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ASCOLTO DEL MINORE

Aspetti normativi e la migliore prassi.

1. Diritto del minore all’ascolto in caso di sospetto abuso sessuale. La normativa e le buone prassi. Le potenziali violazioni del diritto di difesa.

Lo sfruttamento e gli abusi sessuali sui minori costituiscono i reati tra i più gravemente puniti in termini di quantificazione della pena nonché implicanti una severissima riprovazione sociale anche perché essi, nella maggior parte dei casi, trovano alimento e si manifestano all’interno di una relazione familiare o parentale dove il legame profondo e radicato tra la vittima e l’offender tende a nascondere o a non riconoscere la violenza e, conseguentemente, a proteggerne l’autore.
Il peculiare scenario nel quale talvolta si verificano detti reati giustifica l’assenza di statistiche plausibili sull’attendibilità del fenomeno (la mancanza di dati non riguarda solo il nostro Paese ma tutta Europa) e ciò in quanto la notevole discrepanza esistente tra la realtà del fenomeno e il numero dei casi segnalati e perseguiti trova la sua giustificazione in una molteplicità di ragioni, a volte connesse le une alle altre:

  • in primis nella difficoltà delle giovani vittime a segnalare la violenza e denunciarne l’autore;
  • nell’assenza di efficaci strumenti volti a recidere il vincolo del silenzio familiare che impedisce l’emersione della violenza e pregiudica un efficace contrasto a questo tipo di criminalità;
  • nella mancanza di strutture di assistenza e sostegno adeguate a consentire alla stessa vittima di poter recuperare, dopo la denuncia e la condanna del colpevole e ove possibile in virtù dell’età dell’abusato, un adeguato sviluppo psicofisico e sessuale;
  • nell’assenza di norme procedurali puntuali, che consentano, dopo la denuncia, una risposta adeguata e tempestiva da parte dello Stato (sebbene la appena promulgata Legge “Codice Rosso” – a breve un articolo ad hoc – abbia in parte, almeno in via teorica, affrontato efficacemente il problema soprattutto in tema di tempestività della reazione giudiziaria).

Si deve inoltre rilevare che la previsione di un efficace programma di repressione della criminalità sessuale, che permetta di risolvere almeno alcune delle criticità evidenziate, non può essere disgiunta dall’introduzione di una serie articolata di attività di intervento e soprattutto di prevenzione che debbono poter produrre effetto prima della commissione del reato.
Per consentire una significativa “emersione” del fenomeno delle violenze sessuali a danno di persone minori di età e, più in generale, un’efficace repressione di tale tipo di criminalità, a volte organizzata, devono essere adottate misure necessarie per aiutare gli stessi minori a trovare ascolto e protezione e a crescere in contesti adeguati e competenti, attenti ai segnali di sofferenza dei minori (segnali di sofferenza che devono essere ben interpretati e valutati senza la minima concessione alla suggestione o al rendiconto delle strutture e degli operatori che dovrebbero essere i primi garanti dei bambini sospettati di essere oggetto di abusi fisici).

Non sempre essi possono essere in grado di comprendere di essere stati coinvolti in relazioni sessuali, peraltro in una relazione distorta dalla violenza o da pressioni psicologiche. Per tale motivo è indispensabile accrescere la conoscenza sulla protezione dagli abusi sessuali e sui diritti dei minori, specie del loro diritto all’ascolto, fra le persone che quotidianamente sono a contatto coi minori.
Il minore non può e non deve essere lasciato solo nel difficile percorso della denuncia della violenza ma deve, piuttosto, trovare adeguati programmi di sostegno e di assistenza per ricostruire la propria integrità psicofisica e la propria identità sessuale, talvolta gravemente compromesse e pregiudicate dalla violenza subita.
A tali esigenze risponde la Convenzione di Lanzarote che costituisce il primo e sinora unico strumento internazionale che disciplina in modo esaustivo la repressione delle varie forme di sfruttamento e abuso sessuale commesso in danno di persone minori di età, tutelando anche a titolo preventivo il loro diritto ad uno sviluppo psicofisico, e quindi sessuale, completo e indisturbato.
Il quadro delineato dalla Convenzione è volto a rendere più efficaci le legislazioni nazionali ed internazionali, la prevenzione e la repressione delle varie forme di sfruttamento e abuso sessuale, la persecuzione degli autori dei reati e, soprattutto, la protezione delle vittime. Nella realizzazione di questi principi, l’Italia ha previsto, con la legge di ratifica n. 172/2012, norme di adeguamento dell’ordinamento interno, sia sostanziali che procedurali , al fine di recepire i contenuti della Convenzione.
Le indicazioni in essa riportate si sono tradotte in una revisione strutturale delle disposizioni già esistenti nella nostra legislazione, anche al fine di superare i dubbi interpretativi che avevano originariamente suscitato in sede applicativa, con la previsione di inasprimento delle pene per i reati già previsti e l’introduzione di nuove ipotesi di reato: fra queste, la disposizione che ha introdotto la nuova fattispecie di reato di pubblica istigazione o apologia a pratiche di pedofilia o pedopornografia ed una nuova fattispecie “speciale” di associazione per delinquere rispetto alla generale fattispecie disciplinata dall’art. 416 c.p. (laddove la specialità della nuova disposizione risiede nella circostanza che il fatto delittuoso è commesso in danno di un minore e comporta un inasprimento della sanzione rispetto alla fattispecie generale) .
Gli obiettivi e le finalità della Convenzione trovano efficace attuazione anche nella configurazione da parte della L. 172/2012 dell’inedito reato di “child grooming”, ovvero l’adescamento di minorenni attraverso Internet o altre reti o mezzi di comunicazione, laddove per “adescamento” si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. L’introduzione di tale reato è stata dettata dall’art. 23 della Convenzione stessa e costituisce una marcata anticipazione della tutela penale a comportamenti non ancora effettivamente lesivi della sfera sessuale del minore.

La L. 172/2012, inoltre, ha previsto l’introduzione di specifiche forme di sostegno alle vittime. Particolarmente significativa in tal senso, la modifica apportata all’art. 609-decies c.p. che nei casi di reati sessuali a danno di minori già stabiliva che “l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne, è assicurata dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne”, ai quali sono stati aggiunti “nonché di gruppi, fondazioni, associazioni ed organizzazioni non governative di comprovata esperienza nel settore dell’assistenza e del supporto alle vittime dei reati di cui al primo comma e iscritti in apposito elenco dei soggetti legittimati a tale scopo con il consenso del minorenne, e ammessi dall’autorità giudiziaria che procede”.
La novella legislativa ha, infine, introdotto una serie di modifiche alla normativa procedurale che fanno da corollario alle novità concernenti la legge penale sostanziale.
Gli interventi procedurali più significativi sono stati quelli volti alla previsione dell’obbligo di avvalersi, da parte della polizia giudiziaria e del p.m. che intenda assumere informazioni da un minorenne, dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile, nominato dalla stessa autorità procedente.
Nonostante la ratifica della Convenzione di Lanzarote sia intervenuta solo nell’ottobre 2012, le risposte che il sistema giudiziario italiano, non solo penale ma anche civile, ha dato nel corso degli anni per un’efficace protezione del minore vittima di abusi sessuali e di condotte lesive del suo sviluppo psicofisico e sessuale possono ritenersi del tutto adeguate ed in linea con le disposizioni e le finalità della stessa Convenzione, con la conseguenza che le esperienze maturate in applicazione della nostra legislazione possono essere sicuramente condivise con gli altri paesi dell’Unione.
Il nostro ordinamento, infatti, da molto tempo prevede strumenti significativi di tutela e protezione di soggetti deboli, anche minori, vittime di abusi e violenze sessuali maturate nell’ambito di rapporti familiari e di convivenza . Nello specifico, l’autore di violenze, a seguito di un ordine di protezione emesso dal solo giudice civile, anche inaudita altera parte (e più volte in altri interventi ho specificato che tale procedura mette a serio rischio la tutela dei diritti dell’incolpato che, sostanzialmente, o non può far valere le proprie ragioni o può farlo solo in via differita quando è già colpito dal provvedimento), può immediatamente essere allontanato dal domicilio familiare, con una limitazione temporale della sua libertà di movimento e con determinazione di un obbligo di pagamento di un assegno alimentare in favore del residuo nucleo familiare. In applicazione della legge citata e di numerose altre disposizioni legislative che sono state introdotte dal legislatore italiano negli ultimi quindici anni per la repressione dei reati di violenza e abusi sessuali a danno dei minori, le competenti autorità giudiziarie hanno elaborato Protocolli di intesa con le diverse Istituzioni, i centri antiviolenza, e le autorità pubbliche (quali Aziende ospedaliere, Prefetture, Questure, Enti territoriali; Servizi sociali del Ministero della Giustizia e Servizi Sociali degli Enti Locali) per la messa in campo di un’efficace e operativa “rete” di intervento idonea a contrastare il fenomeno dell’abuso sessuale in danno di minori e tutelare le persone che “da notizia anche indiretta e poco circostanziata possono aver subito maltrattamenti, violenza sessuale o atti persecutori” ( e su questo punto, in questa sede, in questo momento storico, NON è possibile tacere la gravissima vicenda – ancora in fase di accertamento – di Bibbiano ove i minori erano vittime sì; ma parrebbe di coloro che avevano il compito di proteggerli e supportarli facenti capo alla “rete” di cui sopra).

1.2 Fonti del diritto interno e comunitario: cautele e garanzie dell’ascolto
Nel 2016 sono state 5.383 le vittime minorenni “dichiarate” di maltrattamenti e abusi in Italia. Si tratta di un dato allarmante ed in incremento rispetto agli anni precedenti, se si considera la cosiddetta “cifra oscura” di abusi non denunciati, ma anche un dato paradossalmente positivo in quanto un numero dichiarato di vittime di abuso così alto permette di avviare un processo che ha come obiettivo quello di porre fine al maltrattamento, di riconsegnare la dignità e la libertà alle giovani vittime e di consentire l’avvio di procedimenti legali nei confronti dell’abusante. Solo negli ultimi anni il diritto penale e la criminologia hanno riconosciuto il ruolo importante della vittima negli studi sulla criminalità e nel procedimento penale.

I principi ispiratori per la partecipazione del minore al procedimento penale possono rinvenirsi nella Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia dalla L. 27 maggio 1991 n. 176) che, in particolare, all’art. 12 riconosce al minore il diritto di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria che lo riguardi.
Questi principi sono stati consacrati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, atto integrante il Trattato di Lisbona entrato in vigore il 01.12.2009, documento che, all’art. 24, stabilisce che “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”.
Per tali ragioni è stata adottata la Decisione quadro del Consiglio d’Europa relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (Decisione 15.03.2001 n. 2001/220/GAI) in cui viene prevista l’assistenza alle vittime di reati prima, durante e dopo il procedimento penale. Gli Stati membri devono garantire che la dignità delle vittime sia rispettata e che i loro diritti siano riconosciuti in tutto il corso del procedimento.
Le vittime, particolarmente vulnerabili, devono beneficiare di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione; devono avere la possibilità di essere sentite durante il procedimento, nonché di fornire elementi di prova.
Tuttavia, le autorità dovrebbero poter interrogare le vittime solo per quanto sia necessario al procedimento penale. La difficoltà maggiore nasce dal fatto che, spesso, il solo testimone di tali reati è il minore che verrà ascoltato in relazione ai fatti in questione. Tra i vari tentativi di miglioramento delle condizioni in cui il minore si trova a testimoniare, assume particolare importanza una metodologia di ascolto – l’audizione protetta – che permette la tutela del minore e gli consente di vivere l’esperienza giudiziaria in modo il più possibile sereno e libero da ogni timore. E, aggiungerei, anche al fine di assumere la testimonianza del minore nel modo più accurato possibile senza che le suggestioni verificazioniste degli investigatori, del Giudice (durante l’incidente probatorio) e dei loro consulenti contribuiscano a contaminare il portato del bambino sospetta vittima di abusi.
Tale pratica è stata attuata inizialmente negli Stati Uniti, poi anche in Inghilterra ed Australia e, in virtù della L. 05.02.1996 n. 66 “Norme contro la violenza sessuale, anche in Italia.
Nel nostro ordinamento l’audizione protetta è prevista nel caso in cui il minore sia stato vittima o testimone di abusi sessuali: essa, ai sensi dell’art. 398 co. 5-bis c.p.p., consiste nell’anticipazione alla fase delle indagini preliminari, con lo strumento dell’incidente probatorio, della formazione della prova testimoniale.
In tal modo l’ascolto del minore avviene evitando il contatto con l’autore del reato e cercando di attutire l’impatto, spesso ulteriormente traumatico , con l’ambiente giudiziario. Allo stesso tempo, viene garantito il diritto costituzionale dell’imputato alla formazione della prova nel contraddittorio tra le parti (contraddittorio, a dire il vero, piuttosto sbilanciato a sfavore dell’accusato per le stesse modalità dell’audizione protetta. Vedi oltre). Si evita, altresì, che il minore sia costretto a ripetere la propria testimonianza più volte, anche a distanza di molto tempo dai fatti.
In tale procedura la piena realizzazione dell’oralità comporta qualche sacrificio: essa è esigenza naturale e condizione irrinunciabile del giudizio ma, se normalmente nel processo penale il giudice che emette la sentenza deve essere quello davanti al quale si è formata la prova, l’eccezione è rappresentata dal fatto che la prova si forma di fronte a un giudice diverso da quello che sarà chiamato a decidere sui fatti per i quali si procede.
Le principali garanzie previste dalla legge sono costituite dalla possibilità che l’audizione del minore possa svolgersi in un luogo protetto, diverso dal tribunale, possa procedersi alla registrazione integrale delle dichiarazioni testimoniali e, soprattutto, prevede l’assistenza di un esperto in psicologia infantile (ai sensi dell’art. 498 co. 4 c.p.p.).
La presenza, previo incarico del magistrato, di un esperto in psicologia durante l’audizione protetta appare essenziale per garantire al minore la protezione e l’accoglienza che merita, ponendo l’attenzione verso quei particolari che possono influire negativamente sul vissuto del bambino. Nella pratica, tuttavia, non sempre ciò è garantito e spesso, anzi, nonostante l’utilizzo del contenitore dell’audizione protetta, l’esame del minore viene condotto e gestito esclusivamente dal magistrato. Peraltro, come detto, le modalità dell’audizione protetta in sede di incidente probatorio possono risultare lesive dei diritti dell’accusato nella formazione della prova orale in contraddittorio delle parti. Ed invero, il minore è sentito in una stanza diversa rispetto a quella ove sono Accusa e Difesa (ed eventuali loro consulenti). Non vi è immediatezza poiché ogni intervento eventuale della parti è mediato dal Giudice che può essere contattato con un interfono azionato dal cancelliere che è in aula con le parti. Le domande della difesa sono poste dal Giudice (coadiuvato dall’esperto) che potrà così “personalizzare” il tenore delle stesse, l’ordine di proposizione e fin’anche potrà decidere se porle o meno. E’ evidente che in un processo basato sul contraddittorio, l’oralità, l’immediateza, i principi dell’esame e del controesame….una simile forma di assunzione della prova (spesso, l’unica prova) risulta essere un compromesso che può NON tutelare adeguatamente la posizione dell’incolpato.

Come previsto dalla Carta di Noto del 09.06.1996, aggiornata al 07.07.2002 (Linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale), è necessario che “la consulenza tecnica e la perizia in materia di abuso sessuale devono essere affidate a professionisti specificamente formati” e che “nel colloquio con il minore occorre: a) garantire che l’incontro avvenga in orari, tempi, modi e luoghi tali da assicurare, per quanto possibile, la serenità del minore; b) informarlo dei suoi diritti e del suo ruolo in relazione alla procedura in corso; c) consentirgli di esprimere opinioni, esigenze e preoccupazioni; d) evitare domande e comportamenti che possano compromettere la spontaneità, la sincerità e la genuinità delle risposte”. E’ inoltre fondamentale che “si deve ricorrere in ogni caso possibile alla videoregistrazione, o quantomeno all’audioregistrazione, delle attività di acquisizione delle dichiarazioni e dei comportamenti del minore”. Il documento è stato ulteriormente aggiornato il 12.06.2011 con un adeguamento sia ai progressi scientifici maturati nello studio dei processi cognitivi e nel campo della psicologia evolutiva, sia all’irruzione delle nuove tecnologie informatiche che rischiano di modificare notevolmente il sistema cognitivo ed emotivo dei giovani .
Tra gli aggiornamenti viene poi specificato che “per soggetti minori di anni dieci si ritiene necessario, salvo casi eccezionali e comprovate ragioni di tutela del minore, che sia disposta perizia al fine di verificare l’idoneità a testimoniare. L’idoneità non implica la veridicità e credibilità della narrazione ” e si prevede che “nei casi di abusi collettivi, cioè di eventi in cui si presume che una o più persone abbiano abusato sessualmente di più minori, occorre acquisire elementi per ricostruire, per quanto possibile, la genesi e le modalità di diffusione delle notizie anche al fine di evidenziare una eventuale ipotesi di contagio dichiarativo”.
Le linee guida proposte dalla Carta di Noto del 2002 sono state in seguito ribadite ed ampliate all’interno del Protocollo di Venezia del 2007, nato dall’incontro di esperti nel campo dell’abuso e del maltrattamento sui minori, tra cui avvocati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, criminologi e responsabili dei servizi.

Il dato di fatto scientificamente dimostrato dal quale prende le mosse il lodevole e fondamentale lavoro di Noto, è che il minore, il bambino ha strumenti cognitivi diversi da quelli dell’adulto e non si può assolutamente pensare di approcciarsi la bambino al fine di interrogarlo con le medesime modalità che si utilizzerebbero con un adulto. Il bambino – anche dal punto di vista cognitivo ed emotivo – NON è un piccolo adulto. Il minore ha un lessico diverso e, soprattutto, concepisce la realtà in modo differente dall’adulto così come la ricorda e rievoca diversamente dalle figure adulte. Inoltre, – se preadolescente – non è in grado di assumere un punto di vista diverso dal proprio, ha un pensiero magico della realtà (tutto è animato ad esempio), è rigido nella formulazione dei suoi pensieri e ha una limitata capacità di fare considerazioni sul bagaglio conoscitivo dell’altro ed invero:

  • l’audizione del minore (e, come nel caso di specie, tanto più se minore degli anni dieci) è un incombente particolarmente delicato essendo concreto il pericolo che il bambino (anche adottando le opportune cautele) sia suggestionato dalla figura adulta ed autorevole (tanto più ai suoi occhi) del Giudice (autorevolezza che è impossibile eliminare anche escutendo la p.o. utilizzando tecniche a carattere ludico);
  • anche solo la reiterazione di una domanda può indurre il bambino a mutare la risposta iniziale nell’errata convinzione che l’interrogativo gli venga ripetuto poiché la prima risposta non è quella che l’intervistatore ritiene esatta;
  • pur essendo il ricordo del minore potenzialmente accurato come quello dell’adulto (a patto che sia esortato a riferire liberamente); il bambino tende ad assecondare le aspettative dell’adulto che lo esamina propendendo, quindi, a dare risposte positive (soprattutto a domande dirette che prevedono una risposto si/no: hai visto Mario? Mario ti ha dato fastidio?C’era solo Mario?….);
  • il minore interrogato da un adulto raramente riferisce di non aver compreso la domanda (e, spesso, non ha nemmeno la consapevolezza di averla fraintesa);
  • le domande devono essere poste al piccolo intervistato in maniera che non contengano delle informazioni (la cui effettiva verificazione è l’oggetto del procedimento) o il “punto di vista” dell’intervistatore;
  • l’audizione del minore avviene solitamente decorso un certo lasso di tempo dai fatti per i quali si procede ovvero dopo che, sicuramente, il minore ha risposto alle legittime e preoccupate domande della madre, del padre, probabilmente dei nonni, di altri bambini, alle eventuali informali richieste di altri soggetti (ad esempio gli investigatori) eccetera;
  • il minore in vista dell’audizione sarà sicuramente rassicurato, preparato e informato da parte dei sui genitori (e dei suoi cari in generale) di tal che le potenziali suggestioni sono veicolate al minore che, di fatto, potrebbe essere indotto a ripetere al Giudice, non già quello che propriamente ha vissuto e percepito, bensì quello che è emerso dai precedenti colloqui (suggestivi) con i genitori e gli altri soggetti coinvolti;
  • il Giudice – oltre ad adottare tutta la sua esperienza e la necessaria cautela per non suggestionare (ulteriormente) il minore con domande “guidanti” o eccessivamente “chiuse” – deve anche vagliare se il comprensibile fenomeno di cui ai punti precedenti si è verificato e con quale grado di influenza sulla piccola testimone;
  • la rievocazione del ricordo nel bambino segue processi logici e motivazionali differenti rispetto a quelli dell’adulto poiché il minore tende a ricordare (come tutti ) i fatti salienti delle situazioni che lo coinvolgono ma è provato che la salienza dal punto di vista del minore NON è sovrapponibile a quella dell’adulto (che lo intervista);
  • nel porre le domande dirette a sollecitare il ricordo è necessario tenere presente anche la padronanza del lessico e del linguaggio del piccolo teste.

Occorre sottolineare, tuttavia, che le linee guida della Carta di Noto (come degli altri protocolli a carattere scientifico in tema di audizione del minore) NON sono considerate norme di legge il cui rispetto è obbligatorio (cogenti) ma – semplicemente e pericolosamente – SOLO linee guida e buone prassi di tal che il loro mancato rispetto NON provoca alcuna nullità dell’audizione (viziata e contaminata e potenzialmente fuorviante). A giudizio di chi scrive si tratta di un cortocircuito logico prima che giuridico: la comunità scientifica di riferimento attesta che il minore DEVE essere sentito con particolari modalità pena una vittimizzazione secondaria e, soprattutto, la sua suggestione e la contaminazione del suo ricordo; ma tali indicazioni (scientifiche) non sono recepite dal Legislatore che NON ha reso legge il loro rispetto né lo ritine obbligatorio benché la realtà dei fatti sia che nove volte su dieci i processi per presunto abuso si basano sul racconto del solo minore che, come abbiamo visto, se non raccolto con le opportune cautele scientifiche rischia di NON rispecchiare la realtà.

Si pensi ad un esempio: nemmeno le linee guida per la raccolta e l’esaltazione delle impronte digitali o delle tracce di DNA sono tradotte in una legge; ma è ovvio che mai nessun Giudice potrebbe ritenere attendibile una repertazione eseguita senza il rispetto – ad esempio – della linea guida che richiede che l’operatore indossi i guanti ed utilizzi strumenti (per la raccolta del DNA) sterili. Al contrario, nel caso dell’audizione del minore il Giudice – anche in presenza della violazione dei principi e delle linee della Carta di Noto – potrebbe (e di solito lo fa…) ritenere del tutto attendibile il racconto del minore (e, magari, sulla base dello stesso decidere di condannare l’accusato che con Sentenza esecutiva finirà in galera).

In seguito ai fatti di cronaca in tema di abuso, nel far propri in principi della Carta di Noto, il Protocollo di Venezia delinea e specifica le linee guida alle quali gli esperti dovrebbero attenersi nell’affrontare casi di abuso sessuale collettivo sui minori. Tra le più recenti innovazioni in relazione al diritto di ascolto e tutela del minore abusato vi è la Convenzione di Lanzarote, ratificata dall’Italia con la L. 172/2012.
Tale legge interviene in vari modi nel rafforzare la posizione del minore contro le possibili aggressioni provenienti dal mondo degli adulti. Sul versante della tutela penale, vengono ampliate e rese più severe molte fattispecie a tutela dell’integrità psicofisica e sessuale del minore: dall’introduzione del nuovo reato d istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia all’art. 414-bis c.p. alla riformulazione di alcuni reati già previsti nell’ordinamento, con cospicui aumenti di pena per molte fattispecie.
Per ciò che in questa sede interessa, è importante dunque segnalare come la L. 172/2012 provveda a completare le cautele e le garanzie che debbono presidiare la partecipazione – potenzialmente traumatica e foriera di frequente vittimizzazione secondaria – del minorenne al processo penale. Viene innanzitutto stabilito, modificando in tal senso l’art. 609-decies co. 3 c.p. che, in ogni procedimento per reati sessuali in cui sia coinvolto come persona offesa un minore, debba essere assicurata l’assistenza affettiva e psicologica in ogni stato e grado del procedimento dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne. Quanto all’ascolto vero e proprio nel procedimento penale, l’art. 5 co. 1 lett. c), d) ed f) prevede alcune modifiche molto significative, su cui è opportuno soffermarsi.
L’innovazione più importante è quella per cui la partecipazione di esperti in psicologia infantile, fino ad oggi prevista solo quando il minore venga ascoltato dal giudice ai sensi dell’art. 498 c.p.p., venga estesa anche all’ipotesi in cui ad ascoltare il minore sia il p.m., la polizia giudiziaria o il difensore nel corso delle indagini preliminari ed anche nel corso delle indagini investigative difensive.
A differenza dell’ipotesi di cui al co. 4, tuttavia, l’intervento degli esperti in psicologia è, da un lato, obbligatorio e non rimesso alla discrezionalità di chi procede all’esame ma, dall’altro, tale obbligo non è previsto in tutti i casi in cui si debba procedere all’ascolto di un minore, ma solo per alcuni delitti in materia sessuale.
La legge prevede in particolare che il p.m., la polizia giudiziaria e l’avvocato, quando devono procedere all’ascolto di un minore nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 601, 602, 609bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies c.p. debbono avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile.
Questa previsione appare piuttosto importante: non solo garantisce che ogni contatto del minore con persone appartenenti al mondo della giustizia avvenga sotto l’egida dell’esperto ma, per di più, si rende tale meccanismo obbligatorio nella fase che precede l’avvio del processo.
Senza la partecipazione dell’esperto, l’esame del minore condotto dal p.m., dalla polizia giudiziaria o dall’avvocato non sarà utilizzabile nel procedimento e non potrà costituire prova. La previsione di questo obbligo crea, tuttavia, una certa disarmonia con la previsione dell’art. 498 c.p.p. ove, come detto, è il giudice che decide discrezionalmente se avvalersi dell’esperto in psicologia infantile ogniqualvolta debba essere sentito un minore a prescindere dal titolo di reato per cui si procede.
Forse sarebbe stato più opportuno generalizzare la previsione dell’assistenza psicologica nell’esame del minore a tutti i casi in cui egli sia chiamato a testimoniare, senza distinzione tra reati; dal momento che l’obbligatoria presenza dell’esperto davanti alle parti del procedimento (p.m. e difensore) funge da garanzia, perché le parti stesse potrebbero avere interesse a forzare le dichiarazioni del minore, l’esperto sarebbe ancor più indispensabile davanti al giudice in quanto il minore è sottoposto alla tensione della presenza contestuale delle parti contrapposte: sarebbe stato forse utile, allora, prevedere l’obbligatorietà anche per il giudice di avvalersi di esperti in psicologia infantile, modificando il testo dell’art. 498 co. 4 c.p.
In relazione a questo discorso, significative appaiono alcune modifiche: dal 22.01.2016 anche gli adulti vittime di reati possono beneficiare delle misure di protezione già previste per i bambini nella legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote .
Con l’entrata in vigore del D. Lgs. 212 del 15.12.2015 – in attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo – le norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato in sede di ascolto giudiziario si estendono infatti a tutti i soggetti in “condizione di particolare vulnerabilità”: vittime di reati violenti o comunque impattanti sul loro stato emotivo, come gli stupri o la violenza di genere, ma anche in difficoltà per cultura, stato emotivo, disabilità .

1.3 L’”assunzione assistita”
La Convenzione di Lanzarote, che investe un ambito molto specifico (quello dello sfruttamento e dell’abuso sessuale in danno del minore) ha comportato l’introduzione nel nostro codice penale di alcune significative modifiche sostanziali, processuali e penitenziarie. Questo documento ha soprattutto determinato una nuova dinamica di “ascolto” mediante l’introduzione di alcune novità da un punto di vista meramente processuale: l’art. 35 della Convenzione riguarda, appunto, la tutela del minore che debba riferire come persona informata sui fatti nel processo penale, vittima o testimone .
L’articolo in esame disciplina l’ascolto del minore finalizzato all’accertamento del reato di cui egli sia rimasto vittima, vale a dire la sua audizione, mentre non attiene in alcun modo al cosiddetto ascolto terapeutico . Si tratta quindi di una disposizione tipicamente processuale, che tuttavia riflette un percorso culturale, prima ancora che normativo, ormai risalente.
L’idea di fondo deriva dalla constatazione empirica che non tutti i testi sono uguali e che, pertanto, lo statuto della prova dichiarativa non può essere indifferenziato, ma occorre calibrare e modulare le regole dell’esame testimoniale in relazione alle particolari caratteristiche soggettive ed oggettive della testimonianza . In particolare, la normativa internazionale si è fatta carico, da tempo, dell’esigenza di escutere con specifiche garanzie le persone vulnerabili, cioè coloro che possono patire un effetto negativo dal contatto con il processo anche per la natura traumatizzante dei fatti di cui sono attori (abusi sessuali) ovvero per il legame affettivo con l’autore del reato di cui sono stati vittima o anche solo testimoni (stalking, maltrattamenti). Si tratta di soggetti che trovano difficoltà a rievocare in ambiente processuale quei fatti per i quali si procede, poiché si tratta di palesare dinanzi a sconosciuti ed in contesti formali, esperienze personali, intime e assai dolorose, per di più essendo di norma consapevoli che il proprio racconto nuocerà all’accusato.
Questa è una condizione di vulnerabilità che, presente nell’adulto nei casi appena citati, diventa massima quando le componenti di natura disturbante del fatto e la relazione affettiva col suo autore, investano un minore, quando cioè sia chiamato a deporre sui fatti che per ragioni oggettive o soggettive esercitano un forte impatto sull’assetto psicofisico della persona, un soggetto che in ragione della sua età abbia una personalità ancora non formata e pertanto sia impressionabile, suggestionabile, condizionabile (sia ben chiaro: anche da parte di coloro che lo intervistano). L’esigenza è, dunque, quella di modulare l’acquisizione di informazioni di tali soggetti secondo criteri che tutelino la dignità e la serenità del teste, proteggendolo in particolare da aggressioni e deprecabili colpevolizzazioni, ma garantendo nel contempo i diritti della difesa e in particolare il diritto dell’accusato di confrontarsi con il suo accusatore e aggiungerei anche il diritto che la prova testimoniale del bambino sia assunta senza contaminazioni e garantendo il contraddittorio delle parti (che per precisa disposizione costituzionale devono essere uguali di fronte ad un Giudice terzo). Tutto ciò è necessario per il raggiungimento del fine ultimo del processo, che è quello di accertare la verità [processuale N.d.T.], accertamento che in tema di prova dichiarativa richiede, quale elemento fondante della attendibilità, la serenità della deposizione (e la capacità di chi la assume tanto più necessaria quando il teste è un minore).
La Convenzione di Lanzarote, modificando alcune norme del nostro codice di rito che riguardano l’ascolto del minore nei processi per reati di abuso e sfruttamento sessuale, stabilisce le dinamiche processuali dell’ascolto all’art. 35, a mente del quale l’esame del minore:

a) deve avvenire al più presto, senza ritardi ingiustificati;

b) deve avvenire presso locali concepiti o adattati a tale scopo;

c) deve essere condotto da professionisti addestrati a questo scopo e possibilmente sempre dalle stesse persone;

d) deve essere compiuto con modalità che consentano di evitare al massimo dolorose ripetizioni del racconto, il minore pertanto dovrà essere sentito solo per il numero di volte strettamente necessario al corso del procedimento penale.

L’art. 35 prevede inoltre, al secondo comma, che l’esame del minore sia audio e video registrato. Si tratta di criteri ormai consolidati nell’esperienza normativa internazionale e fatti propri dal nostro legislatore, sia pure in un ambito specifico, già con la L. 66/1996 . Infatti, nel modificare dalle fondamenta la disciplina dei reati a sfondo sessuale, la L. 66 aveva stabilito fin da allora la possibilità che nell’ambito di indagini per reati di violenza sessuale (art. 392 co. 1-bis c.p.p.) il minore di anni sedici potesse essere comunque sentito in incidente probatorio, anche al di fuori dei normali presupposti, in modo da anticipare l’esame del teste in contraddittorio con l’imputato alla fase delle indagini e, pertanto, in epoca più vicina al fatto. Ciò al fine di acquisire ricordi più vivi, di ridurre il rischio di rimozioni sopravvenute del ricordo (c.d. amnesie infantili) o di creare interferenze e inquinamenti dovuti, in particolare, alla ripetizione del racconto dinanzi a soggetti terzi. L’incidente probatorio, inoltre, risparmia al minore lo stress di una ri-audizione nel successivo giudizio, realizzata a distanza di molto tempo dal fatto; ri-audizione che per gli infrasedicenni già escussi è espressamente vietata dall’art. 190-bis c.p.p ..

L’audio registrazione è importantissima poiché permetterà alle parti e, quindi anche ai loro consulenti – preferibilmente psicologi forensi esperti dell’età evolutiva – di cogliere con la visione del filmati tutte quelle condotte di comunicazione analogica (linguaggio del corpo, intonazione, pause etc.) che veicolano comunque un messaggio importantissimo spesso (quasi sempre) più attendibile e spontaneo del significato del parlato.

A tutela della serenità del minore, inoltre, il legislatore del 1996 aveva altresì previsto che l’audizione potesse avvenire in luoghi diversi dalla sede del Tribunale e, a garanzia dell’imputato ma anche al fine di evitare il contatto visivo tra costui e la vittima, che essa fosse integralmente registrata con strumenti audiovisivi o fonografici (art. 398 co. 5-bis c.p.p.).
In seguito l’ambito di applicazione di tali norme si è allargato, perché con il D.L. 11/2009, convertito in L. 38/2009, l’incidente probatorio è consentito ogni volta che si debba raccogliere la testimonianza di un minore anche ultrasedicenne e ciò non soltanto nei procedimenti per violenza sessuale, ma anche in quelli per reati di stalking di cui all’art. 612-bis c.p. (reato introdotto dalla stessa L. 38/2009) e per quelli di riduzione in schiavitù, tratta e acquisto di schiavi, prostituzione minorile e pornografia minorile.
Quanto all’audizione protetta, cioè in luogo diverso dalla sede del Tribunale e con registrazione audiovisiva o almeno fonografica dell’esame, che era originariamente prevista solo con riguardo all’incidente probatorio, essa è stata estesa anche al dibattimento con L. 268/1998.
L’audizione protetta è disposta su richiesta di parte o d’ufficio, qualunque sia il reato perseguito e con la espressa previsione, se si procede per determinati reati (violenza sessuale, prostituzione e pornografia minorile, stalking) che l’esame venga condotto mediante uso di vetro specchio e impianto citofonico. In dibattimento, inoltre, è previsto, con disposizione che vale anche per l’incidente probatorio (per il richiamo contenuto nell’art. 401 co. 5 c.p.p.) che l’esame del minore sia comunque eseguito non dalle parti ma dal giudice (Vedi sopra quanto già osservato in tema di potenziale lesione dei diritti della difesa in tema di controesame della difesa condotto dal Giudice) avvalendosi, qualora lo ritenesse opportuno, dell’ausilio di un familiare ovvero di un esperto in psicologia infantile. E’ questo il tessuto normativo sul quale è intervenuta la legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, che da un lato ha allargato ai reati di nuova istituzione l’ambito dell’audizione del minore in incidente probatorio e, dall’altro, ha disposto, in attuazione della lettera c) dell’art. 35 della Convenzione, la cosiddetta assunzione assistita di informazioni dalle persone minori di età .

(Articolo redatto dall’Avv. de Lalla. Ne è vietata la riproduzione).

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