L'utilizzo nel processo penale della Prova video. Sia in fase di indagini preliminari che nel corso del dibattimento.
Commentiamo in questa sede un recente intervento della Corte di Cassazione, Sezione IV, Sentenza n. 307/2015 del 12.02.2015 dep. il 29.04.2015, che è tornata a pronunciarsi sul tema dell’individuazione del momento consumativo del delitto di furto, facendo applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 52117/14 del 17.07.2014, dep. il 16.12.2014) in materia di furto nel supermercato.
Ricordiamo brevemente che la Suprema Corte a Sezioni Unite era stata chiamata a redimere un contrasto sviluppatosi in giurisprudenza in ordine alla questione della qualificazione giuridica della condotta furtiva consistente nel prelievo di merce dai banchi di un supermercato e nel successivo occultamento della refurtiva all’atto del passaggio davanti al cassiere, quando tutta l’azione delittuosa si fosse svolta sotto il controllo costante del personale addetto alla vigilanza, intervenuto solo dopo che il soggetto attivo avesse superato la barriera delle casse.
In sostanza, ciò che era controverso, ai fini dell’individuazione del momento consumativo del furto (e, quindi, della qualificazione del reato di furto come tentato o meno con le collegate importanti oscillazioni della pena astrattamente applicabile), era il ruolo del monitoraggio dell’azione furtiva da parte della persona offesa, degli addetti alla sorveglianza o delle forze dell’ordine.
Ci si chiedeva, infatti, se la costante osservazione dell’agente durante l’azione nel supermercato e il contatto con lo stesso da parte dei vigilantes appena al di là delle casse potesse far venire meno la consumazione del reato di furto dal momento che – di fatto – mai l’agente aveva avuto la reale disponibilità della merce sottratta proprio perché sempre sotto la sorveglianza del personale di sicurezza
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale non avrebbe rilevato in alcun modo, ai fini della consumazione del reato, il costante controllo del personale del supermercato, incaricato della sorveglianza.
Secondo l’indirizzo in questione il requisito della sottrazione e quello dell’impossessamento (elementi costitutivi del furto, secondo la lettera dell’art. 624 c.p.) coincidono, per cui il reato si consuma nel momento in cui l’agente sottrae la cosa al proprietario, realizzandosi contemporaneamente anche l’impossessamento (da intendersi come mera disponibilità materiale del bene sottratto). Nell’ipotesi di furto all’interno del supermercato l’impossessamento si realizza, dunque, per effetto del prelievo della merce, senza il successivo pagamento dovuto all’atto del passaggio davanti alla cassa, a nulla rilevando la circostanza che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo dei sorveglianti.
Nell’ambito di tale rigido indirizzo, si è, peraltro, ritenuto che il momento consumativo del delitto di furto
“è ravvisabile all’atto dell’apprensione della merce, che si realizza senza dubbio quando l’agente abbia superato la barriera delle casse senza pagare il prezzo, ma – a ben vedere – anche prima, allorché la merce venga dall’agente nascosta in tasca o nella borsa, in modo da predisporre le condizioni per passare dalla cassa senza pagare, comportando la condotta sopra illustrata, oltre all’amotio l’impossessamento della res (non importa se per lungo tempo o per pochi secondi) e, dunque, integrando, in presenza del relativo elemento psicologico, gli elementi costitutivi del delitto di furto” (ex plurimis Cass. Pen. Sez. V n. 7086 del 19.01.2011; Cass. Pen. Sez. V n. 37242 del 13.07.2010).
Secondo l’orientamento opposto, invece, la sorveglianza continua dell’azione criminosa da parte della persona offesa (o dei suoi dipendenti, come il personale di vigilanza) impedisce la consumazione del reato di furto, in quanto la refurtiva, appresa e occultata, permane nella sfera di vigilanza e controllo diretto dell’offeso, il quale può in ogni momento interrompere la condotta delittuosa (ex plurimis Cass. Pen. Sez. V n. 11592 del 28.01.2010; Cass. Pen. Sez. IV n. 38534 del 22.09.2010). In tal caso si configurerebbe solamente la fattispecie di furto tentato, dal momento che non può dirsi realizzato alcun effettivo impossessamento da parte dell’agente.
Tale assunto poggia le proprie fondamenta sulla distinzione tra i requisiti di sottrazione e impossessamento, dove per sottrazione deve intendersi la privazione materiale della cosa, mentre l’impossessamento rappresenta l’acquisizione della piena e autonoma disponibilità materiale della cosa sottratta.
Pertanto, valorizzando questa distinzione, non vi sarebbe alcuno spossessamento, da intendersi come perdita di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo sulla cosa – e, quindi, non vi sarebbe alcuna consumazione del furto in essere – nel caso in cui l’agente venisse costantemente sorvegliato.
Di conseguenza, il furto sarebbe configurabile unicamente a titolo di tentativo.
Come osservato dalle Sezioni Unite l’indirizzo in questione
“si fonda sulla considerazione che la concomitante osservazione da parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza, dell’avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la fattispecie tipizzata – dell’impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui – in quanto l’agente non ha conseguito l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e controllo diretto del soggetto passivo, la cui “signoria sulla cosa” non è stata eliminata”.
Ebbene, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover comporre il contrasto giurisprudenziale riaffermando tale secondo orientamento, nel senso della configurazione, in siffatte ipotesi, del solo tentativo di furto, come si evince dal seguente principio di diritto enunciato dalla Corte:
“Il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell’ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l’agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo“.
Ciò posto, torniamo a prendere in considerazione la Sentenza in nota, che ha fatto applicazione del principio di diritto sopra enunciato, riconoscendone una più ampia portata (ovvero anche al di fuori delle ipotesi di furto nel supermercato).
Nel caso di specie, sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, il Signor S.M. era stato dichiarato in primo grado colpevole del delitto di furto consumato di un navigatore satellitare e di una bottiglia di profumo che aveva sottratto da una vettura parcheggiata sulla pubblica via, dopo aver forzato lo sportello dell’automobile.
I carabinieri, che casualmente transitavano nei pressi proprio in quel momento,avevano scorto il S. soffermarsi nei pressi di un’autovettura, armeggiare sullo sportello, introdursi nel veicolo e poi uscirne, allontanandosi a passo spedito.
Dopo aver assistito alla condotta del S., i Carabinieri lo avevo raggiunto e fermato, constatando che il medesimo era in possesso di una grossa tenaglia e degli oggetti di cui sopra appena sottratti.
La Corte d’Appello confermava integralmente la sentenza di primo grado, ravvisando la responsabilità dell’imputato a titolo di furto consumato.
Il difensore dell’imputato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento del reato nella forma tentata. Infatti, osservava la difesa, “il fatto si è svolto per intero sotto la costante e diretta vigilanza dei Carabinieri; ciò aveva impedito che si realizzasse un autonomo ed effettivo impossessamento della refurtiva, rimasta sempre nella diretta sfera di controllo dell’offeso o di altri soggetti incaricati del controllo; è illogico ritenere che si sia verificato l’impossessamento non essendo gli agenti riusciti a fermare subito il S., nonostante non lo abbiano mai perso di vista, dal momento che è pacifico che i Carabinieri sono intervenuti immediatamente interrompendo l’azione criminosa nel tempo tecnico necessario per raggiungere il prevenuto ed impedendo che costui si impossessasse effettivamente dei beni in questione”.
Ebbene, nel decidere il caso di specie, la Suprema Corte, richiamando la citata pronuncia delle Sezioni Unite, ha ritenuto che la condotta dell’imputato dovesse essere qualificata in termini di tentativo.
Mancherebbe, infatti, il requisito dell’impossessamento (come richiamato espressamente all’art 624 c.p.), il quale, come stabilito dalle Sezioni Unite, comporta “il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente. Sicchè, laddove tale impossessamento è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo”.
Alla luce di tali affermazioni, secondo la Corte Suprema, nel caso in esame la sorveglianza dei Carabinieri ha impedito che le cose sottratte entrassero nella piena ed autonoma disponibilità del soggetto agente: “risulta evidente come nella specie non potesse ravvisarsi il reato consumato, dal momento che la sentenza qui impugnata ha riferito (…) qual’ è stato lo sviluppo dell’azione, tutta direttamente osservata dagli agenti, immediatamente intervenuti a bloccare il S.; non rileva che quest’ultimo sia stato raggiunto “dopo che era riuscito ad allontanarsi in possesso delle cose asportate dall’autovettura” in quanto anche questo frammento dell’azione non ha comportato il perfezionamento dell’azione essendo stato seguito in diretta dagli agenti; il fatto che il medesimo non sia stato bloccato mentre era ancora intento ad armeggiare sullo sportello dell’auto o a introdurvisi dentro, ma solo mentre si stava allontanando, non significa che vi sia stato impossessamento di quanto sottratto”.
Pertanto, la Corte Suprema, riqualificando il fatto in termini di delitto tentato, ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata alla Corte d’Appello, perché determinasse una pena proporzionata alla condotta dell’imputato così come riqualificata (nell’ipotesi del tentativo è prevista, infatti, la diminuzione della pena da 1/3 a 2/3).
In conclusione, si può osservare come la Sentenza in nota abbia rilevanza sia dal punto di vista pratico in riferimento all’opportuna applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite anche al di fuori delle ipotesi di furto nel supermercato, sia teorico (ma anche in questo caso con importanti effetti pratici) in riferimento alla corretta valorizzazione e interpretazione degli elementi costitutivi del delitto di furto (lo ricordiamo: uno dei reati più frequentemente commessi), ovvero la sottrazione e l’impossessamento e, di conseguenza, al momento consumativo del reato (con inevitabili e significative ripercussioni sul trattamento sanzionatorio effettivamente applicabile).
(articolo redatto dalla Dott.ssa Silvia Meda dello Studio dell’Avv. de Lalla. Ogni diritto riservato).
Questo articolo ha 4 commenti
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questione più dibattuta di quanto un osservatore esterno possa pensare! in buona sostanza, il discrimine indicatore è costituito dall’impossessamento
…assolutamente si….
la continua sorveglianza della vigilanza dilata i tempi del tentativo.
Solo dopo l’uscita dalle casse l’agente può astrattamente disporre in maniera del tutto autonoma del bene sottratto.
Avv. GM de Lalla
Decisamente un fantasticoarticolo. Leggo con interesse il blog https://www.studiolegaledelalla.it. Avanti
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La ringrazio moltissimo.
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Avv. GM de Lalla