Il concetto medico di capacità di intendere e di volere si discosta da quello prettamente Giuridico. La Corte di cassazione precisa le differenze tra le due interpretazioni e la necessità di una perizia anche a fronte del Giudice peritum peritorum.
Il legislatore nazionale è intervenuto più volte negli ultimi anni per assicurare una maggiore tutela alle vittime di reato e, in particolare, a quelle di reati di violenza domestica e violenza di genere.
Dopo la Legge n. 66 del 1996 “Norme contro la violenza sessuale” e la Legge n. 38 del 2009, “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” che hanno modificato radicalmente il quadro normativo di riferimento, ecco di seguito la Legislazione successiva (anche di matrice trans-nazionale) sulla stessa materia:
– Legge 15 ottobre 2013, n. 119, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”;
– Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, “Attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI”
– Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, “Attuazione della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato”;
– Convenzione dell’ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (detta CEDAW), del 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 14 marzo 1985, n. 132;
– Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia con Legge 27 giugno 2013, n. 77;
– Direttiva 2012/29/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, attuata col citato Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212.
– Sentenza della Corte europea del 2 marzo 2017 (Talpis c. Italia), con cui lo Stato italiano è stato condannato «[…] non avendo agito prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio» che – benché non annoverabile tra gli atti normativi propriamente detti, ha senz’altro contribuito affinché il Legislatore del 2019 si determinasse ad approvare la Legge in esame volta proprio ad eliminare/prevenire evenienze come quelle di cui alla Sentenza Talpis.
La legge 19 luglio 2019, n. 69, prevede numerose modifiche al codice penale, al codice di rito e ad altre disposizioni, con l’obiettivo, esplicitato nel titolo, di assicurare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere inserendosi a pieno titolo nel ricordato quadro normativo e giurisprudenziale, come risulta dall’esame dei lavori preparatori e dalla relazione illustrativa al disegno di legge presentato dal Governo il 17 dicembre 2017, composto da soli 5 articoli, i cui articoli da 1 a 4 corrispondono esattamente alle disposizioni approvate (con la sola aggiunta, nel catalogo dei reati richiamati, degli artt. 583-quinques e 612-ter c.p. , inseriti nel codice penale dalla stessa legge):
– Art. 1, Obbligo di riferire la notizia del reato;
– Art. 2, Assunzione di informazioni
– Art. 3 Atti diretti e atti delegati
– Art. 5 (art. 4 del disegno di legge) Formazione degli operatori di polizia.
Nel corso dei lavori parlamentari sono stati poi inseriti numerosi articoli che si pongono sulla medesima direttrice di maggior tutela della vittima:
– modifiche al codice penale:creando nuove fattispecie di reato (artt. 4, 7, 10, 12), modificando la disciplina della sospensione condizionale della pena (art. 6) e sulla procedibilità (art. art. 9, co. 4, lett. b), incrementando le pene per determinati reati (art. 9, co. 1, 2 e 3; art. 13), modificando la disciplina delle aggravanti e attenuanti (art. 11);
– modifiche al codice di procedura penale e alle relative disposizioni di attuazione, prevedendo la trasmissione di atti al giudice civile (art. 14), comunicazioni alla persona offesa (art. 15);
– modifiche all’ordinamento penitenziario, prevedendo corsi per gli autori di reati (art. 17);
– modifiche al d.lgs. 159/2011, cd. codice antimafia (art. 9, co. 4 e 5);
– inserendo disposizioni a favore degli orfani di crimini domestici (art. 8).
La ratio della legge è ben espressa nella relazione di accompagnamento al disegno di legge per cui: “le […]esigenze di completezza della tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, dunque, sono alla base degli interventi di modifica alle norme del codice di procedura penale.”.
In particolare, si legge nella relazione:
“Il disegno di legge recante “Modifiche al Codice di procedura penale: disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” contiene interventi sul codice di procedura penale accomunati dall’esigenza di evitare che eventuali stasi, nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari, possano pregiudicare la tempestività di interventi, cautelari o di prevenzione, a tutela della vittima dei reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e di lesioni aggravate in quanto commesse in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza”.
Gli obiettivi sono quelli di garantire l’immediata instaurazione e progressione del procedimento penale al fine di pervenire, ove necessario, nel più breve tempo possibile all’adozione di provvedimenti “protettivi o di non avvicinamento” e quello di impedire che ingiustificabili stasi procedimentali possano porre, ulteriormente, in pericolo la vita e l’incolumità fisica delle vittime di violenza domestica e di genere.
Al fine di predisporre un’adeguata tutela alle vittime dei reati in argomento e di dare attuazione alla direttiva 2012/29/UE, già il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, il Legislatore è intervenuto sulle modalità di assunzione delle informazioni delle persone in condizioni di particolare vulnerabilità (concetto – quello di particolare vulnerabilità – di cui il Legislatore ha fornito la nozione all’articolo 90-quater c.p.p.) nel caso in cui il pubblico ministero ritenga utile o necessario, ai fini di indagine, l’audizione medesima.
Con l’intervento normativo si intendono evitare vuoti di tutela e garantire alla persona offesa dai reati sopraindicati, indipendentemente dalla riconducibilità alla nozione di cui all’articolo 90-quater c.p.p. (ovvero anche se le asserite vittime/denunciati NON sono giuridicamente sussumibili sotto la categoria di soggetti particolarmente vulnerabili), di essere sentita nel più breve tempo, con dichiarazioni che rappresenteranno il fulcro centrale del procedimento e elemento di valutazione imprescindibile per l’autorità giudiziaria chiamata, tra l’altro, ad attivare eventuali strumenti cautelari, ove non ostino primarie esigenze investigative o di tutela della medesima vittima.
Le predette esigenze di completezza della tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, dunque, sono alla base degli interventi adottati.
Secondo la Convenzione di Istanbul:
– «con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata»;
– «l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima»
Nel nostro ordinamento la nozione di «violenza domestica», è offerta dall’art. 3, co. 1, d.l. 93/2013, conv. dalla l. 113/2013, sulla scia (appunto) di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul : «Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».
Ancora oggi non sempre è chiara la differenza tra violenza e conflittualità (o lite in famiglia), termine quest’ultimo non di rado richiamato in modo non corretto.
Occorre sul punto specificare che:
“La conflittualità presuppone sempre una situazione interpersonale basata su posizioni di forza (economica, sociale, relazionale, culturale) simmetriche. L’assenza di simmetria determina uno squilibrio di relazione e quindi, in presenza di violenza, non si può parlare di conflitto.
E’ fondamentale, quindi, non confondere “il conflitto” con l’azione/reazione personale anche giudiziaria della parte che rivendica reazione e tutela giudiziaria che si trovi in una situazione di squilibrio”.
Il Codice Rosso è stato approvato. Cosa cambierà?
Riassunto brevemente l’iter della Legge 69/2019 e soprattutto il substrato socio/giuridico/culturale nel quale la stessa ha trovato ragione e presupposti, vediamo i maggiori riflessi pratici che il CODICE ROSSO comporterà sia dal punto di vista sostanziale che procedurale.
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Il 17 luglio 2019, il Senato ha approvato il disegno di legge n. 1200 che introduce il c.d. “CODICE ROSSO” che entrava in vigore l’8 agosto 2019 a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge 69/2019.
La riforma annuncia venti di cambiamento sia sul versante del diritto penale sostanziale che sul versante processuale.
Tra le diverse novità introdotte, vi è la previsione di una corsia privilegiata per le indagini, mentre le pene diverranno più severe per i reati commessi in ambito familiare o di convivenza, oltre che per i reati di violenza sessuale e atti persecutori (stalking).
E’ stata prevista, altresì, l’introduzione di nuove figure di reato che puniranno i fenomeni del c.d. revenge porn (ovvero la pubblicazione in rete di immagini e video sessualmente espliciti di cui è protagonista l’ex compagno/campagna dell’agente), dello sfregio permanente al viso (noti i casi di lancio dell’acido successivamente al termine di una relazione sentimentale non accettato dall’offender), del matrimonio forzato.
Più in dettaglio il disegno di legge in parola, che si compone di 21 articoli, espande la casistica nella quale la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente (anche in forma orale) dalle Forze dell’Ordine al Pubblico Ministero (e, come visto, uno degli obbiettivi della novella Legislativa è proprio quello di diminuire drasticamente la stati del procedimento anche e soprattutto durante la fase delle indagini preliminari evitando “tempi morti” in difetto di una reazione dell’ordinamento al cospetto di situazioni di pericolo imminente per la vittima del reato). Da rilevare che – prima dell’entrata in vigore della Legge 69/2019, la comunicazione anche in forma orale al PM era prevista allorché le Forze dell’Ordine procedessero per reati di “particolare allarme sociale” (mutuando le parole del Legislatore) quali: la guerra civile, la strage, l’associazione di tipo mafioso, l’omicidio.
In seguito all’entrata in vigore del CODICE ROSSO, la comunicazione in forma orale al PM sarà possibile anche per altri reati connessi al genere della vittima (e, direi, anche alla luce della relazione tra questa e l’agente) ed in particolare quelli di:
- maltrattamenti contro familiari o conviventi;
- violenza sessuale;
- atti sessuali con minorenni;
- corruzione di minorenne;
- violenza sessuale di gruppo;
- atti persecutori;
- revenge porn;
- deformazione dell’aspetto di una persona mediante lesioni permanenti al viso.
Inoltre, per tali delitti, oltre alla immediata comunicazione al PM da parte delle Forze dell’Ordine, è previsto dal CODICE ROSSO che il PM assuma le informazioni dalla persona offesa o da chi presenterà la denuncia entro il termine di TRE giorni dalla iscrizione della notizia di reato, salvo casi del tutto eccezionali.
Inoltre, la Polizia Giudiziaria dovrà procedere SENZA RITARDO al compimento di atti di indagine delegati dal Pubblico Ministero.
La novella legislativa prevede, altresì, che la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, e il Corpo di Polizia Penitenziaria dovranno attivare entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, presso i rispettivi istituti di formazione, specifici corsi destinati al personale in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati in questione (ovvero realizzando quel binomio di competenza e indicazione normativa sul quale si basa la celerità di applicazione degli istituti previsti dalla normativa in analisi).
In pratica, come accennato, il CODICE ROSSO istituisce e prevede una corsia privilegiata:
- le Forze dell’Ordine (appositamente preparate ed istruite) dovranno attivarsi con urgenza e riferire immediatamente la notizia di reato denunciata dalla persona offesa alla competente Procura della Repubblica;
- il PM dovrà escutere la supposta vittima del reato nel più breve tempo possibile (TRE giorni) al fine di verificare sia l’esistenza effettiva di indizi di reato sia l’eventuale necessaria applicazione di presidi di immediata tutela della vittima (come, ad esempio, misure cautelari nei confronti del denunciato). Bisogna rilevare, tuttavia, che l’esigenza del Legislatore così come si evince dalla normativa, sembra essere assolutamente sbilanciata sul punto (ovvero la necessità di sentire la vittima entro tre giorni) più in ragione di una eventuale applicazione di misura cautelare che per appurare l’esistenza di indizi a carico.
Un ulteriore profilo di novità, per coloro che saranno condannati per i delitti in parola, ha ad oggetto la disciplina della sospensione condizionale della pena.
Con l’entrata in vigore del CODICE ROSSO la sospensione condizionale sarà ulteriormente subordinata, per coloro che subiranno una condanna per i delitti di cui sopra, alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di assistenza psicologica (e, nel caso che qui interessa, si tratterà evidentemente di percorsi psicologici dedicati a chi ha messo in pratica agiti violenti nei confronti di vittime a cui erano per lo più – ma non solo – legati sentimentalmente). Gli oneri derivanti dalla suddetta partecipazione saranno “naturalmente” a carico del condannato. Si tratta – a parere di chi scrive – di una novità incisiva e, direi, inedita nel nostro ordinamento. Ed invero, il Legislatore prende atto della necessità di intervenire non solo reprimendo condotte criminali ma anche promuovendo la prevenzione a lungo termine non già solo nella fase esecutiva della pena ma anche nella fase di merito. Inoltre, la modifica legislativa di cui sopra è il segnale inequivocabile che il Legislatore ha preso atto dell’utilità di interventi multidisciplinari in ambito psicologico già nella fase di accertamento del merito nonché della natura multiforme e della complessità anche metagiuridica delle condotte criminali che coinvolgo soggetti legati da rapporti interpersonali non episodici
Il Legislatore del CODICE ROSSO ha inoltre previsto un’altra innovazione sul fronte delle misure ante delictum volte ad impedire l’esecuzione del reato (e non già al fine di punirne la realizzazione) con la disposizione che modificherà gli artt. 4 e 8 del DLgs 159/2011 (c.d. codice antimafia), sancendo la possibilità di applicare le misure di prevenzione anche agli autori di maltrattamenti contro familiari (come è già possibile applicare dal 2017 misure di prevenzione agli autori di atti persecutori).
Sul versante del diritto penale sostanziale, come accennato, il CODICE ROSSO prevede l’inasprimento delle pene per tutti quei reati espressamente elencati dal Legislatore (vedi sopra) tutti caratterizzati da una forma di violenza di genere.
Per il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, punito prima della riforma con la reclusione da 2 a 6 anni, la pena sarà innalzata da 3 a 7 anni. Sono, inoltre, previste circostanze aggravanti se il reato sarà commesso in presenza o in danno di minore, donna in stato di gravidanza o di persona disabile. Il Legislatore ha poi previsto che il minore che assisterà ai suddetti maltrattamenti (e, quindi, anche qualora lo stesso non sia direttamente oggetto dei maltrattamenti familiari) dovrà considerarsi a tutti gli effetti persona offesa dal reato con la conseguente legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale vittima indiretta dei maltrattamenti (il minore sarà invero considerato vittima diretta di violenza assistita).
La cornice edittale della pena prevista per delitto di atti persecutori è aumentata rispetto all’attuale previsione (che prevede una pena da 6 mesi a 5 anni di reclusione) e con il CODICE ROSSO la pena per il reato di stalking potrà variare tra un mino di 1 anno di reclusione ed un massimo di 6 anni e 6 mesi.
Analogo discorso per le pene previste per i reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne (la cui pena sarà ulteriormente aumentata se il compimento di tali atti avverrà in cambio di denaro o altra utilità anche solo promessi) e violenza sessuale di gruppo che subiranno un innalzamento sia nel minimo che nel massimo edittale (di almeno un anno).
Anche gli aumenti di pena previsti dalle circostanze aggravanti di cui all’articolo 609 ter (applicabili ai delitti di violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo) sono inaspriti in maniera incisiva dal Legislatore.
Il CODICE ROSSO, inoltre, introduce nel nostro ordinamento nuove fattispecie di reato sanzionando specifiche condotte ormai tristemente note alla cronaca che precedentemente rientravano nell’alveo di ipotesi di reato che, non essendo specifiche, non assicuravano una pronta ed energica tutela della vittima (oltre che una proporzionata sanzione per coloro che le commettevano).
Il nuovo art. 387 bis c.p. (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) punirà con la reclusione da 6 mesi a 3 anni l’autore della violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dall’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare.
Un altro inedito delitto verrà introdotto nel codice penale all’articolo 558 bis c.p., la cui fattispecie avrà ad oggetto la costrizione o l’induzione al matrimonio. In particolare, sarà punito, con la reclusione da 1 a 5 anni, chi, con violenza o minaccia, costringerà una persona a contrarre matrimonio o unione civile. La stessa pena si applicherà nel caso in cui l’autore del reato induca a contrarre matrimonio o unione civile una persona, approfittando delle condizioni di vulnerabilità psicofisica di quest’ultima.
Vi è inoltre la nuova previsione del c.d. Revenge porn che sarà disciplinato dall’art. 612 ter del codice penale (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti), il quale sanzionerà coloro che diffonderanno immagini o video privati sessualmente espliciti senza il consenso dei soggetti rappresentati. La pena base è quella della reclusione da 1 a 6 anni, aumentata nel caso in cui l’autore del reato sia il coniuge, anche separato o divorziato, o da persona legata in passato da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti saranno commessi attraverso l’utilizzo di strumenti informatici o telematici.
Il fine del Legislatore con tale previsione è quello di scoraggiare la diffusione del materiale sessualmente esplicito a scopo di rivalsa o vendetta nei confronti dell’ex partner. La norma è quanto mai opportuna anche preso atto dei numerosi casi in cui si verificano tali odiose condotte (anche da parte di soggetti minori in danno di coetanei) preso atto delle conseguenze drammatiche per la vittima che vive un vero e proprio dramma colpita nella sua sfera più intima e riservata. Peraltro, è davvero noto a tutti come TUTTI posseggano uno smart phone e come la rete permetta di pubblicare assolutamente qualsiasi immagine e filmato e come una volta immessa in internet tale immagine (o video) sia pressoché visibile davvero a tutto il mondo e per sempre.
Il CODICE ROSSO introduce anche l’art. 583 quinquies c.p. (deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso), che punirà con la reclusione da 8 a 14 anni di reclusione coloro che cagioneranno lesioni personali ad altro soggetto dalle quali deriverà la deformazione o lo sfregio permanente del viso (la norma è ovviamente ispirata al terribile fenomeno delle lesioni procurate mediante il lancio di acido sul volto della persona offesa). La pena è dell’ergastolo se lo sfregio causerà la morte. Per tale figura di reato il legislatore ha, inoltre, stabilito che la condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti comporterà l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente la tutela, la curatela e l’amministrazione di sostegno.
Il CODICE ROSSO, inoltre, prevede degli obblighi di comunicazione alla persona offesa, al suo difensore e al Giudice civile nell’ottica di realizzare il miglior coordinamento dal punto di vista giudiziario e di dare la più ampia possibilità di esercizio del diritti di difesa alla vittima del reato (esercizio del diritto di difesa che, ovviamente, passa anche e soprattutto per la più completa informazione circa lo stato e lo spiegarsi del procedimento penale).
Il testo, infatti, impone la comunicazione alla persona offesa ed al di lei difensore dei provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura cautelare, o della misura di sicurezza detentiva e questo affinché la persona offesa sia al corrente della libertà di movimento del denunciato (peraltro, nel caso dei reati contro la persona il codice di procedura penale già prevedeva che eventuali richieste dell’indagato do modifica della misura cautelare devono essere notificate anche alla p.o. che per mezzo del difensore può far pervenire memorie ed osservazioni).
Nel caso in cui risultino pendenti procedimenti civili di separazione dei coniugi o procedimenti relativi a figli minorenni o alla responsabilità genitoriale, il Giudice penale dovrà trasmettere senza ritardo al Giudice civile copia dei provvedimenti adottati in relazione a procedimenti penali per delitti di violenza domestica o di genere (ordinanze, avvisi di conclusione indagini, sentenze, provvedimenti di archiviazione e simili). Sul punto bisogna però osservare che molto spesso, anche prima della riforma in commento, nel procedimento civile confluivano provvedimenti presi a carico di una delle due parti in ambito penale. Inoltre, rimane comunque giustificato il timore che una delle due parti cerchi illegittimamente di corroborare le proprie pretese in ambito civile per mezzo di strumentali iniziative a carattere penale.
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Il CODICE ROSSO è sicuramente una novella legislativa ritenuta dai più assolutamente opportuna e utile per contrastare tutti quei reati di genere che – parrebbe – accadono sempre più spesso e assurgono quotidianamente alla ribalta della cronaca nera. Mass media, social, salotti televisivi, parerei di soggetti più o meno addetti ai lavori, iniziative nazionali ed internazionali hanno realizzato un vero e proprio “fenomeno sociale” per il quale le fasce giuridicamente deboli (definite tali poiché maggiormente esposte alla violenza) necessiterebbero di una tutela giudiziaria e legale maggiorata e più spedita al cospetto della crescente esposizione a condotte criminali messe in atto da mariti, compagni (o ex) e padri. Si sente parlare sempre più spesso di femminicidio e dello sdegno che esso suscita nel tessuto sociale (quasi che un “semplice” omicidio non sia altrettanto grave). Ebbene, il Legislatore del CODICE ROSSO ha in un certo senso cercato una risposta a questa maggiore sensibilità della società rispetto ai reati che nascono e si consumano tra le mura domestiche, in danno delle donne o dei minori.
La norma è ancora molto “giovane” ed è obbiettivamente presto per fare un bilancio. Tuttavia credo si debba partire da alcune considerazioni generale. Innanzitutto, i reati di cui si tratta sono effettivamente particolari poiché si innestano molto spesso in una situazione di vicinanza fisica e psicologica protratta nel tempo tra autore e vittima. Si consumano per un lasso di tempo solitamente NON istantaneo e trovano proprio nel legame tra offender e persona offesa (o ex legame) presupposto e ragione. Si tratta di reati che NON possono essere affrontati dal Legislatore come condotte criminali che NON hanno tali caratteristiche così marcatamente META-giuridiche. Si tenga conto anche che spesso sono coinvolti anche indirettamente minori ed anche che l’agente può (e spesso è) indifferente alla minaccia della pena ritenendo di “non avere più niente da perdere” o semplicemente perché sopraffatto dalla rabbia per un presunto torto subito (spesso, secondo lui, dalla partner) o perché progetta poi di togliersi la vita. Ed ancora, la prontezza della risposta dell’ordinamento è per lo più ciò che può bloccare le condotte criminali agite dall’agente mentre risulta a volte pericolosamente rischioso una fase di stallo del procedimento. Inoltre, statisticamente, quando una donna è vittima di un reato di genere, la maggior parte delle volte esso è perpetrato da un uomo al quale essa era o è legata sentimentalmente o, comunque, vi era tra i due una relazione interpersonale (magari vissuta diversamente dai due).
E tuttavia, molto spesso, le norme pensate dal Legislatore sull’onda dell’emozione suscitata dalla cronaca non risultano così solide e concretamente efficaci all’atto pratico né giuridicamente del tutto condivisibili.
Nel caso di specie, a parere del sottoscritto, vi sono degli aspetti del CODICE ROSSO sicuramente del tutto opportuni: la punizione del Revenge porn, la sospensione condizionale della pena subordinata alla partecipazione ad un percorso psicologico in primis. Anche la maggiore speditezza e i ristretti lassi temporali imposti al PM ed alla Polizia Giudiziaria sebbene sul punto si possa osservare che NON sempre la speditezza è sinonimo di completezza (leggi: di rispetto della presunzione di innocenza). Anche l’inasprimento della pena mi lascia perplesso perché non credo sia il metodo per ridurre davvero le condotte criminali di coloro che, il più delle volte, agiscano senza un bilancio lucido dei costi e benefici delle proprie azioni.
Come tutte le norme che introducono accertamenti sommari a carico di un soggetto (anche in fase di indagini), anche il CODICE ROSSO si presta potenzialmente ad un uso strumentale da parte delle asserite vittime che hanno indubbiamente a disposizione un mezzo potente per limitare la libertà personale della persona denunciata. Errori giudiziari difficilmente evitabili nel breve periodo preso atto del tempo assolutamente limitato che ha il PM per prendere decisioni circa i provvedimenti cautelari eventualmente da adottare.
Inoltre, dal punto di vista organizzativo, le spedite procedure sopra descritte implicano un aumento di lavoro e adempimenti considerevole per l’ufficio del PM e per la Polizia Giudiziaria di tal che è lecito domandarsi se ciò non inciderà sull’accuratezza dell’operato degli stessi senza contare che in un contesto legislativo ove un dato fenomeno (o meglio: ove la denuncia di una data condotta) è considerato urgente a prescindere per volere del Legislatore, sarà effettivamente arduo per gli operatori della Giustizia (PM e Polizia Giudiziaria) individuare le situazioni EFFETTIVAMENTE E CONCRETAMENTE urgenti con il rischio che, paradossalmente, non vengano applicati i presidi più opportuni.
Solo la pratica attuazione del CODICE ROSSO ci permetterà tra qualche tempo di valutare l’efficacia della Legge che lo ha introdotto.
(articolo redatto dall’Avv. Giuseppe de Lalla e dalla Dottoressa Debora Venturo)
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