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omesso versamento contributi previdenziali
omesso versamento contributi previdenziali

Commentiamo in questa sede una recente Sentenza di merito – emessa dal Tribunale di Aosta il 7.11.2014 – che rappresenta una delle prime applicazioni nelle aule di tribunale dei principi espressi dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 139/2014 in tema di omesso versamento dei contributi previdenziali.

evasione fiscale soglia di punibilità
evasione fiscale soglia di punibilità


In particolare, la Corte era stata investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1-bis del D.l. 12 settembre 1983 n. 463 – che punisce l’omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali da parte del datore di lavoro – per violazione dell’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza) in ragione della mancata previsione di una soglia quantitativa di punibilità, a differenza di quanto stabilito dall’art. 10-bis D.lgs. 74/2000 in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto che punisce penalmente “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore ai cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.

La Corte di legittimità, pur non ravvisando alcun vizio di costituzionalità della norma in esame, per la ragione che le due norme incriminatrici sono poste a tutela di interessi diversamente rilevanti per l’ordinamento, stabiliva in ogni caso che “resta comunque precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare – alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta – se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati”.

In questo quadro si inserisce la Sentenza del Tribunale di Aosta.

Nel caso di specie, l’imputato veniva tratto a giudizio, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, per il reato previsto dall’art. 2 comma 1-bis D.l. 463/1983 per aver omesso, in qualità di rappresentate di una società, il versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti in relazione a undici mensilità per un importo complessivo di 929,00 Euro.
Il Giudice di merito, all’esito dell’istruttoria dibattimentale – pur affermando che effettivamente era emersa la prova che l’imputato aveva omesso i versamenti – riteneva, tuttavia, che il fatto non fosse punibile difettando la necessaria offensività della condotta, la quale, pur conforme alla fattispecie legale, era valutata in concreto priva di significato lesivo per l’interesse all’integrità e all’efficienza del sistema previdenziale.

A tal proposito, il Tribunale di Aosta specificava che “la valutazione in concreto della sussistenza dell’offensività della condotta va necessariamente compiuta mediante l’esame simultaneo di una pluralità di parametri, comunque emergenti dagli atti, sia di carattere normativo sia di mero fatto”.
In via preliminare, il Giudice sgombrava il campo da un argomento avanzato da una parte della giurisprudenza che si basa sostanzialmente sulla prossima prevedibile depenalizzazione del reato di cui si tratta per le evasioni contributive di importo inferiore ai 10.000 Euro annui, per effetto dell’entrata in vigore della legge di delega 67/2014.

Secondo tale orientamento, la citata legge, delegando il Governo a trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’art. 2 comma 1-bis cit. – purché l’omesso versamento non ecceda il limite complessivo di 10.000 euro annui – avrebbe di fatto abolito il predetto reato.
Al contrario, nella sentenza che qui si commenta, il Tribunale di Aosta rilevava come, in assenza del decreto legislativo di attuazione, nessun effetto abrogativo può ritenersi allo stato prodotto, per cui resta ferma la vigenza della norma incriminatrice di cui si tratta.

Ciò posto, in ogni caso, il Tribunale ritiene che la soglia di punibilità (ovvero 10.000 Euro per anno) già contenuta nella legge di delega citata, in una valutazione comparativa di tutti i fattori emergenti nel caso di specie costituirà certamente un utile e rilevante parametro di giudizio, ma “da considerarsi simultaneamente insieme agli altri elementi di fatto potenzialmente rilevanti, quali la ripetitività dell’omissione o la sua occasionalità, l’arco temporale nel quale la stessa è stata compiuta e segnatamente il numero di mensilità in relazione alle quali il versamento è omesso, l’eventuale tardivo pagamento, l’importo delle singole rate non versate, l’ammontare complessivo delle stesse, la sussistenza o meno di una situazione di crisi dell’impresa e, più ampiamente, le ragioni dell’omissione o del ritardo”.
È, dunque”, prosegue la sentenza “sulla base di una valutazione complessiva della condotta posta in essere che deve essere applicato il canone interpretativo dell’offensività, senza attribuire unico o esclusivo rilievo all’ammontare delle ritenute operate ma non versate”.

In particolare, nel caso in esame, il Giudice, circa la concreta potenzialità offensiva della condotta posta in essere dall’imputato, osservava che “ le rate mensili in relazione alle quali risulta omesso il versamento sono risultate tutte di modesto importo (ciascuna non eccedente l’importo di Euro 150), sono consecutive e circoscritte nell’ambito di un medesimo lasso temporale e sono dunque riferibili ad una realtà aziendale di dimensioni particolarmente modeste, con un numero di dipendenti estremamente ridotto, verosimilmente giunta al termine della propria attività. Tali circostanze, valutate unitariamente alla condizione di incensuratezza dell’imputato, inducono a concludere che si sia trattato di un episodio del tutto occasionale e destinato a non ripetersi. Se a ciò si aggiunge che, nella prospettiva di una futura depenalizzazione, l’importo complessivo delle ritenute operate ma non versate è ampiamente al di sotto della (futura) soglia di punibilità di Euro 10.000 annui, poiché l’evasione di Euro 929,00 si riferisce ad un arco temporale di 17 mensilità, risulta del tutte evidente l’insussistenza della necessaria offensività in relazione alla condotta in contestazione. Il fatto avrà dunque esclusivo rilievo in sede amministrativa, sia ai fine del recupero delle somme dovute, sia ai fini dell’applicazione degli interessi maturati e delle ulteriori sanzioni, mentre sarà privo di alcun rilievo penale”.

In conclusione, dunque, il Tribunale di Aosta giunge ad affermare per tale via l’irrilevanza penale del fatto, per difetto di offensività in concreto della condotta realizzata dall’imputato, il quale veniva, pertanto, assolto dal reato a lui ascritto.

La Sentenza in commento ci permette in questa sede di sottolineare l’importanza del più volte richiamato principio di offensività per il quale una condotta penalmente rilevante poiché riconducibile ad una fattispecie di reato codificata, per essere punibile deve effettivamente ledere in concreto quel bene giuridico a presidio del quale è posta la norma incriminatrice. Si tratta di un canone interpretativo di assoluta rilevanza la cui applicazione permette di reprimere efficacemente solo e solamente quelle azioni che effettivamente danneggiano o mettono in pericolo (nel caso del tentativo) quei diritti e quei beni che il Legislatore ha inteso tutelare con la norma più severa ovvero con quella penale.

Proprio in base al principio di offensività – ad esempio – non dovrebbe essere ritenuto contra ius e, quindi, punibile, il furto di un chiodo arrugginito che, seppur riconducibile al reato di cui all’art. 624 c.p. (il furto, appunto) non può dirsi in concreto condotta atta a ledere il diritto di proprietà.

(articolo redatto dalla Dott.ssa Silvia Meda e dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ogni diritto riservato).

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