La violenza di genere e domestica e la novella Legislative della Legge 168/2023. Le modifiche del codice penale, di procedura penale e dell'Ordinamento Amministrativo. Il pericolo del diritto di Difesa dell'accusato e la necessità di una normativa a tutela dell'incolumità della vittima.
Prendiamo spunto da una recente Sentenza della Corte di Cassazione (in tema di terrorismo anche internazionale) per analizzare i c.d. reati di pericolo.
Per comprenderne in maniera corretta la disciplina e la natura occorre considerare che una condotta umana può essere considerata reato se effettivamente lede o pone in pericolo il bene giuridico che la norma penale è finalizzata a proteggere.
Immediato è l’esempio del reato di omicidio la cui funzione è – logicamente e giuridicamente – quella di proteggere la vita dei consociati.
Dunque, il concetto stesso di reato è saldamente vincolato al principio di offensività secondo il quale il reato è tale solo ed in quanto ha un effettivo riflesso per la sicurezza e l’integrità di un bene giuridico (per bene giuridico si intende un aspetto della vita protetto dall’ordinamento).
Diversamente – ovvero se la condotta/reato fosse repressa a prescindere dalla sua potenziale ed effettiva oltre che concreta lesività – anche le semplici intenzioni in difetto di qualsivolgia modificazione della realtà esterna potrebbero essere punite dall’ordinamento.
Il danno penale (o criminale), quindi, consiste nell’offesa del bene giuridico tutelato; offesa che può consistere:
– in una lesione ovvero in un nocumento effettivo del bene giuridico protetto;
– in una “messa in pericolo” del bene stesso che si concreta in un nocumento potenziale del bene che, di fatto, viene minacciato.
Quindi, a seconda dell’esito della condotta considerata reato (esito valutato, come detto, alla luce del bene giuridico tutelato) è possibile distinguere i reati:
– di danno nei quali vi è una lesione del bene giuridico che viene distrutto o diminuito;
– di pericolo nei quali basta che che il bene venga anche solo minacciato.
La categoria dei reati di pericolo è attualmente in continua espansione poichè il progresso tecnologico e la complessità, in generale, delle interazioni umane e degli interessi (anche confliggenti) dei consociati espone alcuni beni giuridici (anche e soprattutto di rilevanza costituzionale; si pensi alla vita, alla salute, alla liberta di pensiero) con sempre maggiore evidenza al pericolo di lesioni profonde e distruttive.
I reati di pericolo – dal punto di vista meramente sistematico ma con una rilevanza pratica assai accentuata in ambito difensivo – possono distinguersi in tre categorie (e, come detto, l’attribuzione ad una piuttosto che all’altra non è un mero esercizio di stile bensì la prima indicazione utile per una difesa effettiva):
1) i reati di perciolo concreto: il pericolo deve esistere effetivamente e provato “di volta in volta” dall’Accusa affinchè il Giudice condanni l’incolpato. La difesa in tali casi dovrà indirizzarsi a contrastare l’accusa provando il difetto di concretezza del pericolo lamentato.
2) i reati di pericolo astratto: il pericolo si considera esistente a priori preso atto della natura del reato (ad esempio, il delitto di incendio di cosa altrui) ma l’accusato potrà difendersi provando al Giudice che – in quella precisa fattispecie che lo ha visto coinvolto – tale pericolo (che solitamente si realizza) non si è verificato.
3) i reati di pericolo presunto: in tale ipotesi l’esistenza del pericolo è “giuridicamente certa” e l’incolpato non potrà difendersi tentando di dimostrarne l’inesistenza ma, semmai, puntando a modificare/confutare altri aspetti della condotta/reato (è il caso, ad esempio, della detenzione illegale di armi: in tale caso l’ordinamento ritiene comunque pericolosa e, quindi, illegale la condotta e l’imputato non potrà difendersi provando di saper maneggiare le armi detenute senza permesso).
In tutti e tre i casi, pur trattandosi di reati di pericolo, bisogna sottolineare che il Legislatore non è venuto meno al c.d. principio di offensività e le condotte non sono punite in quanto tali ma, comuqnue, poichè potenzialmente lesive di beni giuridici rilevanti e tali da realizzare un pericolo concreto (o alla luce di una valutazione effettiva del caso concreto o alla stregua della comune esperienza).
Il collegamento tra antigiuridicità (ovvero punibilità in astratto) ed effettiva potenzialità lesiva è la garanzia che solo le condotte effetivamente atte a modificare la realtà esterna potranno essere considerate reato.
La Corte di Cassazione (la Sezione VI^ penale) si è pronunciata recentemente ribadendo il concetto con una decisione (la n. 46308 del 12 luglio – 29 novembre 2012) in tema di terrorismo internazionale ex art. 270 bis c.p..
“il reato di cui all’art. 270 bis c.p. è un reato di pericolo, per la cui configurazione occorre, tuttavia, l’esistenza di una struttura organizzativa, anche elementare, che presenti un grado diffettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione del progetto criminoso – quindi, NON è necessario che il progetto terroristico e/o eversivo si realizzi (reato di pericolo) ma che almeno ciò possa accadere (il pericolo deve esistere e non solo essere astratto) N.d.r. – e tale da giustificare la valutazione di pericolosità. Peraltro, veretendosi appunto in ipotesi di reato di pericolo, non è necessario che il programma di violenza con finalità di terrorismo sia realizzato o che qualcuno degli affiliati abbia dato inizio all’esecuzione del programma stesso, per esempio partendo per i territori di guerra“.
(Il passo della Sentenza è pubblicato su “Guida al Diritto del 9 febbraio 2013 n. 7 pag. 66).
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