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VIOLENZA DOMESTICA
Prevenzione, ammonimento e ruolo del questore.

Pubblichiamo un interessante articolo apparso su “Polizia Moderna” del marzo 2019 in tema di violenza domestica scritto da Dott. Giovanni Aliquò (Dirigente Superiore t.SFP della Polizia di Stato).

In particolare, viene analizzato l’istituto dell’ammonimento del questore nei casi in cui venga segnalata (anche da fonte della quale è garantito l’anonimato nel corso della procedura) una situazione di potenziale violenza domestica intendendo con tale termine le condotte descritte dettagliatamente dalla Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 (vedi oltre) agite da coloro che hanno con la vittima una relazione di coabitazione o, comunque, un legame relazionale (incluse le convivenze di fatto e le relazioni “clandestine”).

Particolare rilievo è dato agli agiti maltrattanti commessi da stranieri per motivi religiosi e/o culturali per i quali vi è un riflesso in relazione alla regolare permanenza sul territorio italiano (in certi casi l’ammonimento del questore è sufficiente per l’emissione di un provvedimento di espulsione) che si riflettono anche per il soggetto vittima il quale – al contrario – non può essere espulso sebbene non in possesso di documenti legittimanti il soggiorno.

Sebbene lo Studio Legale de Lalla si occupi prevalentemente della difesa degli indagati/imputati, abbiamo ritenuto opportuno approfondire il tema con la pubblicazione di questo articolo (indubbiamente ben scritto ed altrettanto indubbiamente particolarmente attento alle esigenze delle presunte vittime di violenza domestica) al fine di  mettere in luce alcune fragilità dell’istituto dell’ammonimento del questore in caso di violenza domestica (per certi aspetti esattamente sovrapponibile all’ammonimento del questore nel caso di atti persecutori).

In particolare si rileva che, come in tutti i casi di procedimenti amministrativi cautelari monitori adottati inaudita altera parte, il diritto di difesa dell’incolpato (e, quindi, “bersaglio” del provvedimento di cui si discute) sono indubbiamente a rischio violazione (anche perché, per ragioni di urgenza che il Legislatore lascia nella loro identificazione alla sensibilità del questore medesimo, l’interessato potrà NON essere escusso nella procedura di emissione dell’ammonimento che lo riguarda).

A ciò si aggiunga che:

  • per l’emissione del provvedimento è sufficiente anche solo un “episodio sentinella” e quindi di per sé un fatto che può essere frainteso e non segnatamente una violenza;
  • alla fonte che dà l’avvio al procedimento (che può anche NON essere la presunta vittima) è garantito l’anonimato;
  • il soggetto ammonito può NON essere sentito dagli investigatori nel corso della procedura;
  • se straniero può essere espulso dopo l’ammonimento (come visto, magari senza mai essere sentito prima dagli organi inquirenti);
  • la persona offesa – se straniera – ha garantito il soggiorno a seguito di ammonimento da lei stessa sollecitato.

Certamente la normativa di cui trattiamo è quanto mai opportuna; ma è altresì opportuno che  – preso atto della peculiarità della stessa – essa sia applicata con grande attenzione dagli inquirenti consapevoli della potenziale illegittimità della compromissione dei diritti del destinatario dell’ammonimento.

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VIOLENZA DOMESTICA
Prevenzione, ammonimento e ruolo del questore.

1. Premessa
Il questore, quale autorità di pubblica sicurezza, ha assunto nel tempo un ruolo d’assoluto e centrale rilievo nel campo della prevenzione del crimine. Efficaci, se ben orientati, sono i poteri che la legge gli affida, in particolare, per contenere le violenze di genere, un fenomeno molto diffuso, specie nell’insidiosa forma delle violenze domestiche.
Nella relazione finale della “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” (6 febbraio 2018) (1) , è stata ben messa a fuoco la pervasività del fenomeno, osservando, tra l’altro, come in Italia la “violenza domestica”, nelle sue forme più aggressive, colpisca in misura notevole le donne straniere, probabilmente per la vulnerabilità indotta da differenze linguistiche, culturali e di status giuridico; si è messo pure in luce come, in controtendenza con il graduale contenimento del fenomeno, cresca la preoccupante piaga delle “violenze assistite”, ovvero di minori costretti ad assistere a violenze commesse in famiglia.
Particolarmente odiosi sono quei delitti che, ispirati da una subcultura di sessismo e/o su uno sfondo di predominio patriarcale, negano alla donna i diritti di libertà e quello alla stessa vita: oltre il 70% degli omicidi commessi in ambito familiare ha come vittima la donna. Tuttavia, il fenomeno delle violenze domestiche non è necessariamente limitato agli elementi di sesso femminile, ma può toccare qualsiasi membro di un nucleo familiare o persone legate al maltrattante da relazioni affettive.
In applicazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la giurisprudenza della Corte Edu ha più volte ribadito che, ove ricorra pericolo per l’integrità fisica, bambini e altri soggetti vulnerabili – tra cui vi sono le vittime di violenze domestiche – “hanno diritto alla protezione dello Stato (2), sottoforma di una prevenzione efficace, che li metta al riparo da forme altrettanto gravi di offese all’integrità della persona”. La loro difesa è un obiettivo irrinunciabile per lo Stato e si traduce nel dovere delle Autorità di agire e, dunque, con correlative responsabilità in caso di inerzia da cui derivino conseguenze ulteriori per la vittima.
Per affrontare consapevolmente il pericoloso fenomeno della violenza domestica è indispensabile un forte impegno culturale che deve essere sostenuto da un particolare sforzo di conoscenza e di analisi dei dati (nel 2018 l’Istat ha prodotto un nuovo studio statistico (3) mentre il protocollo Eva – Esame Violenze Agite – del Dipartimento della pubblica sicurezza dà supporto per la più efficace e rapida valutazione e gestione del rischio di letalità, gravità, reiterazione e recidiva), dalla conoscenza del territorio e da una forte capacità d’integrare una complessa rete multidisciplinare e multilivello per l’informazione e per il supporto delle vittime.
Di questa rete per la prevenzione, l’emersione e il contrasto del fenomeno fanno parte il servizio del numero antiviolenza 1522 (sempre attivo 24 ore su 24 e gratuito con operatrici nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo, organizzato dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del consiglio dei ministri), l’Oscad (l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori del ministero dell’Interno), i servizi sanitari, i centri antiviolenza, le scuole, le università e, quale autorità di prevenzione sociale e di polizia, il questore.

2. La normativa di contrasto
Il quadro normativo essenziale per la prevenzione della violenza domestica si racchiude nella cornice della cosiddetta Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 (ratificata con l. 27 giugno 2013 n. 77), del d.l. 23 febbraio 2009 n. 11 (convertito con modificazioni dalla l. 23 aprile 2009 n. 38) e del d.l. 14 agosto 2013 n. 93 (convertito con modificazioni dalla l. 15 ottobre 2013 n. 119) e, da ultimo, la l. 11 gennaio 2018 n. 4, con la quale sono state introdotte misure di prevenzione positiva, ovvero finalizzate a offrire più ampia tutela alle vittime in condizione di vulnerabilità.
L’articolo 3 del d.l. n. 93/2013, in particolare, introduce nell’ordinamento quella che viene espressamente definita come “misura di prevenzione per condotte di violenza domestica”: l’ammonimento del questore. Si tratta di una misura monitoria e cautelare per la quale al questore è riservata ampia discrezionalità (4).
Va subito chiarito che, per “violenza domestica” si intendono “uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”. La definizione della legge riprende, in parte, la Convenzione di Istanbul ma, in parte, ricalca anche il lungo percorso giurisprudenziale in materia di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 c.p.
Di particolare importanza, accanto alle violenze fisiche e sessuali, è il rilievo alternativo assunto da quelle violenze psicologiche ed economiche (5), consistenti in vessazioni tendenti a privare la vittima della sua serenità e indipendenza per destabilizzarla e umiliarla o anche per costringerla a tollerare ingiustificate restrizioni delle sue libertà.
Altrettanto interessante è considerare che i concetti di famiglia, nucleo familiare e relazione affettiva, nel costante mutamento dei rapporti sociali, consentono di intervenire, secondo la ratio della norma, su un’ampia sfera di posizioni meritevoli di protezione: tra esse non rientrano necessariamente più solo quelle del matrimonio o della convivenza monogamica tra uomo e donna, ma anche le altre “unioni civili” oggi riconosciute (6) e, secondo la giurisprudenza della Cassazione, persino le stesse “relazioni clandestine” che siano (o siano state) in certa misura connotate da continuità e reciproco affidamento (7) .
Del pari sembra opportuno tornare a sottolineare come il rapporto tra maltrattante e vittima non è necessario che sia da restringersi alle tradizionali relazioni “affettive” di coppia, ma può estendersi a casi di convivenza o relazione affettiva di altra natura, purché nell’ambito della famiglia o del nucleo familiare: è possibile ipotizzare violenze domestiche anche nei confronti dei figli ovvero di un suocero verso la nuora o nei confronti di un domestico convivente.

3. L’ammonimento del questore
I presupposti ordinariamente necessari per procedere all’ammonimento sono:
1. Un “sintomo spia”, un fatto attuale, imputabile al “maltrattante”, riconducibile ai reati di cui agli articoli 581 c.p. (percosse) e/o 582 co. 2 c.p. (lesioni lievissime) (8);
2. Una segnalazione, purché in forma non anonima, di tale episodio (con garanzia d’anonimato per il “segnalante in buona fede”);
3. L’assunzione di concordanti informazioni da parte degli organi investigativi circa il fatto di cui al precedente punto 1 e a quanto segnalato al punto 2;
4. Il verificarsi di tali violenze domestiche all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva;
5. L’esistenza di “persone informate sui fatti” (diversamente, dunque, dall’autore dei maltrattamenti, che comunque può essere spontaneamente sentito o che può produrre memorie (9)) o di altri “riscontri oggettivi” circa le condotte attuali e pregresse utili a circostanziare “l’ambito di violenza domestica” di cui ai precedenti punti 1 e 3.
Un aspetto assolutamente significativo di questo speciale ammonimento – che lo distingue da quello per atti persecutori di cui all’art. 8 D. L. n. 11/2009, del quale per il resto segue, in quanto compatibile, lo schema procedimentale – è che non è necessaria una richiesta della vittima per attivare il procedimento: il questore procede d’ufficio sulla base di una “segnalazione” il cui autore, se si tratta di un privato, ha garantito dalla legge l’anonimato (tranne il caso in cui la segnalazione stessa non sia dolosamente inattendibile).
Il questore, con valutazione discrezionale, avvia il procedimento amministrativo prestando particolare attenzione ai possibili “sintomi” di un più ampio quadro di violenze domestiche: è essenziale che il suo intervento preventivo, dissuasivo e cautelare anticipi il più possibile la tutela delle vittime, con capacità di analisi di fatti segnalati, attuali e significativi, che pur potendo apparire lievi siano significativi di un clima di violenza domestica. All’uopo deve essere oggetto di continua analisi il patrimonio di informazioni pregresse e/o quelle assunte tramite gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza.
Il questore, quale autorità tecnico-operativa al centro della rete territoriale dell’amministrazione della pubblica sicurezza, anche raccordandosi con altre Istituzioni ed Enti pubblici e privati, nell’istruttoria ha la possibilità di avvalersi di importanti risorse informative, specie ove curi opportunamente i rapporti coi sindaci, col sistema sanitario e con i centri antiviolenza.
L’obiettivo è valicare il muro dell’indifferenza e superare eventuali omertà, anche quando ci si trovi dinanzi a violenze “apparentemente silenti”, per scongiurare il pericolo del loro degenerare in episodi più pericolosi per l’incolumità e la vita della vittima.
Al proposito è bene ricordare che la giurisprudenza appare ormai consolidata nell’affermare che l’alternarsi di periodi di violenze e di “normalità”, ove sussistano fatti attuali, non esclude la possibilità di adottare l’ammonimento in via preventiva, poiché i fatti pregressi potranno essere tenuti in conto nella ricostruzione del quadro di violenze domestiche, senza che possa essere eccepita la discontinuità delle condotte  (10).
Se il “sintomo sentinella” richiesto è un fatto attuale che, anche solo astrattamente, possa essere riconducibile ai reati di cui agli articoli 581 c.p. (percose) e/o 582 co. 2 c.p. (lesioni lievissime), nella forma consumata o tentata, è però necessaria anche l’assunzione di concordanti informazioni da parte degli organi investigativi. Si devono ricostruire oggettivamente e contestualizzare episodi attuali in un quadro di comportamenti analoghi.
Normalmente, devono essere escusse anche eventuali persone informate sui fatti, notificando inoltre al maltrattante l’avviso di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990 (11). Avviso e audizione del maltrattante possono omettersi solo nel caso in cui, sulla base di accertamenti di fatti univoci, sussistano effettivi motivi d’urgenza, da esplicitarsi nella motivazione del provvedimento (12).
Come ogni procedimento preventivo, non è necessario che i fatti accertati costituiscano fonte di una prova ostensibile in un giudizio penale, ma è sufficiente che gli elementi raccolti siano complessivamente coerenti e attendibili, e dunque idonei a fondare il ragionevole convincimento del questore circa l’ipotesi di sussistenza del quadro di violenze domestiche e la necessità dell’intervento preventivo. Trattandosi di una misura di prevenzione personale, gli elementi di fatto richiesti per motivare l’ammonimento, secondo la giurisprudenza amministrativa, possono anche essere al di sotto del livello di quei “gravi indizi di colpevolezza” che, invece, in sede penale devono sussistere per l’emissione di misure cautelari (13).
E’ essenziale che, in tutte le fasi del procedimento, siano assunte le misure atte a salvaguardare, secondo i principi di cui all’articolo 18 della Direttiva 2012/29/Ue, le vittime dal rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, tutelandone la dignità e garantendole da rischi di intimidazione, ritorsioni, danni emotivi o psicologici derivanti da contatti inappropriati con il maltrattante o i suoi sostenitori (14).
L’ammonimento del questore – che deve sempre recare una motivazione logica e coerente anche in relazione alle scelte d’istruttoria procedimentale – si sostanzia in un’intimazione di carattere preventivo, dissuasivo e cautelare. Il contenuto monitorio non deve mai essere generico, ma si deve tradurre in vere e proprie prescrizioni comportamentali che, pur limitandosi a sostanziare precetti astrattamente già previsti dalle norme vigenti, si attaglino, caso per caso, al soggetto cui il provvedimento è destinato, indicandogli anche, in sintesi, le possibili conseguenze di suoi comportamenti non conformi alla legge. Nel contempo, a fini di prevenzione sociale, il questore deve avvisare il maltrattante circa l’esistenza di appositi centri di sostegno presso i quali trovare aiuto psicologico per evitare di ricadere in condotte violente e antisociali.
Il questore, adottato l’ammonimento, è vincolato ad assumere anche provvedimenti che, con la necessaria attenzione al bilanciamento degli interessi, limitino fino anche a escludere la detenzione e il porto delle armi, delle munizioni e, benché la legge non lo preveda espressamente, può adottarne anche di analoghi sugli esplodenti. Per violenze domestiche (sia subite che assistite) che riguardino minori, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1 co. 1 let. c) e 4 co. 1 let. c) D. Lgs. n. 159/2011, il questore potrà anche richiedere, al competente Tribunale M.P., la misura della sorveglianza speciale. Per tutti gli atti persecutori, invece, la misura di prevenzione è espressamente prevista, con una categoria giuridica di pericolosità qualificata, dall’art. 4 co. 1 let. i-ter) D. Lgs. n. 159/2011, modificato dall’articolo 1 co. 1 let. d) L. n. 161/2017 (15).

4. Usi, tradizioni e violenze
Un’attenzione particolare, per quanto detto, dovrà essere dedicata alle violenze domestiche che si consumano in certe comunità di immigrati e che spesso sono il prodotto di (sub)culture presenti in alcuni Paesi di origine, tanto più difficili da eradicare quanto più difetti la reale integrazione sociale.
Coi pretesti di “tradizioni”, riti e precetti “religiosi” e “obbligazioni familiari”, talvolta le donne sono costrette a rinunziare a libertà e diritti costituzionalmente garantiti, obbligate all’uso di capi di abbigliamento rituali non graditi, umiliate e limitate nella loro vita di relazione, indotte a matrimoni forzati e persino sottoposte a mutilazioni dei genitali. A ciascuna di queste condotte, che conculcano la libertà di autodeterminazione della donna, spesso si uniscono fenomeni di violenza domestica di apparente minore rilievo che, tuttavia, possono essere sintomo della patologia in atto e che, comunque, relegano la vittima a una “integrazione subalterna”.
In questi casi gli strumenti a disposizione del questore si ampliano. Oltre all’ammonimento, per l’adozione del quale saranno sicuramente di supporto informativo anche le professionalità degli Uffici immigrazione e la rete di proficue relazioni con qualificati rappresentanti delle comunità, vi sono diversi strumenti per sottrarre le vittime alla spirale della paura, garantendo loro, anche se in posizione di irregolare soggiorno, la possibilità di poter permanere nel nostro Paese.
Un recente indirizzo della Corte di Cassazione (sez. I civile sentenza n. 28152 del 23 giugno – 24 novembre 2017), ad esempio, riformando decisioni di diverso segno ha applicato l’articolo 3 let. b) della Convenzione di Istanbul a casi in cui a una cittadina straniera non sia stata assicurata, nel suo Paese, effettiva tutela da violenze domestiche: la Corte ha ricondotto questa fattispecie nell’ambito dei trattamenti inumani e degradanti, cui fa riferimento l’art. 14 let. b) D. Lgs. n. 251/2007, riconoscendo all’immigrata il diritto di protezione sussidiaria.
L’articolo 4 del D. L. n. 93/2013, novellando il D. Lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull’immigrazione), inoltre, ha introdotto l’art. 18bis, che prevede il rilascio di permesso di soggiorno per “casi speciali” (così rinominato dal recentissimo D. L. 4 ottobre 2018 n. 113 convertito con L. 1 dicembre 2018 n. 132 ancora in corso di conversione) allo straniero vittima, in Italia, di reati persecutori o riconducibili a un ambito di “violenza domestica”. La vittima, denunciando il maltrattante, non deve mai avere timore d’essere espulsa, essendo negato al violento qualsiasi schermo. Il permesso consentirà alla vittima di integrarsi e lavorare, assicurando così la sua indipendenza dal soggetto maltrattante. Per una tutela pienamente effettiva, per vero, sarebbe opportuno che, almeno nel primo periodo, la legge prevedesse espressamente, ove necessiti, anche il sostegno della vittima mediante uno specifico programma di assistenza e inclusione sociale.
Altrettanto netta la disposizione dell’art. 4 D. L. n. 93/2013 nei confronti dello straniero che si renda autore di fatti di violenza domestica.
In particolare, nei confronti dello straniero condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. per uno dei delitti di cui agli articoli 572, 582, 583, 583bis, 605, 609bis e 612bis c.p. o per uno dei delitti previsti dall’art. 380 c.p.p., commessi in ambito di violenza domestica, possono essere disposte la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione ai sensi dell’art. 18bis co. 4bis D. L. n. 286/1998.
In presenza di condanne per reati “ostativi” la giurisprudenza ha riconosciuto che, per l’Autorità di pubblica sicurezza, il provvedimento abbia sostanzialmente natura vincolata nell’an e nel quid: valutata l’assenza di un interesse familiare da tutelare, per la sua dissoluzione o per l’esistenza solo formale dei relativi vincoli, prevalgono sempre le esigenze di sicurezza che trovino fondamento in pregresse condotte gravi e riprovevoli di natura domestica  (16).
La giurisprudenza, inoltre, ritiene che sia anche possibile procedere all’espulsione di uno straniero semplicemente ammonito per fatti di violenza domestica (ma ancora non condannato per i reati ostativi di cui all’art. 4 D. L. n. 93/2013), richiedendo, tuttavia, all’Autorità un’istruttoria più accurata, specie con riguardo al requisito dell’attuale pericolosità del maltrattante, al suo radicamento sul territorio nazionale e ai suoi legami familiari.
Medesimo rigore nei confronti degli autori di violenza domestica e di maltrattamenti è richiesto all’atto della delibazione dell’eventuale istanza per il conferimento della cittadinanza all’ammonito: tali manifestazioni antisociali, unite ad altri elementi, incidono negativamente sull’apprezzamento discrezionale dell’Autorità circa lo stabile inserimento e l’integrazione dello straniero e, secondo la Giurisprudenza amministrativa, legittimano pienamente il rigetto dell’istanza.
In conclusione, pure nella complessità delle dinamiche sociali connesse con i fenomeni di violenza domestica nelle comunità straniere residenti in Italia, al questore, quale responsabile dell’esercizio di essenziali poteri di prevenzione, è riconosciuto il ruolo di autorità di garanzia per il rispetto di principi fondamentali della Costituzione e per la tutela delle libertà e dei diritti delle persone.

NOTE:
(1) In http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1067045.pdf
(2) V. Corte europea dei diritti dell’uomo – Prima sezione – sentenza 2 marzo 2017 (ricorso n. 41237/14) – causa Talpis c. Italia, e copiosa giurisprudenza conforme in materia, citata infra.
(3) A partire dal 23 novembre 2018 l’Istat ha pubblicato sul suo sito “L’indagine sui centri antiviolenza – 2017”. Tale studio è stato realizzato dall’istituto nazionale di statistica nell’ambito di un accordo di collaborazione con il Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del consiglio dei ministri (v. https://www.istat.it/it/archivio/224072). Si segnala anche sul sito dell’Istat il nuovo “datawarehouse dedicato alla violenza sulle donne (violenzasulledonne.Stat), popolato allo stato attuale con i dati, elaborati dall’Istat, del percorso giudiziario (denunce, vittime, autori di reati di genere, procedimenti e condanne) e il quadro informativo integrato sulla violenza contro le donne in Italia (https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne), realizzato anch’esso d’intesa con il Dipartimento per le pari opportunità, da dove, sinotticamente, è possibile accedere a dati, documenti e altre risorse utili alla conoscenza del fenomeno.
(4) La giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito come il provvedimento di ammonimento sia una misura precauzionale con finalità dissuasive e dunque assolva a una funzione tipicamente cautelare e preventiva, in quanto preordinata a trovare un efficace e immediato deterrente nei confronti dell’autore di determinati atti violenti contro la persona, affinché essi non sfocino in esiti ulteriori e irreparabili (Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza n. 01069 del 10-23 febbraio 2012; Consiglio di Stato Sezione III sentenza n. 4365 del 27 maggio – 19 luglio 2011; Tar iemonte Sezione I sentenza n. 9 del 26 settembre 2018 – 2 gennaio 2019; Trga Trento sentenza n. 276 del 22 novembre – 14 dicembre 2018; Tar Campania sezione V sentenza n. 2503 del 25 gennaio – 17 aprile 2018; Tar Friuli Venezia Giulia sentenza n. 248 del 14 – 20 luglio 2017; Trga Trento sentenza n. 329 del 21 luglio – 14 settembre 2016; Tar Lecce Sezione I sentenza n. 1047 del 4 maggio – 29 giugno 2016; Tar L’Aquila Sezione I sentenza n. 98 del 28 gennaio – 12 febbraio 2015).
(5) Mentre non si ritiene di doversi dilungare sui concetti di violenza fisica e sessuale, siccome essi appaiono per lo più ben chiari all’operatore del diritto e alla giurisprudenza, è da ricordare che la violenza psicologica o morale consiste, secondo l’insegnamento della Cassazione, in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima una lesione patrimoniale o non patrimoniale (v. Cass. Pen. sez. II 15 luglio 2016 n. 30302). L’articolo 33 della Convenzione di Istanbul, in merito alla violenza psicologica, recita “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare un comportamento intenzionale mirante a compromettere seriamente l’integrità psicologica di una persona con la coercizione o le minacce”. La violenza psicologica, inoltre, può anche manifestarsi in forme di estrema manipolazione dell’uno sull’altro, quel comportamento del perfetto narcisista che, con abilità anche a presentarsi come vittima, in realtà critica e distrugge moralmente l’altro per privarlo della sua autostima e per ridurlo – con una sottile ma inesorabile violenza psicologica che non è meno pericolosa di quella fisica – in condizioni di annullamento e depressione v. CHAPEAUX-MORELLI P., COUDERC P., “La manipolazione affettiva nella coppia. Riconoscere ed affrontare il cattivo partner”, ed. Psiconline, Francavilla al Mare, (CH) 2011. Si ritiene, invece, che casi di violenza economica possano essere riscontrabili con riferimento a fatti gravi che riconducano, ad esempio, alla fattispecie di cui all’art. 570 co. 2 c.p. ove alla vittima siano fatti mancare i mezzi di sussistenza. Ciò si verifica, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, quando l’omessa assistenza ha l’effetto di far mancare (anche) quanto è strettamente necessario per la sopravvivenza, caso che va distinto da quelli di mera elusione dell’obbligo di mantenimento o di versamento dell’assegno alimentare, aventi una portata diversa e più ampia, come è diversa quella, del tutto autonoma, del reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile previsto dall’art. 12sexies L. 1 dicembre 1970 n. 898.
(6) L. 20 maggio 2016 n. 76 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.
(7) Di recente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 236 del 7 novembre – 14 dicembre 2018, dichiarando illegittima la disposizione dell’art. 4 co. 1 let. a) del D. Lgs. n. 274 del 28 agosto 2000, come modificato dal D.L. n. 93/2013 – siccome il legislatore del 2013, nel modificare il catalogo dei reati attribuiti alla competenza del giudice onorario, è intervenuto sull’art. 4 del D. Lgs. 274/2000, escludendone la competenza in relazione al reato di lesioni lievissime commesso ai danni del solo figlio adottivo, mentre lasciava irrazionalmente al predetto giudice, per il medesimo reato, la competenza a conoscere fatti commessi nei confronti del figlio naturale – ha affermato il principio dell’assoluta eguaglianza di tutti i componenti del nucleo familiare nell’accesso alle tutele previste dalla legge in materia di lesioni lievissime commesse nell’ambito delle relazioni domestiche.
(8) La ratio della normativa in esame, come emerge dai lavori parlamentari, consiste nel mettere a fuoco quei comportamenti “spia”, tra cui le condotte di lesioni, anche lievissime, che possono essere indicativi di un clima di prevaricazione e violenza che, spesso, finisce per sfociare in condotte ben più gravi e abituali, spesso in danno di “prossimi congiunti”.
(9) Trga Trento sentenza n. 29 del 25 gennaio – 1 febbraio 2018 che esclude la necessità per il questore di sentire l’ammonendo quale “persona informata sui fatti” ex art. 8 D. L. 11/2009, argomentando: “Si deve infatti considerare che: A) la locuzione “persone informate sui fatti” appare mutuata dal linguaggio tipico del processo penale, nel quale tale figura è contrapposta a quella dell’indagato; B) non è in discussione la circostanza che nel procedimento finalizzato all’adozione dell’ammonimento trovi applicazione la disciplina del contraddittorio scritto posta dalle disposizioni generali di cui agli articoli 7, 8 e 10 L. 241/1990 e, quindi, se il legislatore avesse realmente inteso imporre anche una forma di contraddittorio orale con l’interessato, avrebbe previsto espressamente l’audizione personale dello stesso; C) la previsione dell’obbligo del contraddittorio orale con l’interessato appare distonica rispetto alla già evidenziata natura dei provvedimenti di ammonimento orale i quali – come si è già detto – non presuppongono (a differenza del procedimento penale, nel quale è espressamente previsto, ex art. 415bis co. 3 c.p.p., il diritto dell’indagato di “presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio”) l’accertamento della commissione di un reato, ma solo che dall’attività investigativa emergano elementi probatori attendibili in ordine all’avvenuto verificarsi del comportamento violento e all’identificazione del suo autore. Pertanto il Collegio conclusivamente ritiene che la mancata audizione personale del ricorrente – peraltro dallo stesso neppure richiesta in sede procedimentale – non configuri, di per sé, una lesione del diritto di difesa tale da inficiare la legittimità del provvedimento impugnato”. Tuttavia, il medesimo Trgs, con sentenza n. 239 del 25 – 31 ottobre 2018 ha parzialmente mutato indirizzo, affermando che “d’altra parte, la norma di cui all’art. 8 D. L. 23 febbraio 2009 n. 11 richiede che siano “sentite le persone informate dei fatti” tra le quali rientra sicuramente il soggetto nei cui confronti è chiesto l’ammonimento, ma non significa che quest’ultimo debba essere necessariamente convocato per rendere oralmente dichiarazioni che egli ben può esporre per iscritto, oltretutto con maggior ponderazione, quindi con maggior completezza ed efficacia, come è avvenuto nel caso in esame. La mancata audizione personale dei ricorrenti – ancorché richiesta in sede procedimentale – non configura, quindi, di per sé, una lesione del diritto di difesa tale da inficiare la legittimità dell’impugnato provvedimento (cfr. Trga Trento n. 329/2016)”.
(10) Cass. sez. III penale sentenza n. 14742 del 11 febbraio – 11 aprile 2016.
(11) V. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 4187 del 15 maggio – 9 luglio 2018 e Consiglio di Stato, sez. III sentenza n. 5676 del 15 luglio – 21 ottobre 2011.
(12) Consiglio di Stato sez. III sentenza n. 5259 del 24 luglio – 6 settembre 2018.
(13) Ex multis Consiglio di Stato sez. III sentenza n. 5259 del 24 luglio – 6 settembre 2018.
(14) V. per gli aspetti di pratica attuazione delle “Sale audizioni protette per le vittime di violenza di genere presso gli uffici della Polizia di Stato”, la circolare della Direzione centrale dei servizi tecnico logistici e della gestione patrimoniale n. 600/A/TLC/0004753/17 del 13.06.2017 nella quale, a seguito di Protocollo d’intessa tra Dipartimento della ps e Dipartimento delle pari opportunità, si danno indicazioni per uniformare tecnicamente le sale a livello nazionale.
(15) Per la cui prima applicazione, a richiesta del questore, in un caso concreto si segnala Tribunale M.P. decreto n. 58 del 9 ottobre 2018.
(16) Consiglio di Stato sez. III sentenza n. 1648 del 6 – 10 aprile 2017; TAR Lombardia sez. I sentenza n. 1818 del 20 giugno – 25 luglio 2018; TAR Lombardia sez. I sentenza n. 549 del 21 – 26 febbraio 2018.

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