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Lo Studio Legale de Lalla si è recentemente occupato del caso di un soggetto condannato in via definitiva per i reati di cui all’art. 12 D.Lvo 286/1998, ovvero in materia di immigrazione clandestina, al quale veniva notificato ordine di esecuzione per la carcerazione ai sensi dell’art. 656 c.p.p. – non sospeso – a cui seguiva l’arresto e l’immediata traduzione in un istituto penitenziario.
Nella specie, nonostante la pena stabilita fosse al di sotto dei tre anni, non veniva disposta la sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, con la conseguente impossibilità di poter richiedere una delle misure alternative alla detenzione (cui la sospensione dell’ordine di esecuzione è funzionale) evitando così l’immediata carcerazione.

Invero, l’argomento è attualissimo e di grande rilevanza dal momento che a seguito della riforma legislativa entrata in vigore con l’emanazione della L. 17 aprile 2015, n. 43, di conversione del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7 tra i reati ostativi alla concessione di una misura alternativa sono state introdotte anche le violazioni previste dall’articolo 12, commi 1 e 3 del testo unico sull’immigrazione (D.Lvo 286/1998) (violazioni per le quali, appunto, veniva condannato l’assistito dello Studio de Lalla).

A questo proposito, ricordiamo brevemente che il Legislatore ha previsto per il condannato in via definitiva ad una pena detentiva non superiore ad anni tre o non superiore ad anni sei (nel caso in cui si tratti di soggetti tossicodipendenti che abbiano in corso un trattamento per la disintossicazione oppure abbiano commesso il reato per ragioni legate alla tossicodipendenza) la possibilità di beneficiare di misure alternative alla detenzione.

Le misure alternative alla detenzione sono regolate dagli artt. 47-52 della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario e sono principalmente:

– l’affidamento in prova al servizio sociale,

– la detenzione domiciliare,

– la semilibertà.

Tuttavia, il Legislatore ha espressamente previsto delle preclusioni alla concessione dei suddetti benefici rispetto a determinate fattispecie di reato, così come disciplinate all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario.
Invero, l’articolo 4 bis al comma 1 reca una disciplina speciale, a carattere restrittivo, per la concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o internati, che si presumono socialmente pericolosi in ragione del tipo di reato per il quale la detenzione o l’internamento sono stati disposti.

Si tratta, innanzitutto, di quei reati legati alla criminalità organizzata come i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione, l’associazione di tipo mafioso e i relativi “delitti-satellite”, il sequestro di persona a scopo di estorsione, l’associazione finalizzata al narcotraffico, l’associazione volta allo sfruttamento della prostituzione nonché l’associazione finalizzata alla tratta di persone.

Per i soggetti condannati per uno dei suddetti delitti la legge prevede l’accesso ai benefici penitenziari extramurari (ovvero l’affidamento in prova ai servizi sociali in primis) solamente nel caso in cui tali detenuti collaborino con la giustizia, assumendolo quale indice di una rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata e dunque del venir meno della pericolosità sociale.
Tuttavia, nelle ipotesi in cui un’utile collaborazione con la giustizia risulti inesigibile o si riveli oggettivamente irrilevante (ad esempio per una limitata partecipazione al fatto criminoso o perché i fatti sono già stati accertati integralmente), la norma estende la possibilità di accesso ai benefici sempre che sia esclusa l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

Ulteriori reati ostativi sono alcuni delitti a carattere sessuale, per i quali la concessione dei benefici di cui si tratta è subordinata agli esiti di una valutazione della personalità del condannato.

Ciò premesso, come detto, ad oggi anche i reati in materia di immigrazione clandestina (nello specifico l’articolo 12, commi 1 e 3 D.Lvo 286/1998) sono considerati reati ostativi di cui all’art. 4 bis o.p..

Ebbene, a parere di chi scrive proprio l’introduzione nell’art. 4 bis o.p. delle violazioni previste dall’art.12 cit. impone, anzitutto, alcune considerazioni circa l’opportunità di una simile scelta legislativa politico-criminale.
Difatti, se da un lato l’intento è proprio quello di reprimere più duramente i fenomeni associativi transnazionali dedicati alla tratta di essere umani (quelli tristemente noti che molto spesso si tramutano in vere e proprie tragedie del mare ove periscono decine di migranti anche poco al largo delle nostre coste), dall’altro penalizza anche quelle condotte criminali che di molto si discostano da quelle tipiche dei trafficanti di uomini che la disciplina in oggetto vuole colpire.

Nella specie, all’assistito dello Studio de Lalla veniva contestato il fatto di aver favorito con la propria condotta la permanenza illegale nel territorio dello Stato italiano di cittadini extracomunitari.
In particolare, la condotta posta in essere dal medesimo era consistita nell’aver inoltrato presso l’autorità competente, tramite i p.c. presenti nel proprio studio professionale, le c.d. domande di nulla osta volte alla regolarizzazione sul suolo italiano di lavoratori stagionali extracomunitari; domande che, tuttavia, erano finalizzate ad assunzioni che si erano rivelate fittizie, in quanto tra i cittadini stranieri e i datori di lavoro indicati nelle richieste di nulla osta non veniva instaurato alcun rapporto di lavoro.
Alla luce di ciò risulta evidente come la novella legislativa di cui si è detto finisca per porre sullo stesso piano condotte che, seppur considerate nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 12 del D.lgs. 286/1998, concretamente risultano meno gravi e assolutamente lontane da quelle tipiche di una criminalità organizzata volta al traffico di essere umani.

Premessa questa breve riflessione, tornando al caso di specie, il difensore, preso atto della intervenuta riforma legislativa di cui si è detto, presentava al Magistrato e al Tribunale di sorveglianza (ovvero gli organi competenti a decidere in relazione alla richiesta di misure alternative) un’istanza volta ad ottenere l’applicazione di uno dei benefici di cui si tratta, illustrando come nel caso del proprio assistito, sebbene condannato per uno dei reati di cui all’art. 4 bis o.p., ricorrevano tutte le condizioni di legge per la concessione di una misura alternativa (e, nello specifico, la prestata collaborazione già in fase di indagine e, comunque, l’inesistenza anche nell’ipotesi accusatoria di qualsivoglia ipotesi associativa).

Riportiamo qui di seguito l’articolata richiesta di misura alternativa presentata dallo Studio legale de Lalla.

La richiesta era finalizzata alla concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale con istanza di provvisoria applicazione del beneficio – in attesa della pronuncia del Tribunale di Sorveglianza – al Magistrato di Sorveglianza preso atto del grave pregiudizio per il richiedente dato da precise e documentate esigenze familiari.

L’istanza tutta era tesa ad illustrare compiutamente al Giudice la posizione del detenuto (un professionista fino a quel momento incensurato) nonché la sua collaborazione prestata già in fase di indagini preliminari (sancita anche in Sentenza con la concessione della specifica attenuante prevista dall’art. 12 comma III quinques della Legge 286/1998 “testo unico sull’immigrazione) e il difetto di qualsivoglia ipotesi accusatoria associativa.

L’argomentazione comprendeva anche una attenta analisi della natura della Legge in argomento e come la stessa fosse stata promulgata per colpire fenomeni criminali di natura diversa e ben più grave rispetto a quelli contestati al richiedente.

Da ultimo – dal punto di vista strettamente compilatorio – occorre sottolineare come nel corpo dell’istanza le argomentazioni venivano illustrate anche inserendo passaggi in PDF di atti processuali per la migliore rappresentazione anche grafica delle tesi difensive.

ON.LE TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
DI ……

ON.LE MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
DI …….

Richiesta di affidamento in prova
al servizio sociale ex art. 47 O.P.
con
richiesta di provvisoria concessione ex art. 47 comma IV^ O.P.

Il sottoscritto Avv. Giuseppe Maria de Lalla del Foro di Milano, con studio in Milano, Via Francesco Sforza 19, quale difensore di fiducia del Signor
C. F.
compiutamente generalizzato in atti, attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di….
PREMESSO
• Che nei confronti del F. è in esecuzione la Sentenza n. …. Reg. Gen. …..– RGNR n. ….. emessa in data …… dalla Corte d’Appello di …… in riferimento alla Sentenza emessa in data …… dal GUP presso il Tribunale Ordinario di ……, divenuta definitiva in data …… a seguito della dichiarazione di inammissibilità del Ricorso per Cassazione con decisione n. Reg. Gen. …….;
• Che in data …… veniva notificato al F. in quanto condannato libero Ordine di esecuzione per la carcerazione ex art. 656 co. 1 c.p.p. (all.to 1);
• Che il F., pertanto, veniva scortato presso il locale penitenziario di…. ove attualmente si trova ristretto;
• Che il F. come si evince dall’Ordine di esecuzione notificatogli veniva condannato alla pena finale di anni 2 mesi 6 e giorni 20 oltre al pagamento della pena pecuniaria di Euro 971.200,00;
• Che tuttavia, il F. aveva già scontato in regime di custodia cautelare in carcere mesi 2 e giorni 4 nel periodo dal 19.1.2012 al 22.3.2012;
• Che successivamente il F. presso la propria abitazione trascorreva il periodo di mesi 8 e giorni 2 ovvero dal 23.3.2012 al 24.11.2012 in regime di arresti domiciliari;
• Che il sottoscritto difensore depositava nella giornata del ….. istanza per l’ottenimento a favore del F. della liberazione anticipata in relazione al presofferto cautelare patito;
RILEVATO
• Che il Magistrato di Sorveglianza in data …… concedeva al F. giorni 45 a titolo di liberazione anticipata alla luce della circostanza che l’istante durante il periodo di privazione della libertà “ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, desumibile da un comportamento rivelatore del positivo evolversi della sua personalità” (All.to 2);
• Che – quindi – ad oggi …. l’istante deve scontare la pena pari mesi 16 e giorni 16 di detenzione ed invero:
– Pena finale mesi 28 e giorni 20 di detenzione;
– Presofferto cautelare mesi 10 e giorni 5;
– E quindi pena da espiare mesi 18 e giorni 15;
– Sottratti a titolo di L.A. giorni 45;
– Mesi 17 di detenzione;
– Sottratti i giorni espiati dal 28.10.2015 ad oggi 11.11.2015:
– PENA RESIDUA AD OGGI MESI 16 E GIORNI 16.
PRESO ATTO
• Che il F. veniva condannato per un reato che risulta essere ostativo alla richiesta di misura alternativa poiché – dal marzo 2015 a seguito della nota riforma legislativa – inserito nei reati di cui all’art. 4 bis O.P. (nello specifico: art. 12 commi 1 e 3 D.Lgs 286/1998);
• Che, come noto, l’ostatività di cui si tratta NON risulta essere totale dal momento che (a seguito dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale) il medesimo articolo 4 bis O.P. precisa che le misure alternative possano essere concesse in quei casi:
….1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purche’ siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva, altresi’ nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita’, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonche’ nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116,secondo comma, del codice penale…..
OSSERVATO
Non è questa certamente la sede per analizzare l’opportunità politica dell’introduzione nell’art. 4 o.p. delle violazioni previste dall’articolo 12, commi 1 e 3, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 né, del resto, vi sarebbe alcuna utilità pratica di una critica di tale scelta del Legislatore che penalizza condotte come quella addebitata al F. assolutamente lontane da quelle tipiche dei “mercanti di uomini” che la disciplina in oggetto vuole colpire (ed il Giudice potrà compiutamente conoscere la vicenda dell’odierno istante anche solo leggendo la Sentenza di Appello – confermata in Cassazione – che qui si allega).
Ciò che qui rileva grandemente è illustrare al Magistrato di Sorveglianza che nel caso del F. (lo ripetiamo, cittadino italiano Dottore commercialista del tutto estraneo al circuito giudiziario prima di questa vicenda) ricorrono tutte le condizioni di legge per la concessione di una misura alternativa (nella fattispecie: la detenzione domiciliare presso il medesimo domicilio ove lo stesso veniva posto in fase di indagini agli arresti domiciliari).
La lettura della Sentenza – come detto – darà al Giudice ogni elemento in tal senso.
Ed invero:
– La realtà accertata con le indagini e successivamente “coperta” dal Giudicato della Cassazione ha escluso qualsiasi vincolo associativo tra i concorrenti (F. compreso) e – soprattutto – il difetto (anche solo quale ipotesi puramente investigativa) “…di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva..” a cui fa riferimento l’articolo 4 bis O.P..
Sul punto è bene precisare che si è trattato di un concorso nel medesimo reato di più soggetti non associati e del tutto privi di qualsivoglia pericolosità associativa ed alieni – del tutto – da qualsivoglia collegamento con la criminalità organizzata o meno (si è trattato di cittadini italiani e stranieri quasi tutti incensurati).
Non è, quindi, possibile disquisire in modo alcuno circa l’attualità o meno di legami del F. che non si sono mai, in alcun modo verificati e che non sono stati mai nemmeno ipotizzati dagli inquirenti e – prima – dagli investigatori.
Non vi è residuo alcuno di allarme sociale collegato a contatti con la criminalità organizzata di qualsiasi natura perché i fatti per i quali il F. veniva condannato non hanno giammai contemplato ipotesi di tale genere.
– Altro tema fondamentale è quello della collaborazione (utile) del richiedente (collaborazione che farebbe venire meno l’ostatività della norma alla concessione di una misura alternativa).
Sul punto bisogna fare una distinzione per meglio comprendere il caso del F. ed invero occorrerà analizzare separatamente:
L’Effettiva collaborazione prestata dal F. già durante le indagini preliminari ed il riconoscimento della stessa in Sentenza anche con la concessione della diminuente ex art. 12 comma III^ quinques Decreto legislativo 286/98 (……Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti…..);
L’integrale accertamento dei fatti di cui vi è stato processo sancito con la Sentenza irrevocabile; aspetto anche questo indicato dall’art. 4 bis O.P. quale condizione per la concessione delle misure alternative nel caso di condanne inflitte per i reati elencati.

La collaborazione prestata dal F. durante la fase delle indagini preliminari.
A pag 9 della Sentenza che qui si allega (emessa dalla Corte di Appello competente e poi confermata dal Collegio romano) è esplicitamente menzionata la collaborazione del F. concretizzatasi in due distinti interrogatori dallo stesso sollecitati e rilasciati avanti al PM.
Tale evenienza comportava il riconoscimento al condannato della specifica attenuante speciale di cui al richiamato articolo 12 comma III^ quinques D. Lgs. 286/1998:

(…n.b. qui si riportava nell’istanza in formato pdf un estratto della Sentenza in cui il Giudice elencava le ragioni per le quali ricorrevano nel caso di specie le attenuanti ex art. 12 comma III quinquies del D.l.gs 286/98:
Quanto all’attenuante della c.d. collaborazione, non è dubbia in base agli atti citati ed è stata confermata dal Pubblico Ministero, come il F. si sia adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori aiutando concretamente l’autorità di polizia giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e cattura dei complici. Egli merita quindi l’applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 12 comma III quinquies del D.l.gs 286/98 che consente la riduzione della pena fino alla metà”.

Si evince, quindi, che il F. rientra effettivamente in quella categoria di soggetti condannati per un reato ex art. 4 bis O.P. (o, meglio, per uno dei predetti reati inseriti nella norma di riferimento da soli pochi mesi!) per i quali il Legislatore ha previsto di concedere i benefici delle misure alternative alla detenzione preso atto del loro spontaneo adoperarsi in termini di collaborazione con gli inquirenti.
Nella vicenda che qui interessa, peraltro, non è e non era possibile esigere alcuna altra forma di collaborazione (che nel caso di specie, peraltro, è stata del tutto tempestiva) quali ad esempio il “pentimento” o la dissociazione ex art. 58 O.P. posto che NON si è trattato di una vicenda criminale caratterizzata – come detto – dal fenomeno associativo (organizzato o meno) e men che meno ideologicamente connotata (e tali aspetti devono essere menzionati – anche solo per escluderli come nel caso che qui si tratta – posto che l’art. 4 bis O.P. li indica senza eccezione alcuna per i reati indicati sebbene lo stesso articolo sia stato evidentemente pensato dal Legislatore per fenomeni criminali di eccezionale rilevanza e allarme sociale e solo successivamente – nel marzo del 2015….- il medesimo Legislatore abbia deciso di innestare nel corpo della norma la previsione dell’art. 12 commi 1 e 3 del Decreto Legislativo 286/1998 con l’intento di reprimere più duramente i fenomeni…quelli si!….associativi transnazionali dedicati alla tratta di esseri umani ovvero a condotte criminali del tutto diverse e ben più gravi di quelle contestate al condannato F. e agli altri correi).
Sempre in tema di collaborazione dell’istante, bisogna qui menzionare anche il riconoscimento della stessa da parte del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di….. (con parere favorevole del PM) che in data ….., ovvero durante la fase delle indagini preliminari, attenuava il regime cautelare inflitto all’allora indagato con l’ordinanza sotto riportata che dava atto della condotta ampiamente collaborante dell’incolpato:

(….n.b. qui si riportava nell’istanza in formato pdf un estratto dell’ordinanza con la quale il Giudice attenuava la misura cautelare custodiale sostituendola con quella degli arresti domiciliari, dando atto della collaborazione resa dal F….):
“..atteso che l’istanza appare fondata in quanto il F. risulta aver fornito dichiarazioni collaborative nel corso dell’interrogatorio del …., tanto che come si evince dal seguito della Squadra Mobile della locale Questura in data…. è lo stesso F., in tale sede, a indicare nel dettaglio ciascun segnalatore per ogni singolo straniero poi inserito nelle domande di nulla osta dei due formali datori di lavori B.G e B.D.;
ritenuto quindi che tale condotta possa determinare l’attenuazione delle esigenze cautelari poste a base della originaria ordinanza e che appaia adeguata la misura sostitutiva richiesta, con le cautele indicate..”

Bisogna, quindi, dare atto che già durante la fase delle indagini preliminari veniva riconosciuta la collaborazione concreta ed effettiva con gli inquirenti del F. al quale – per tale motivo – veniva applicata con Sentenza irrevocabile la diminuente speciale dell’art. 12 comma III quinques (oltre che le circostanze attenuanti generiche) nonché, ancora prima, veniva ritenuto meritevole di un affievolimento del regime cautelare (previo consenso del PM).
L’integrale accertamento dei fatti.
E’ d’obbligo in questa sede anche esplorare tale evenienza benché l’accertamento della collaborazione pare avere potere assorbente su ogni altra deduzione in merito.
Come detto, e come la Sentenza allegata mette in luce chiaramente, la vicenda per la quale veniva condannato il F. risulta essere del tutto esaurita e caratterizzata dal difetto di qualsivoglia organizzazione illegale giuridicamente associativa.
Il perseguimento e la successiva condanna di tutti i correi (molti dei quali “patteggianti”) ha permesso di accertare tutti i fatti connessi alle condotte contestate e porre fine ai reati allora commessi, ipotizzati dal PM ed accertati in tutti e tre i gradi di giudizio ai quali il condannato F. accedeva.
Non esistono altri correi rimasti ignoti e le condotte reato venivano tutte individuate (anche grazie al F., come visto e documentato) di tal che ben può affermarsi che questa vicenda rientra – anche sotto questo profilo – nella clausola di riserva di cui all’art. 4 bis O.P. laddove la norma prevede che anche in difetto di collaborazione possano concedersi le misure alternative a quei condannati qualora “….l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità,, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia …”
****
Può affermarsi obbiettivamente (e forti dei provvedimenti sia del GIP che di tutti e tre i Giudici del merito che riconoscevano l’attenuate speciale della collaborazione) che il condannato F. grazie alla sua collaborazione con gli inquirenti – sebbene condannato per uno dei reati ex art. 4 bis O.P. – rientri in quei soggetti per i quali nulla osta alla concessione di una misura alternativa.
Nel medesimo senso deve essere valutata l’inesistenza di qualsivoglia struttura criminale organizzata dalla quale il F. dovrebbe prendere giuridicamente le distanze; struttura che nemmeno il PM agli albori del procedimento in questione ha mai minimamente paventato (e la conclusione opposta del Giudice che legge metterebbe il condannato nella kafkiana posizione di dover dimostrare di essersi staccato da una entità – l’organizzazione criminale – mai esistita in questa vicenda giudiziaria).
La difesa, poi, in questa fase in cui la personalità del condannato assume una importanza fondamentale nel giudizio prognostico tipico della concessione delle misure alternative deve porre l’attenzione del Giudice su alcuni aspetti satellite ma utili circa la decisone che qui si reclama:
– Il F. era un soggetto, prima di questa condanna, del tutto incensurato;
– È radicato sul territorio, laureato e lavoratore;
– Può contare sull’appoggio del padre ed ha trascorso 8 mesi in regime di arresti domiciliari accudito dal genitore presso il medesimo domicilio indicato nell’istanza depositata a codesto Giudice per la concessione della misura alternativa;
– La condotta del F. in regime cautelare è stata sempre irreprensibile;
– Fino a 5 mesi fa la condanna residua che il F. deve ad oggi scontare – un anno e otto mesi senza contare la L.A. già maturata e richiesta con l’istanza già depositata a codesto Giudice – avrebbe comportato la sospensione dell’ordine di esecuzione;
– Obbiettivamente, il Legislatore ha introdotto nell’art. 4 bis O.P. le norme del Decreto Legislativo 286/1998 (per le quali veniva condannato il F.) pensando a crimini concretamente ben più gravi di quello commesso dall’odierno istante posto che – come noto – la norma in parola menziona il terrorismo e l’eversione oltre a gravissimi reati connessi agli stupefacenti e quelli sessualmente connotati nelle fattispecie più gravi;
– L’effetto deterrente per il F. di questa vicenda tutta è stato ed è assolutamente profondo, durevole e importante. Egli ha visto la propria vita sconvolta (segnata anche dalla separazione della moglie seguita alla carcerazione) e le ripercussioni sono state negativamente eccezionali anche nella sfera lavorativa del condannato (libero professionista), sebbene ultimamente egli avesse saputo riorganizzarsi (e sul punto si segnala che la richiesta detenzione domiciliare metterebbe il F. in condizione di poter lavorare).
RILEVATO
– che l’istante non è socialmente pericoloso e non fa parte di alcun sodalizio criminale;
– che non esiste un concreto, oggettivo e riscontrabile pericolo che l’istante possa commettere altri reati, dal momento che – sebbene si tratti di valutare un’evenienza probabilistica – appare del tutto improbabile che un soggetto del tutto incensurato (escluso il reato per il quale è detenuto) come il F. possa determinarsi nuovamente a commettere un reato;
– che a seguito della conferma della condanna inflitta e dell’esperienza intramuraria (già vissuta e che il F. sta attualmente vivendo) in considerazione anche dell’impatto emotivo della stessa non si può non considerare l’effetto deterrente nei confronti del condannato del tutto incensurato;
– che tra l’altro non è da sottovalutare l’impatto emotivo che ha avuto sull’istante anche la notizia dell’imminente carcerazione a causa della quale subito dopo la notifica dell’Ordine di esecuzione veniva colto da malore e scortato presso il nosocomio cittadino;
EVIDENZIATO
• che, come già indicato in premessa, non vi è pericolo alcuno di fuga posto che l’istante ha sul territorio ….. l’intera famiglia che lo sostiene sebbene detenuto (e a maggior ragione lo farà se ammesso al beneficio che qui si chiede);
• che la sorella del F., come si evince dalla attestazione rilasciata dall’Azienda Ospedaliera di….., è affetta da schizofrenia e, pertanto “richiede una costante assistenza da parte dei familiari data la NON autonomia funzionale personale. La rete sociale è assolutamente limitata all’ambiente familiare e ogni tentativo di inserire la paziente presso una struttura riabilitativa non ha avuto l’aderenza della paziente stessa” (all.to 3).
• che, al di là di ogni retorica, l’accoglimento della presente istanza (che documenta una concreta ed opportuna alternativa alla detenzione) rappresenta per il F. (cittadino italiano Dottore commercialista del tutto estraneo al circuito giudiziario prima di questa vicenda) la possibilità di reinserirsi nel tessuto sociale e soprattutto di coadiuvare l’anziano padre nella difficile gestione della sorella gravemente malata.
Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore
CHIEDE
In via preliminare:
che L’Ill..mo Magistrato di Sorveglianza di ….. Voglia concedere la provvisoria applicazione della misura alternativa richiesta presto atto che:
– non vi è pericolo alcuno di fuga come esposto in narrativa;
– che in merito al grave pregiudizio patito dal F. occorre osservare che, innanzitutto, il pregiudizio è connesso allo stato stesso di detenzione occorso nel caso specifico per una modifica Legislativa di soli alcuni mesi addietro (aprile 2015) che non ha permesso la sospensione dell’ordine di esecuzione per una pena finale di poco più di 18 mesi (limite previsto anche per la c.d. “svuota carceri) inflitta ad un soggetto del tutto incensurato e la cui collaborazione – come visto – veniva riconosciuta già durante le indagini preliminari, confermata dal GIP nell’ordinanza di modifica della misura cautelare e poi sancita dal Giudice del merito in Sentenza (in tutti e tre i gradi di giudizio).
Ciò posto, nel caso che ci riguarda la protrazione dello stato di detenzione del F. provoca allo stesso anche il ben più accertabile e concreto pregiudizio della potenziale lesione dei suoi legami familiari.
Ed invero, come documentato, egli è l’unico a prendersi cura della sorella schizofrenica da anni e cronicamente incapace di badare a se stessa.
Peraltro, l’assenza del F. da casa oltre ad impedirgli di prendersi cura della sorella, espone concretamente il padre dell’istante (ultrasettantenne) al pericolo di vivere con un malato di mente grave.
Il F., quindi, vive e subisce effettivamente il grave pregiudizio di cui alla norma di riferimento in via mediata ma assolutamente concreta nelle ripercussioni patite direttamente dalla sua persona.
Si tratta, invero, di un pregiudizio vero e proprio che egli soffre quotidianamente oltre alla afflittività insita nella privazione della libertà.
Il grave pregiudizio de quo rischia – prolungandosi la detenzione in attesa della concessione della misura alternativa richiesta per la quale non vi è motivo ostativo alcuno – di divenire danno rilevante e definitivo qualora la malattia della sorella provocasse conseguenze (anche fisiche) dannose per la donna stessa e per l’anziano padre del F..
In via principale
Che l’On.le Tribunale di Sorveglianza di….. Voglia concedere all’istante la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali per il residuo di pena detentiva ancora da scontare.
Con osservanza.
Milano, lì …….
Avv. Giuseppe Maria de Lalla

(Articolo redatto dalla Dott.ssa Silvia Meda dello Studio de Lalla e dall’avv. de Lalla. Istanza redatta dall’Avv. de Lalla. Ogni diritto riservato).

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