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L’utilizzo sempre più frequente della rete informatica (tramite social network, blog, chat) permette agli utenti di condividere, commentare e postare contenuti di ogni genere con una diffusione potenzialmente capillare e virtualmente senza limiti di tempo.
La facilità di accesso a tale strumento ha contribuito ad aumentare le possibilità di esercitare la propria libertà di espressione (in alcuni contesti anche in modo anonimo o tramite l’utilizzo di nick name) costituzionalmente garantita ma ha anche esponenzialmente aumentato il rischio della diffusione di commenti  anche altamente offensivi riferiti a soggetti spesso indicati con nome e cognome e, quindi, immediatamente identificabili.

Si tratta – come già abbiamo avuto modo di commentare in questo sito – della commissione di un reato (nella fattispecie, la diffamazione aggravata) pensato dal Legislatore quando ancora la rete internet era di là da venire e, quindi, di un reato ad oggi realizzabile per mezzo di modalità inesistenti quando la condotta illegale veniva prevista dal codice penale (il codice penale italiano veniva promulgato nel 1930).

I suddetti messaggi propagati tramite siti web e blog, rintracciabili tramite il più comune motore di ricerca (Google), hanno spesso dei contenuti che, anche a distanza di anni (!!), permangono in rete alla portata di qualsiasi utente (che anche occasionalmente effettuando una ricerca sul web digiti il nome e cognome di un soggetto sul motore di ricerca).
Inevitabilmente e irrimediabilmente le conseguenze dannose per il destinatario di tali commenti (dai contenuti offensivi, espressione di risentimento, bassezza e grettezza) si protraggono e si aggravano di giorno in giorno essendo resi pubblici e fruibili da una moltitudine incalcolabile di utenti.
Purtroppo, accade di sovente che i messaggi siano postati da un soggetto che avvalendosi della “copertura” dell’anonimato fa ricorso allo strumento informatico per diffondere commenti denigratori della reputazione personale e professionale della vittima.

Il nostro ordinamento prevede che in tale circostanze ricorra la violazione dell’art. 595 comma 3 c.p..

A differenza della diffamazione a mezzo stampa, quella tramite web comporta ulteriori conseguenze dannose per la persona offesa rispetto ad un messaggio diffamatorio pubblicato sulla carta stampata.

Infatti, preso atto dell’utilizzo sempre più massiccio della rete internet (soprattutto negli ambienti lavorativi ove è “automatico” fare una ricerca sul web di eventuali potenziali collaboratori, clienti fornitori e soci), della possibilità per i singoli utenti di propagare a loro volta la notizia offensiva, della veicolazione a terzi senza limitazione cronologica e territoriale del contenuto del messaggio diffamatorio e della già richiamata permanenza in rete anche a distanza di anni del contenuto offensivo, la vittima di diffamazione a mezzo web subisce il protrarsi delle conseguenze del reato anche per un lasso di tempo considerevole in difetto di un “diritto all’oblio” che amplifica gli effetti dannosi del reato in commento.

Le ripercussioni negative sulla persona destinataria dei messaggi posso dunque avere effetti perduranti nel tempo ed esponenzialmente più perniciosi man mano che la notizia offensiva rimane in rete.

Il Legislatore, a fronte della violazione della c.d. web reputation, prevede quale strumento di tutela dal punto di vista penale ovviamente la possibilità di proporre denuncia – querela per la violazione come detto dell’art. 595 c.p., nonché – in via cautelare in attesa del processo – quella di ottenere (previo richiesta della persona offesa indirizzata al PM in fase di indagini preliminari) il sequestro preventivo del sito, della chat e di ogni altro veicolo informatico della diffamazione al fine di ottenerne il repentino l’oscuramento.

Si tratta comprensibilmente di un intervento del Pubblico Ministero (sollecitato dalla persona offesa) di estrema importanza per la vittima di reato che, non solo ha interesse alla punizione del colpevole, ma anche e soprattutto alla veloce “cancellazione” dalla rete delle offese che lo colpiscono spesso con incredibile violenza. In altre parole, la richiesta di sequestro preventivo finalizzato all’oscuramento dei link incriminati permette alla persona offesa di essere tutelata nell’immediato nell’attesa dell’auspicabile condanna del reo (che può intervenire a distanza di tre gradi di giudizio) che non sempre può essere agevolmente identificato e processato.

Tracciare un indirizzo IP

Infatti, si deve evidenziare che spesso l’identificazione del colpevole risulta assai difficile poiché l’isolamento dell’IP  (Internet Provider, ovvero la traccia informatica attraverso la quale è possibile risalire alla linea utilizzata dal diffamatore e, quindi, all’intestazione della stessa) da parte degli investigatori non permette di scoprire effettivamente l’autore della diffamazione che può aver utilizzato l’accortezza di avvalersi di server virtualmente irraggiungibili da chi effettua le indagini.

Ed ecco, quindi, che la richiesta di cancellazione tramite oscuramento proposta dalla vittima (ovvero dalla sua difesa) risulta essere l’intervento maggiormente utile a fronte di condotte lesive il cui autore potrebbe non essere individuato.

Nella maggior parte dei casi l’Autorità Giudiziaria, a seguito della denuncia della vittima, delega l’attività di individuazione del soggetto responsabile delle notizie diffamatorie alla Polizia Postale e delle Comunicazioni, la quale è dotata della strumentazione e della preparazione necessarie a rintracciare il colpevole e a rimuovere ed oscurare i contenuti denigratori e offensivi della reputazione della vittima.

Tale attività investigativa può essere accompagnata ed agevolata dall’intervento del difensore della vittima e, nello specifico, dal consulente tecnico informatico nominato ad hoc dall’avvocato per individuare, isolare e fornire alla Pubblico Ministero (titolare delle indagini e Giudice al quale va inoltrata la richiesta di sequestro/oscuramento) l’elenco delle piattaforme informatiche (sotto forma di link inseriti nella richiesta di sequestro) nelle quali compaiono le notizie diffamatorie.

Al giorno d’oggi, in ogni caso, la rete permette agli utenti di ottenere con un solo click una serie infinita di informazioni e di mettersi in comunicazione con un numero indefinito di persone  e un utilizzo non corretto e/o illegale di internet può avere conseguenze negative e perduranti per la persona offesa con inevitabili disagi dal punto di vista personale e professionale; e non sempre i rimedi offerti dalla procedura (la richiesta di sequestro)  e dal diritto penale (il reato di diffamazione) tutelano efficacemente la vittima di reato.

Bisogna aggiungere, inoltre, che molto spesso le fasce più colpite sono gli adolescenti che non comprendono ancora in maniera corretta (pur sapendo tecnicamente utilizzare gli strumenti informatici) le potenzialità negative della rete.

Il Legislatore in questi anni – evidentemente conscio che gli istituti del 1930 del codice penale e del 1988 del codice di procedura non potevano garantire una  tutela dei diritti della vittima  al passo coi tempi –  è intervenuto più volte per colpire più efficacemente le condotte illegali agite tramite la rete internet e mi riferisco agli interventi in materia di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. ed al c.d. “cyber-bullismo” (ci si riferisce al Decreto Legge n. 93/2013 convertito nella Legge 119/2013).

La violenza agita tramite la rete internet – poiché tale deve essere definita una condotta che provoca profonde ferite psicologiche in chi la subisce – sarà, a giudizio di chi scrive, sempre più virulenta man mano che lo strumento informatico e le “nuove” tecnologie prenderanno ancora più piede nella nostra società. Occorre che il Legislatore adegui la disciplina legale e la tutela della vittima all’era tecnologica che stiamo già vivendo e che è nel lungi dall’evolversi.

(articolo redatto dall’Avv. Elvira La Ferrera e dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ogni diritto riservato).

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