Skip to content

Pubblichiamo un interessante intervento della Dott.ssa Alice Del Pero (psicologa forense che da anni collabora con lo Studio dell’avvocato de Lalla in tema di difesa di accusati di reati sessuali) inerente la genesi e la dinamica di false accuse di abusi sessuali propalate da più soggetti minori nei confronti di genitori, amici di questi ed altre figure adulte di riferimento. In particolare, è affrontato dalla Dottoressa il gravissimo problema dell’impreparazione di quei soggetti (investigatori, giudici, c.d. esperti di psicologia forense ed evolutiva, consulenti, periti ed anche difensori) deputati ad occuparsi dal punto di vista giuridico di tali terribili (o erroneamente supposte tali) vicende. Particolare attenzione dedica la Dottoressa Del Pero alle prassi ed ai protocolli corretti (la Carta di Noto IV ed il protocollo di Siracusa) per l’audizione dei minori asserite persone offese e di cose sia altamente fuorviante che gli accertamenti e le audizioni siano effettuate dai medesimi soggetti “esperti”. Il tema affrontato, inoltre, mette in luce le terribili conseguenze (soprattutto dal punto di vista dell’unità familiare dei piccoli dichiaranti) che tali false accuse – anche se smascherate – creano all’interno dei singoli nuclei familiari (nel caso di specie, ad esempio, nessuno dei minori coinvolti vide più la sua famiglia).

****

L’11 dicembre 2017 La Repubblica ha pubblicato un articolo dal titolo Pedofilia, nel paese un’altra verità vent’anni dopo, tratto da un’inchiesta condotta da Pablo Trincia e Alessia Rapanelli su una vicenda di cronaca nera avvenuta nel modenese venti anni fa.
È possibile ascoltare la narrazione dell’intera vicenda, con testimonianze audio e lettura di stralci di verbali processuali, interviste ai soggetti coinvolti e a professionisti che forniscono un parere sulla qualità delle indagini svolte, in 7 podcast dal titolo “Veleno” sul sito di La Repubblica.
Questa inchiesta, associata alla revisione delle Linee Guida in materia di ascolto dei minori e dei soggetti deboli recentemente pubblicata, ha dato l’idea di questo articolo per spiegare in un caso eclatante come il seguente come piccoli (o grandi) errori da parte dei professionisti possano portare alla distruzione di intere famiglie.

Tra il 1997 e il 1998 sedici minori furono allontanati dalle famiglie perché genitori, parenti e alcuni vicini furono accusati di abuso sessuale dagli stessi bambini. I procedimenti interessarono oltre 20 imputati e furono celebrati 5 filoni processuali, ognuno con i suoi gradi di giudizio.
La vicenda penale si concluse con 5 morti, alcune assoluzioni e più di 150 anni di condanne in carcere per chi venne riconosciuto colpevole.
Nessuno dei 16 bambini allontanati tornò mai più a casa o rivide i genitori o i fratelli.

LA VICENDA DI MASSA FINALESE e MIRANDOLA
Dario è un bimbo di 5 anni che si trova suo malgrado al centro di questa vicenda di cronaca, il “bambino zero”, come lo definiscono gli autori della serie: nasce come terzogenito in una famiglia con gravi problemi economici, a causa dei quali i Servizi sociali a solo 3 anni ritengono meglio collocarlo in una comunità per circa 2 anni e successivamente in una famiglia affidataria. A Dario viene concesso di rientrare nella famiglia d’origine a week-end alternati fino al febbraio 1997, data in cui cessano i rientri in famiglia nel bambino senza alcuna spiegazione per i genitori.
La famiglia scoprirà successivamente che il bambino ha raccontato alla maestra che il fratello maggiore faceva degli scherzi sotto le coperte alla sorella. La scuola provvede ad avvisare la madre affidataria (una donna che dalla ricostruzione effettuata appare fortemente ansiosa) e la psicologa del Servizio Sociale incaricata del minore.
A seguito di questa affermazione del minore, la madre affidataria ritiene corretto interrogare più volte il bambino chiedendogli a cosa si riferisse e se anche a lui venivano fatte delle cose brutte in quanto notava che Dario appariva molto strano dopo il rientro dai week-end in famiglia. A lungo andare il bambino confermava i sospetti sul fratello maggiore, aggiungendo che anche il padre e la madre abusano di lui.
I racconti di Dario con il passare dei giorni divengono sempre più gravi e coinvolgenti altre persone e altri comportamenti: i genitori, infatti, permetterebbero ad altri adulti di abusare di lui in cambio di soldi ed altri amici del padre, oltre ad abusare di lui, scatterebbero foto che passerebbero ad altri soggetti non meglio identificati.

Nei colloqui effettuati con la psicologa del Servizio (2 volte alla settimana) Dario continua a elencare nomi di mostri che lo spaventano e che disegna, nomi che la dottoressa si appunta e che la polizia cerca. La psicologa sembra convinta che il bambino non possa essere l’unico minore coinvolto e un giorno ottiene la conferma a questo suo dubbio quando Dario coinvolge altre 2 bambine provenienti da famiglie a loro volta già conosciute dal Servizio, Elisa (3 anni) e Marta (8 anni) a cui i mostri farebbero male. Queste bambine sono vicine di casa residenti a Mirandola, a 20 km da Massa Finalese, e si frequentano spesso tra di loro.
Prima ancora di sentire le bambine viene disposto il loro immediato allontanamento dai genitori (7 luglio): la polizia si presenta presso la loro abitazione con un mandato di perquisizione e li conducono tutti in questura per sentirli sui fatti. Mentre i genitori vengono interrati i bambini vengono portati via dai Servizi Sociali. Quello stesso giorno incontrano la mamma di Marta in lacrime per l’allontanamento della figlia.
Elisa e il fratellino Nicola (neanche 1 anno) vengono affidati a due famiglie diverse, mentre Marta viene inserita nella stessa comunità in cui anche Dario era stato ospite, il “Cenacolo Francescano” di Reggio Emilia.
Le bambine vengono sottoposte a visita ginecologica a cura di una dottoressa della Clinica Mangiagalli che certifica che le minori hanno subito violenze. La madre di Marta a seguito dell’allontanamento della figlia e dell’arresto e delle accuse rivoltele, si toglie la vita lanciandosi dal balcone una volta ai domiciliari. Questo suo gesto verrà interpretato come una conferma della fondatezza delle accuse da parte dei professionisti che si occupano del caso e non come causato da sentimenti di disperazione.
Dario nel frattempo continua le sue sedute con la psicologa del Servizio, ampliando sempre più il raggio delle accuse. Inizia infatti a parlare di un pedofilo definito da lui come “Sindaco Giorgio”, un uomo residente nella casa vicino al campanile, di altezza media, con i capelli grigio-scuri e gli occhiali, un po’ grassottello che indossava degli stivaletti con un po di tacco. Gli inquirenti cercano l’uomo descritto dal bambino escludendo il sindaco di Massa Finalese in quanto non porta quel nome e non combacia con la descrizione. Racconta inoltre che i genitori lo avevano portato di notte in un cimitero dove avevano fatto il funerale ai bambini che erano stati chiusi nelle bare e così trasformati nei figli del diavolo (!!). Dario riferisce che era presente anche il “sindaco con la tunica”, che dirigeva il funerale, e gli adulti portavano tutti maschere di animali. Al termine i bambini erano stati bastonati dai genitori che li avevano poi obbligati a picchiarsi tra di loro.
Don Giorgio Govoni, parroco del paese, viene identificato nella persona del “sindaco con la tunica” e posto a capo della setta dei pedofili.
A fine estate 1997 la Procura ottiene 7 rinvii a giudizio su 8: i genitori e il fratello di Dario, l’amico del padre e la moglie e i genitori di Elisa.
Dopo alcuni mesi dal suo inserimento al “Cenacolo Francescano” anche Marta inizia a raccontare: la madre l’avrebbe venduta ad altri adulti perché abusassero di lei. I racconti sono precisi, ricchi di particolari e alla fine anche lei conferma che veniva portata nei cimiteri, dove persone travestite da animali si approfittavano di lei e dove ha visto dei cadaveri dissotterrati.
16 marzo 1998 la quinta bambina allontanata, Margherita (9 anni, ultimogenita di 5 fratelli), giunge all’attenzione della stessa psicologa. La minore è stata presa dai Servizi Sociali e allontanata dalla scuola elementare di Massa Finalese perché segnalata conoscere troppo bene argomenti sessuali. La bimba viene sottoposta a visita ginecologica a carico della stessa specialista che aveva precedentemente visitato le altre due minori e anche in questo caso viene confermato che c’erano segni di abuso sessuale.
La bambina, collocata in una casa famiglia, a partire dal mese di giugno inizia a sua volta a raccontare alla psicologa (la stessa!) degli abusi subiti in un bar da parte di uno sconosciuto e poi anche dal suo stesso padre, che viene immediatamente arrestato.
Dario nel frattempo rivela nuovamente nuovi dettagli: poco prima di essere allontanato dalla famiglia il padre lo avrebbe guidato ad uccidere con un coltello un altro bambino (….). Le sue affermazioni verrebbero poi confermate dalle altre bambine che avrebbero assistito agli omicidi.
In questo periodo si stanno già celebrando i primi processi, tra cui quello di don Giorgio Govoni, per il quale sono stati chiesti 14 anni di condanna dalla Procura. Il Parroco viene colto da infarto mentre si trova nello studio del suo legale e muore prima della sentenza che successivamente lo assolverà da tutte le accuse.
La Bassa Modenese si mobilita, non credendo alle accuse mosse nei confronti del Parroco e definendolo un “martire” e non un mostro come descritto dalla Procura.
Dalle indagini emerge che nessuno ha mai visto gruppi di bambini e adulti recarsi in orari particolari al cimitero di Massa Finalese, che si trova di fianco alla piazza del Paese nei pressi di una strada molto trafficata.
Il cimitero di Finale Emilia, poco distante, è identificato da Margherita come il luogo in cui era costretta a scavare buche scavate insieme ad altri bambini per nascondere i cadaveri. La bambina avrebbe indicato il luogo esatto in un sopralluogo esterno, raccontando come entravano e cosa facevano. Gli inquirenti, nonostante le precise indicazioni della minore, non trovano nulla. Il luogo indicato è inoltre circondato da un complesso di abitazioni, che si affacciano direttamente sul cimitero, ma i residenti non sono mai stati interrogati dagli investigatori per sapere se abbiano visto o sentito qualcosa.
Cristina (8 anni) è la sesta bambina allontanata insieme al fratellino piccolo. Anche in questo caso la famiglia è seguita da tempo dal Servizio Sociale e la minore viene visitata sempre dalla stessa ginecologa che conferma gli abusi.
Nelle settimane precedenti l’allontanamento la bambina ha parlato alle psicologhe di abusi subiti da parte dei genitori. Cristina amplia le sue rivelazioni indicando come abusanti anche i nonni e gli zii, che ogni notte la obbligherebbero ad assistere ad assassini di gatti. La bambina descrive scene raccapriccianti avvenute nel cimitero, con riti che vedevano il Parroco come capo della setta e che prevedevano l’omicidio di bambini ad opera di altri.
Le si chiede quali altri minori erano presenti e lei indica i 4 cugini (11, 9, 7 e 3 anni), figli della stessa zia maestra d’asilo e che a seguito dei suoi racconti vengono anch’essi allontanati dalla famiglia. La psicologa presente al momento del distacco è sempre la psicologa del Servizio che ha seguito tutti gli altri minori.
La stessa notte anche altri 2 bambini vengono allontanati dalla famiglia d’origine per i racconti di Cristina. In tutto saranno 6 gli adulti che verranno arrestati per le rivelazioni di questa bambina.
Sempre la stessa ginecologa visita le bambine e un collega si occupa dei maschi: entrambi confermano su ogni minore gli abusi sessuali.
La comunità a questo punto però inizia a mobilitarsi perché si rende conto che le accuse non hanno riscontri probatori oggettivi e i bambini vengono allontanati dalle famiglie con troppa facilità: alcuni di loro infatti sono stati allontanati nonostante non abbiano mai mosso accuse e sono addirittura figli di genitori mai indagati, come gli ultimi 4 fratelli allontanati.
Ne consegue una interrogazione parlamentare al Ministro di Giustizia sulla correttezza delle procedure di allontanamento dei minori. Il giorno prima della tanto attesa risposta del Ministro arriva a casa dei genitori dei 4 minori un avviso di garanzia in quanto i due figli maggiori avrebbero “finalmente” confermato gli abusi alla solita psicologa del Servizio. Ne consegue che l’allontanamento preventivo era stato corretto.
La madre dei bambini poco dopo fugge in Francia a seguito della scoperta di essere incinta, per non rischiare l’allontanamento del nascituro, così come accaduto ai genitori di Elisa quando ancora erano in ospedale a seguito del parto. Il marito continuerà a fare la spola con l’Italia per seguire le udienze del processo fino al 2013, quando viene stroncato da un infarto. Entrambi saranno assolti dopo 16 anni.
Sonia è l’unica bambina che non ha mai accusato i genitori, né nessun altro nonostante la solita ginecologa abbia certificato l’abuso sessuale anche per questa minore, dichiarando che era la condizione più grave. La madre della minore, separata dal marito, per poter rivedere la figlia aveva dovuto ammettere la possibilità che il padre avesse abusato di lei. Questo diventò ulteriore elemento a carico dell’uomo.
Durante i pochi incontri avvenuti tra madre e figlia presso il “Cenacolo Francescano”, la solita comunità in cui era inserita anche questa bambina, la signora dichiara di non riconosce più in Sonia la felicità e l’allegria che la contraddistinguevano. La figlia non la guarda negli occhi e parla solo a comando, ritiene che le avessero fatto il “lavaggio del cervello”.
La madre richiede che gli incontri neutri avvengano presso la sua abitazione ma ciò le viene negato e, anzi, la figlia viene data in affidamento e lei non avrà più occasione di rivederla nonostante il fatto che la signora non sia mai stata neppure indagata e il padre sia stato poi assolto.
Il Tribunale di Modena in I grado condannò tutti gli imputati sia per gli abusi sessuali commessi in ambito domestico che per le violenze nei cimiteri. La Corte d’Appello fu di altro avviso, assolvendo tutti per il secondo reato ritenendo che vi fosse una totale mancanza di prove e riconoscendo solo alcuni dei condannati in primo grado colpevoli di abuso sessuale.
In tutta questa vicenda si segnala che nessuno degli adulti ha mai confessato, nè ha mai accusato altri. Non è mai stata ritrovata alcuna foto, video, o testimone, nonostante le diverse affermazione delle piccole vittime.
Uniche prove di tutta la vicenda erano le parole bambini, rivelazioni effettuate tutte alla medesima psicologa, i referti delle visite ginecologiche, firmate tutte dallo stesso medico o da uno stretto collaboratore e le valutazioni psicologiche.

CONSIDERAZIONI SUL COLLOCAMENTO TEMPORALE DELLA VICENDA
In Italia siamo negli anni della promulgazione della Legge 66/1996 al Senato che trasformava il reato sessuale da delitto contro la morale a delitto contro la persona. Vi è quindi ampia risonanza su questi argomenti che stampa e TV ripropongono spesso.
Al di fuori del nostro paese si è già assistito a casi di Abusi Sessuali Collettivi (ASC), prima in America (dal 1980 al 1994) e poi in Gran Bretagna (dal 1987 al 2003).
In Italia si assiste ad un aumento delle denunce per abusi sessuali di violenza su minori del 90% negli anni tra il 1996 e il 1999. I mass media danno ampio risalto ai casi di cronaca, concentrandosi sui processi per pedofilia che venivano celebrati e intervistando nei salotti del sabato sera professionisti che a vario titolo si esprimevano sulle vicende.
È un’epoca che si presta quindi ad essere focalizzata su questi argomenti e, come spesso accade, le paure di genitori, operatori del settore e insegnanti vengono stimolate dal bombardamento mediatico sull’argomento, rendendo quindi le persone più inclini a notare che “qualcosa che non va”.

CONSIDERAZIONI SULLE MODALITÀ DI ASCOLTO DEI MINORI
Caratteristica comune degli abusi sessuali colletti risulta essere che ricorrono sempre stessi elementi: abusi sessuali, sangue da bere, travestimenti, omicidi cruenti.
Gli studiosi ritengono che ciò avvenga perché questi elementi fanno parte di un immaginario collettivo (pauroso) condiviso da tutti, assimilato dalla prima infanzia.
Dalle dichiarazioni dei bambini emergono elementi che non trovano alcuna conferma nei fatti reali e che risultano talmente tanto smisurati da non sembrare veri:
Uno dei minori ha raccontato che venivano uccisi anche 15 bambini ogni settimana da un solo bambino: nessun cadavere mai trovato
Il sangue di gatto veniva fatto bere o iniettato ai bambini: non risultano ingressi al pronto soccorso o bambini che siano stati male.
Vengono descritte torture con bastoni, spranghe o punteruoli: nessun livido, frattura o ferita notata su nessun bambino.
Questi elementi non sono stati valutati nel loro peso discutibile rispetto alla teoria accusatoria, ma utilizzati come conferma della stessa, d’altronde, se tutti i bambini riportano questi fatti non possono che essere veri.
Sentendo alcuni stralci delle interviste a cui sono stati sottoposti i bambini emerge che in 80 ore di interrogatori non è stata presa alcun accorgimento finalizzato a mantenere intatto il ricordo senza indurre suggestioni o inserimenti di elementi fantastici. Non viene spiegata alcuna “regola” della conversazione che si apprestano ad avere: è accettabile rispondere non ricordo o non so se non si conosce la risposta alla domanda, piuttosto che l’intervistatore non conosce i fatti e quindi se dice qualcosa di sbagliato è possibile correggerlo. È importante dire la verità e la ripetizione della domanda non implica che la prima risposta fornita sia sbagliata.
Inoltre, gli intervistatori devono evitare domande e comportamenti
che possono compromettere la spontaneità, la sincerità e la genuinità delle risposte. Nel caso in esame emerge dai verbali che nel corso degli interrogatori ciò non sia stato in alcun modo seguito: “di sicuro qualcuno ti ha fatto male al sederino e una patatina ed è sicuro perché lo dice la Dottoressa”.
Nell’Incidente Probatorio di Dario il bambino è stato fortemente pressato e suggestionato, gratificato con coccole, illuso di poter stare meglio se raccontava e addirittura ricattato che “se non racconti il mare si allontana”, in quanto il bambino aveva esordito dicendo che sarebbe dovuto andare al mare. Questo concetto è stato ripetuto a Dario molteplici volte nel corso dell’ascolto, durante il quale, tra l’altro, al bimbo viene permesso di giocare e disegnare, con il rischio che realtà e fantasma si mescolino inesorabilmente.
Anche le aspettative degli intervistatori hanno giocato un ruolo chiave. In uno dei colloqui si sente la bambina chiedere: “va bene quello che ho detto?”.
Modalità investigative inadeguate come quelle riportate sopra causano l’impossibilità di ripulire le dichiarazioni dei minori dagli elementi indotti dalle influenze esterne che diventano parte integrante del ricordo, modificandolo per sempre.
Si deve inoltre sottolineare che non esiste alcuna registrazione dei primi colloqui della psicologa del Servizio con i bambini, quindi risulta impossibile sapere come abbia interrogato i minori e se abbia veicolato delle informazioni, anche involontariamente.
Dalla testimonianza rilasciata in udienza dalla stessa psicologa emerge che una delle vittime è stata identificata da lei stessa perché durante un colloquio con Dario in cui parlavano degli altri minori coinvolti, il bambino chiese se i cinesi hanno la pelle gialla (domanda posta mentre disegnava dei calciatori bambini). È la psicologa che pone in essere un collegamento tra questa domanda, totalmente innocua, e Elisa, una bambina di origini thailandesi, da lei conosciuta perché in carico al Servizio. Non considera che Elisa abita a 20 Km di distanza da dove risiede Dario e che pare difficile che i bambini si conoscano direttamente.
Anche la rivelazione sui riti satanici emerge principalmente da una associazione dalla psicologa a seguito di alcuni racconti della madre affidataria sulle paure nutrite del bambino. Questa associazione poi viene misteriosamente confermata da Dario nei colloqui successivi con la psicologa ed entra a far parte di tutte le rivelazioni dei bambini.
I riscontri maggiormente “oggettivi” sembrerebbero essere i certificati medico-ginecologici che certificano l’avvenuto abuso su tutti i bambini visitati. Occorre innanzitutto porre attenzione sul fatto che sia sempre lo stesso medico a certificare lo stato di abuso fisico dei bambini. In secondo luogo le relazioni mediche di questa dottoressa vengono duramente attaccate dai periti sia del Tribunale che della difesa, riscontrado tutti elementi opposti a quelli certificati dal consulente del PM. La ginecologa per difendersi arriva a dichiarare che l’imene lacerato in seguito ad un rapporto sessuale (così come da lei certificato) può anche ricrescere (!!!!)(essendosi evidenziato che l’imene delle bambine era integro), affermazione disconosciuta dall’intera comunità medica. Un pool di medici dichiarò infine che non vi erano segni certi di abuso, ma solo elementi aspecifici.
I professionisti di questa vicenda non solo sono sempre gli stessi, ma hanno anche degli interessi che appaiono a posteriori un po’ troppo personali.
La psicologa del Servizio che ha preso in carico tutti i minori coinvolti risulta essere anche la responsabile del centro aiuto al bambino all’interno dell’istituto del “Cenacolo Francescano”, centro che aveva ottenuto dall’ASL un finanziamento triennale di 800.000 euro rivolto all’aiuto delle bambine abusate. Risulta inoltre che uno degli avvocati legati all’Istituto abbia preso in affido una delle minori coinvolte, in particolare Sonia.
Tutti i professionisti coinvolti nella vicenda, la psicologa del Servizio, le due psicologhe che hanno condotto gli Incidenti Probatori davanti al GIP, la ginecologa che ha visitato le bambine non hanno subito alcuna ripercussione sulle loro carriere e anzi, alcuni, lavorano ancora anche come consulenti del Tribunale.

LA VITA DEL “BAMBINO ZERO”
Dario e la famiglia affidataria negli anni successivi sono costretti a trasferirsi almeno tre volte. Il bambino infatti trova pedofili in qualsiasi città viva: una maestra elementare viene condannata sulla base delle sue affermazioni, il padre di un compagno di scuola viene accusato di portarlo nei cimiteri e il bambino punta il dito anche verso il vescovo di una città lontana. Solamente nell’aprile del 1999 Il Tribunale dichiara che Dario non è più credibile.
Oggi quel bambino è cresciuto e incontrato dagli autori dell’inchiesta ha dichiarato: “io non sono neanche più sicuro di quello che è successo…molti psicologi cercano di farti dire quello che vogliono loro… alcuni ricordi ci sono, ma non so se sono reali o meno…alla fine da un bambino tiri fuori quello che vuoi”
Dario afferma che uno dei ricordi più dolorosi che ha della sua infanzia è quello di essere stato abbandonato in comunità senza alcuna spiegazione, nulla a che fare con abusi, riti satanici e omicidi.

LINEE GUIDA IN TEMA DI ASCOLTO DEL MINORE E DEI SOGGETTI DEBOLI
Nell’ultimo anno due importanti pubblicazioni fanno riferimento alle modalità di ascolto dei soggetti fragili nei casi di abuso sessuale.
Il Protocollo di Cosenza, realizzato dalla Società Italiana Scienze Forensi, si pone l’obiettivo di indicare le migliori prassi da seguire nel corso di un procedimento penale in caso di presunti abusi sessuali sui minori o soggetti particolarmente deboli, suggerendo come agire a partire dalle indagini preliminari fino al compimento dell’incidente probatorio. Il Protocollo allega la SRD (Scheda Rilevazione Denunciante) contenente gli argomenti da poter trattare con il denunciante nei casi di presunta violenza sessuale a danno di una vittima vulnerabile.
La Carta di Noto IV è l’aggiornamento delle precedenti edizioni e prende in considerazione i recenti progressi scientifici in materia di memoria e testimonianza delineando le modalità di raccolta della testimonianza e le prassi che sarebbe meglio seguire nella valutazione della capacità a testimoniare.
Le linee guida per quanto non siano equiparabili a delle leggi, sono dei suggerimenti finalizzati per prima cosa a tutelare il minore, sia minimizzando il rischio di formazione di falsi ricordi indotti da modalità di interrogatorio inadeguate che possono potenzialmente causare traumi, sia limitando l’esposizione a vittimizzazione secondaria. Oltre a ciò un ascolto condotto in modo scientificamente corretto assicura maggiormente l’adeguatezza dell’azione penale, senza prestare il fianco a possibili valutazioni di inattendibilità e permettendo, nei casi di falsi abusi, di scagionare l’indagato.
Risulta poi deontologicamente corretto per l’esperto mettere in atto tutte quelle raccomandazioni che la comunità scientifica consiglia sulla base delle più recenti ricerche in materia.
Il Protocollo di Cosenza suggerisce di raccogliere con molta attenzione le dichiarazioni del denunciante seguendo la SRD o ponendo particolare attenzione alla prima rivelazione d’abuso, al contesto familiare e sociale e alla denuncia. Nella raccolta della testimonianza del minore espletata in indagini, che si consiglia di effettuare unicamente in caso di necessità per proseguire con l’azione penale, si suggerisce di favorire il racconto del bambino senza creare un’atmosfera induttiva e senza utilizzare alcuno strumento di ausilio (disegni, bambole, etc.), utilizzando protocolli di intervista riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale (Intervista Cognitiva, Intervista Strutturata, Step-Wise Interview, NICHD).
Fermo restando la necessità della videoregistrazione, o in via subordinata dell’audioregistrazione, la trascrizione dei verbali, se ciò non fosse possibile, dovrebbe essere in modalità verbatim.
Il consulente tecnico del PM dovrebbe utilizzare solo metodiche riconosciute dalla comunità scientifica al fine della valutazione della idoneità testimoniale, esplicitando la metodologia utilizzata e la cornice teorica di riferimento. Deve allegare alla relazione che deposita tutto il materiale utilizzato e riferito al lavoro svolto. Il suo mandato non deve concernere la veridicità delle affermazioni rese dal minore né deve sollecitare il racconto dei fatti.
La perizia per il GIP sulla capacità a testimoniare dovrebbe avvenire prima dell’incidente probatorio e deve seguire i medesimi suggerimenti espressi per il consulente del PM.
Si consiglia che l’incidente probatorio venga svolto in una stanza apposita, con videoregistrazione, alla presenza del solo minore e esperto nominato, utilizzando per l’ascolto protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, rispettando i tempi del minore, senza utilizzare pressioni per ottenere informazioni che apparentemente non vuole ovvero non sa riferire, stando attenti a non pronunciare domande o frasi suggestive. Unico compito dell’esperto in questa fase è facilitare e favorire la raccolta della testimonianza. Per poter portare a termine il compito nel miglior modo possibile, assicurando la massima neutralità, l’esperto dovrebbe conoscere solo informazioni basilari (nome, età, contesto e epoca presunto abuso).
La Carta di Noto IV esprime la necessità che l’esperto possegga specifiche competenze aggiornate in psicologia forense e della testimonianza. Stabilisce che la raccolta della testimonianza debba avvenire nel più breve lasso di tempo possibile, evitando le audizioni ripetute. L’assistenza terapeutica dovrebbe essere intrapresa solo dopo l’audizione del minore per evitare possibili alterazioni del ricordo.
Si precisa che l’attività giudiziaria e quella di supporto debbano essere espletate da due soggetti differenti e i dati ottenuti dall’attività terapeutica non possono essere considerati per quanto riguarda l’accertamento dei fatti. Si consiglia che anche lo psicologo incaricato della valutazione della idoneità a testimoniare e l’esperto in incidente probatorio siano due professionisti diversi.
L’esperto durante l’incidente probatorio deve agire da facilitatore della conversazione limitando il rischio di vittimizzazione secondaria per il bambino.

Si esplicitano le “regole” che devono essere rispettate in sede di audizione del minore finalizzate a mitigare il rischio di influenzamento sul minore.
Viene sottolineata l’inesistenza di segni assumibili come indicatori di abuso e dell’impossibilità di stabilire che la presenza di sintomi associabili a PTSD (disturbo post traumatico da stress) come conferma dell’abuso sessuale.
Il restante contenuto riprende quanto già esplicitato per il Protocollo di Cosenza.

PROTOCOLLO DI COSENZA (Novembre 2016): https://www.psicologiagiuridica.eu/download/2675/

CARTA DI NOTO IV (Dicembre 2017): https://www.psicologiagiuridica.eu/wp-content/uploads/2017/11/carta_di_noto_IV_2017.pdf

PODCAST “VELENO” LA REPUBBLICA: https://video.repubblica.it/cronaca/il-paese-dei-bambini-perduti-veleno-la-serie-da-ascoltare/287343/287954

Questo articolo ha 0 commenti

Lascia un commento

Torna su
Cerca