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Chi compie atti sessuali con un minore di anni quattordici è punibile con la stessa pena prevista dalla norma che punisce la violenza sessuale, cioè con la reclusione da cinque a dieci anni.

Sussiste il reato anche quando gli atti sessuali sono compiuti con una persona che abbia già compiuto i quattordici anni, ma non ancora i sedici, quando l’adulto sia l’ascendente, il genitore, il convivente del genitore, il tutore oppure, in generale, persona che – per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia – , abbia l’affido del minore o con cui il minore comunque conviva.

Con una recente sentenza (Cass. 9349/2012) è stato chiarito che sussiste l’ipotesi delittuosa anche quando l’adulto sia rimasto passivo alle attenzioni di carattere sessuale che gli aveva indirizzato la minore coinvolta.

La semplice condotta omissiva – etichettata come “di accondiscendenza” – era da ritenersi secondo i Giudici come “partecipativa” perché il consenso alle iniziative era implicito nella prolungata accettazione.

In sintesi: mentre la violenza sessuale richiede che vi sia costrizione o induzione a compiere o subire atti sessuali, il reato di “atti sessuali con minorenne” incrimina chi compie tali atti “con” un minore; è, perciò, irrilevante la partecipazione attiva o l’iniziativa della minore che è sempre considerata vittima.

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