al verificarsi di determinare circostanze, le notizie apprese dalla P.G. in qualità di teste de relato possono essere utilizzate dl giudice del dibattimento.
Pertanto, è ammessa la testimonianza de relato della P.G. sulle dichiarazioni apprese in situazioni operative eccezionali che non consentono la verbalizzazione (es. nel corso di un’attività sotto copertura; oppure dichiarazioni rese, nell’immediatezza del fatto omicidiario, dai prossimi congiunti delle vittime e documentate in annotazioni di servizio, quando i prossimi congiunti si sono poi rifiutati di confermarle a verbale) .

6. TESTIMONIANZA DELLA P.G. E NOTIZIA CONFIDENZIALE
La notizia confidenziale è quella che proviene alla P.G. dal cd. confidente, cioè da chi, al di fuori di ogni obbligo giuridico e di atti formali di informazione, fornisce alla P.G. notizie in merito alla commissione di reati e ai loro autori.
Le figura del confidente si caratterizza per la segretezza e per la garanzia di rimanere nell’anonimato; prerogative queste assicurate dall’art. 203 cpp, in base al quale il giudice non può obbligare gli ufficiali e gli agenti di P.G., nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, a rilevare i nomi dei loro informatori.
D’altra parte, in considerazione della natura di delazione segreta, la notizia confidenziale non può essere ricevuta dal giudice come prova. Infatti sempre l’art. 203 cpp afferma che, se gli informatori non sono esaminati come testimoni, le informazioni da esse fornite non possono essere acquisite né utilizzate.
Ne deriva che la notizia confidenziale deve rimanere confinata nell’ambito dell’attività di P.G. e costituisce unicamente una fonte di conoscenza, che può essere utilizzata dagli ufficiali e agenti di P.G. per l’accertamento formale del reato, mediante riscontri probatori per i quali la confidenza può valere unicamente come elemento orientativo, ma di massima utilità, per le indagini.
Il confidente, nonostante la particolare natura e valore non probatorio delle informazioni da lui segretamente date, può, tuttavia, incorrere nel delitto di calunnia (art. 368 cp) se incolpa di un reato taluno che egli sa innocente.
La figura del confidente deve essere tenuta distinta da quella dell’agente provocatore prevista dalle specifiche normative, nel senso che il confidente non può e non deve trasformarsi in soggetto che, con il consapevole e tacito assenso della polizia, istighi o determini o addirittura aiuti altri a commettere reati per consentire una brillante operazione di polizia.
Una simile, attività, riprovevole sul piano etico, per la polizia giudiziaria si può trasformare, sul piano giuridico, in responsabilità penale a titolo di concorso, morale o materiale secondo i casi, nel reato commesso.
Si ricordi che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo (art. 40 cp). Se ne deduce che P.G. appena abbia notizia anche solo della preparazione di un reato, deve intervenire, per stroncarlo al suo primo atto di tentativo.

7. CONSULTAZIONE DEGLI ATTI A PROPRIA FIRMA E DELL’ATTIVITÀ SVOLTA NON IN PRIMA PERSONA
Lo studio della documentazione per la deposizione testimoniale da parte dell’operatore di polizia può eseguirsi sia attraverso le copie esistenti agli atti d’ufficio (art. 115 disp. att. cpp), sia richiedendo al P.M. l’autorizzazione a prendere visione degli atti a propria firma inclusi nel suo fascicolo.
Nel corso della deposizione il testimone può essere autorizzato dal presidente del collegio a consultare i documenti da lui redatti (art. 499 c.5 cpp).
Analoga disposizione è dettata dall’art. 514 c.2 cpp per gli ufficiali e agenti di P.G. con riguardo agli atti e alle attività investigative svolte.
Contrariamente a quanto prevede l’art. 499 c.5 cpp per il testimone comune, gli appartenenti alla polizia giudiziaria, una volta autorizzati, possono consultare anche i documenti non personalmente redatti o sottoscritti, essendo sufficiente che abbiano partecipato alle operazioni cui la documentazione esaminata si riferisce . L’estensione della consultazione anche agli atti non direttamente redatti o sottoscritti dal teste di P.G. è da imputarsi a una duplice ragione.
Infatti, spesso le operazioni di polizia giudiziaria sono svolte con la partecipazione e la collaborazione di una pluralità di soggetti che materialmente provvedono all’esecuzione di singole frazioni della stessa attività (si pensi ad es. al piantonamento delle strade in entrate o in uscita da un certo luogo per accertare il transito di presunti trafficanti di droga).
Inoltre, ancor più frequentemente, l’attività investigativa posta in essere è documentata dal superiore gerarchico o dal responsabile del servizio, in un momento successivo a quello in cui è stata eseguita . In merito al riferimento, nel corso della deposizione, all’attività svolta non in prima persona dal teste di P.G., vale quanto detto in merito alla testimonianza indiretta: in tal caso, il teste fa riferimento, per la conoscenza del fatto, a un’attività svolta da un altro, che il giudice potrà chiamare a deporre. Si pensi, ad esempio, a un cittadino extracomunitario imputato per il reato di false generalità (art. 495 cp). In tal caso, potrebbe essere citato a testimoniare l’operatore di P.G. che materialmente ha redatto l’informativa di reato ma che non ha svolto in prima persona l’attività d’identificazione del soggetto. Per fare alcuni esempi, il teste di polizia potrebbe riferire al giudice:
1. Di aver redatto l’informativa in base agli atti d’ufficio;
2. Che l’imputato, privo di permesso di soggiorno e di documenti di riconoscimento al momento dell’accertamento di polizia, ha dichiarato le proprie generalità (poi rivelatesi false) all’operatore di polizia scientifica che ha proceduto ai rilievi foto-dattiloscopici;
3. Che a seguito di tali rilievi il sistema Afis ha consentito di accertare che il soggetto è stato identificato diverse volte da diversi uffici di polizia, avendo dichiarato generalità sempre diverse (cd. alias);
4. Che il soggetto è stato deferito all’autorità giudiziaria. Una volta accertata la vera identità, comunicata dall’ambasciata alla quale era stata inoltrata richiesta di identificazione, unitamente al cartellino foto-segnaletico. In tal caso, il giudice potrà chiamare a deporre l’operatore di polizia scientifica al quale l’imputato ha dichiarato le false generalità.

(introduzione a cura degli Avv.ti Giuseppe de Lalla e Chiara Morona dello Studio de Lalla).

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