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Trattiamo qui alcuni brevi ma importanti cenni di un nuovo istituto introdotto dal D. L. 92/2014 (cd. Decreto carceri, oggi convertito in legge) che prevede uno specifico rimedio risarcitorio in favore dei detenuti e internati vittime del sovraffollamento carcerario.
Tale istituto si inserisce nel processo di adeguamento del nostro ordinamento interno alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’Uomo, meglio conosciuta come Sentenza Torreggiani (Cedu, Sezione II, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri/Italia).
Con la citata Sentenza, la Corte europea certificava il malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano accertando, nei casi esaminati, la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – per cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” – a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si erano trovati.

Tra le statuizioni dettate con la Sentenza Torreggiani, la Corte di Strasburgo prescriveva all’Italia di dotarsi – entro un anno dalla definitività della sentenza – di specifici strumenti giurisdizionali di natura preventiva e compensativa del danno da sovraffollamento carcerario e, dunque, di un iter giurisdizionale (ovvero in contraddittorio tra le parti avanti ad un Giudice terzo) adendo il quale il ricorrente/detenuto potesse presentare un reclamo/ricorso e – nel caso ve ne fossero i presupposti e le condizioni – potesse vedersi riconosciuto un ristoro adeguato dei danni eventualmente patiti a causa delle condizioni di detenzione contrarie ai principi sovranazionali della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Tale strumento giurisdizionale teso a riconoscere il risarcimento per le violazioni dei principi sovranazionali in tema di trattamento penitenziario, è stato introdotto nel nostro ordinamento con la previsione – ad opera del D.L. n. 92/2014 – di un articolo all’uopo dedicato – l’art. 35 terinserito nella Legge 26 luglio 1975 n. 354 meglio conosciuta come “ordinamento penitenziario”.
Attraverso il citato articolo vengono dunque previsti ed introdotti nel nostro ordinamento delle azioni legali a favore di detenuti e internati volti alla riparazione delle sofferenze da questi patite in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (Cedu).

Ad esempio – caso emblematico del nostro sistema penitenziario afflitto dalla presenza di un numero di detenuti assolutamente superiore alla capienza ed allo stato delle strutture –  può integrare un trattamento inumano e degradante – e, dunque, in violazione del richiamato art. 3 – la mancanza di spazio sufficiente all’interno delle celle, aggravato magari dalla mancanza di acqua calda, di illuminazione e di ricambio dell’aria.

La disciplina nel dettaglio
Il nuovo art. 35 ter dell’ordinamento penitenziario prevede che il risarcimento possa essere chiesto da coloro che abbiano subito un pregiudizio grave ed attuale derivante dalla detenzione, per un periodo di tempo non inferiore a quindici giorni, in condizioni disumane e degradanti che violino l’art. 3 Cedu.
La richiesta di risarcimento può essere presentata personalmente o tramite il difensore munito di procura speciale con apposita istanza al magistrato di sorveglianza.
Il risarcimento consiste nella riduzione della pena ancora da espiare pari al 10 per cento del periodo detentivo trascorso in condizioni inumane (ovvero un giorno di sconto per ogni 10 di detenzione sofferta in condizioni non conformi alla norma convenzionale).
Il ristoro per il danno subito a causa delle condizioni detentive può essere, altresì, di natura pecuniaria, pari ad Euro 8,00 per ogni giorno trascorso in carcere in condizioni contrarie all’art. 3 Cedu, nel caso in cui:
• il residuo di pena da espiare non permetta l’attuazione integrale della citata detrazione percentuale (perché, ad esempio, sono più numerosi i giorni da “detrarre” a titolo di risarcimento che quelli effettivi residui da scontare);
• il periodo detentivo trascorso in violazione della norma comunitaria sia stato inferiore a 15 giorni.

Analogo risarcimento di 8,00 euro al giorno è previsto in favore di chi abbia subito il pregiudizio di cui all’art. 3 Cedu in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena ovvero di colui che abbia ormai terminato di scontare la pena detentiva in carcere.
In tale ultima ipotesi il rimedio risarcitorio va azionato entro 6 mesi (dalla cessazione della custodia o della detenzione in carcere) davanti al tribunale civile del distretto di residenza, che decide in composizione monocratica in camera di consiglio con decreto non reclamabile.

(Articolo redatto dalla Dott.ssa Meda dello Studio legale de Lalla. Ne è vietata la duplicazione. Tutti i diritti riservati).

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