Il concetto medico di capacità di intendere e di volere si discosta da quello prettamente Giuridico. La Corte di cassazione precisa le differenze tra le due interpretazioni e la necessità di una perizia anche a fronte del Giudice peritum peritorum.
Il 16 ottobre 2014 è stato Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale (n. 241) il nuovo Codice deontologico forense emanato dal Consiglio Nazionale Forense vincolante per tutti i professionisti iscritti all’albo (e la stessa pubblicazione sulla Gazzetta ne sottolinea la natura di vera e propria Legge entrato in vigore il 15 dicembre 2014).
L’iter del nuovo Codice deontologico forense in commento è stato piuttosto lungo e travagliato (la Legge che lo prevedeva era la n. 247 del 2012) ed è in ogni caso parere del sottoscritto che il nuovo codice sia effettivamente ben strutturato e sicuramente più al passo coi tempi rispetto a quello precedente (del resto, per tale evidente scopo è stato emanato).
Diversi e tutti fondamentali gli obbiettivi che il nuovo codice deontologico forense intende promuovere:
– Incrementare e proteggere l’interesse di tutti i cittadini al regolare e corretto esercizio della professione forense che è pensata (dire, da secoli) per la tutela della collettività e l’amministrazione della Giustizia);
– Ribadire il ruolo centrale e preminente del difensore nell’esercizio del fondamentale diritto costituzionale di ogni uomo (chiunque esso sia e di qualsiasi crimine sia accusato) di difendersi nelle sedi Giudiziarie;
– Valorizzare la funzione sociale della difesa;
– Garantire la libertà e l’autonomia del difensore che solo se libero ed autonomo da qualsivoglia pressione (che sia quella dell’Autorità Giudiziaria, delle Forze dell’Ordine o del cliente stesso) può svolgere proficuamente il suo nobilissimo e fondamentale compito;
– Difendere il principio di legalità fondamentale per opporsi ad ogni arbitrio.
Il codice è così strutturato:
– È composto da 73 articoli divisi in 7 titoli;
– Il I^ titolo è riservato all’indicazione dei principi generali;
– Il II^ titolo norma i rapporti con il cliente e la parte assistita;
– Il III^ titolo è riservato ai rapporti tra colleghi;
– Il IV^ titolo norma i doveri del difensore nel processo;
– Il V^ titolo norma i rapporti del difensore con i terzi e le controparti;
– Il VI^ titolo concerne i rapporti dell’avvocato con le istituzioni forensi;
– Il VII^ titolo riguarda la disposizione finale.
La lettura di insieme del nuovo codice deontologico tratteggia un professionista, a mio avviso, libero ed autonomo, corretto e preparato con un rapporto più diretto, assolutamente trasparente e aggiornato con il cliente e con gli atri protagonisti del processo (la mia analisi ha un profilo prettamente penalistico).
Il professionista potrà pattuire il compenso con il proprio assistito fin dal inizio del rapporto professionale (basato sulla fiducia) e dovrà costantemente informare il cliente della prevedibile durata del processo, dovrà fornire un preventivo scritto se richiesto, dovrà astenersi da intraprendere iniziative difensive gravose ed inutili (o, meglio, che appiano tali ancora prima di essere attuate, direi), dovrà comunicare gli estremi della propria polizza assicurativa ed illustrare la possibilità per l’assistito di chiedere ed ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
E’ reintrodotto il divieto del patto di quota lite (il difensore non potrà prevedere con l’assistito un pagamento che consiste in tutto o in parte in una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa) nonché confermato il divieto di accaparramento della clientela a mezzo di agenzie o procacciatori di affari o con modi non conformi a correttezza.
Interessante è anche l’aggiornamento della disciplina della pubblicità dell’avvocato che deve consistere sempre in una informazione corretta e veritiera con il divieto di qualsivoglia comparazione con altri professionisti e la spendita del nome di clienti “illustri”.
Centrale – a mio avviso e preso atto dell’attività del sottoscritto – l’art. 55 del Codice che disciplina alcuni importanti aspetti delle indagini investigative difensive (come il divieto di consegnare il verbale delle dichiarazioni alla persona che le ha rilasciate al difensore e l’opportunità della registrazione vocale delle predette dichiarazioni verbalizzate).
Sicuramente, la maggiore novità riguarda direttamente i difensori ed è strettamente connessa al principio di legalità.
Infatti, il nuovo codice deontologico forense prevede la tipizzazione degli illeciti disciplinari nonché l’indicazione delle relative sanzioni ( che sono l’avvertimento, la censura, la sospensione e nei casi più gravi la radiazione) con la previsione, altresì, delle eventuali attenuanti ed aggravanti della sanzione medesima che potrà oscillare all’interno di un range previsto per ogni illecito.
Il principio è del tutto innovativo poiché precedentemente il codice deontologico degli avvocati non prevedeva le singole condotte disciplinarmente rilevanti ma vigeva il principio secondo il quale “…il comportamento illecito del professionista (…) non consiste esclusivamente in condotte contrarie a prescrizioni di legge civile o penale e neppure si esaurisce nelle ipotesi individuate dal codice deontologico approvato dal CNF potendo essere sanzionati disciplinarmente in quanto contrari alla deontologia professionale anche comportamenti atipici…” (Cassazione Sezioni Unite, 7 febbraio 2006 n. 2509 da Guida al diritto n. 2 del 3 gennaio 2015)
Dunque, diverse le novità rispetto alla passata disciplina (ed è interessante notare che il Consiglio Nazionale Forense – o C.N.F. – abbia previsto un’apposita scheda di presentazione per la stampa con l’indicazione schematica dei nuovi principi ispiratori del codice deontologico) sebbene, come detto, la più rilevante riguardi direttamente i difensori e la valutazione delle eventuali condotte rilevanti sul piano disciplinare con:
– L’introduzione della tipicità degli illeciti disciplinari (o deontologici) previsti per i difensori;
– L’indicazione nei singoli articoli delle sanzioni previste per la violazione delle condotte disciplinari come codificate negli articoli medesimi con la possibilità di un aggravamento o alleggerimento delle sanzioni stesse (come accade per le circostanze aggravanti o attenuanti previste dal Codice penale).
In altre parole, il nuovo codice deontologico forense si presenta sotto questo aspetto come il codice penale (sebbene la relazione al codice deontologico redatta dal CNF specifichi che il principio della tipizzazione dell’illecito deve essere applicato “….per quanto possibile…”) ispirato, appunto, al massimo grado del principio di legalità (principio costituzionalmente protetto nonché garanzia dell’effettivo esercizio del diritto di difesa e baluardo contro l’arbitrio dell’Autorità Giudiziaria) per il quale l’illecito deve essere formalizzato nel codice in tutti i suoi elementi ed allo stesso deve essere collegata una pena specifica.
In relazione alla pena, inoltre, il nuovo codice deontologico prevede, come detto, l’indicazione della sanzione prevista per ogni fattispecie con la previsione di una effettiva flessibilità della risposta sanzionatoria che potrà essere aumentata o diminuita a seconda della gravità dell’illecito disciplinare.
Il rispetto del codice deontologico forense – e tanto più di questa sua ultima versione che è Legge a tutti gli effetti – garantisce la correttezza dell’operato del difensore con tutti i soggetti con i quali lo stesso si relaziona nello svolgimento della sua professione (clienti, colleghi, Magistrati) e, in primis, tutela il difensore medesimo nell’esercizio del suo nobilissimo e delicatissimo (oltre che spesso assai complesso) compito.
Per troppo tempo ed anche attualmente la figura del difensore – al di là di una satira che è assolutamente legittima per tutte le categorie professionali ma che satira deve rimanere e non forma mentis e luogo comune superficialmente condiviso dai più – è stata associata a quella del soggetto a cui ci si rivolgere per raggirare la legge, mentire, farla franca in barba al sistema, sempre pronto a chiedere denaro e – quando va bene – incline a lavorare il meno possibile ed informare l’interessato sempre solo parzialmente (e davvero tantissime volte il cliente che per la prima volta viene ricevuto si lagna sistematicamente dell’operato del precedente collega rimproverandolo di essersi fatto pagare e “di non aver fatto nulla” se non addirittura di essere in combutta con la controparte pubblica o privata che sia!).
Ovviamente, ogni generalizzazione diviene di per sé un approccio superficiale e, semmai, è lecito osservare che, come per ogni categoria professionale, è possibile anche per quella forense imbattersi in ogni tipologia di individuo dal momento che – a priori – la “patente” di avvocato non può, purtroppo, sempre garantire correttezza, onestà, competenza, trasparenza ed efficacia.
Sicuramente, tali qualità – che rappresentano una garanzia per la difesa della legalità, e quindi di ogni cittadino, in ogni società – dovrebbero essere i principi ispiratori della condotta professionale di ogni avvocato e, giustamente, il Consiglio Nazionale Forense ha inteso porle alla base del nuovo codice deontologico forense vincolante per ogni avvocato.
(articolo redatto dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ogni diritto riservato)
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