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La REVISIONE DEL PROCESSO prevista dagli arti 629 e ss. del codice di procedura penale, è una IMPUGNAZIONE STRAORDINARIA avverso Sentenze (di condanna) già passate in giudicato ed anche eventualmente già espiate dal condannato.
I casi di revisione sono tassativi e sono indicati dalla Legge (vedi oltre).
Si tratta di un istituto frutto, direi, di una logica scelta del Legislatore per la quale non è ammissibile che una Sentenza di condanna – sebbene passata in giudicato, sebbene espiata per intero o in parte dal condannato, sebbene nel corso della revisione il condannato deceda (art. 638 c.p.p.) – rimanga tale quando emergono elementi (tassativamente indicati dalla Legge) alla luce dei quali (unitamente a quelli già raccolti nel Giudizio) il condannato risulta innocente o . comunque, sorga un ragionevole e concreto dubbio circa la sua colpevolezza (vedi oltre).

Il procedimento di revisione si articola in due fasi distinte:
LA FASE RESCISSORIA. L’istanza di revisione va presentata presso la Corte di Appello del Giudice che ha emesso la condanna. Se la Corte di Appello accoglie la domanda di revisione, REVOCA la Sentenza di condanna e TRASMETTE gli atti al Giudice di primo grado.

LA FASE RESCINDENTE è quella successiva che si svolge avanti al Giudice del primo grado e consta della nuova decisione a seguito degli elementi nuovi sui quali (unitamente alle prove già acquisite) si basa la richiesta revisione.

Si tratta, come detto, di una IMPUGNAZIONE STRAORDINARIA che nella pratica è raramente accolta anche perché – seppur ispirata ad un sacrosanto principio di civiltà giuridica (e non solo) – rappresenta una eccezione all’irrevocabilità della Sentenza passata in giudicato (peraltro, l’istituto della revisione NON si applica alle Sentenze irrevocabili di assoluzione).

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Qui di seguito sarà illustrato un CASO REALE (OVVERO UN ESEMPIO PRATICO E CONCRETO) di giudizio di revisione affrontato dallo STUDIO LEGALE DE LALLA e tutt’ora pendente essendo stata annullata dalla Corte di Cassazione l’ordinanza della Corte di Appello competente che rigettava la richiesta di revisione.

In particolare si sottolinea e dimostra come la procedura di revisione ad iniziativa del condannato trovi spesso (se non sempre) ragione e causa NELLE INDAGINI INVESTIGATIVE DIFENSIVE EX ARTT. 391 BIS E SS. C.p.p. nonché sull’apporto di CONSULENZE TECNICHE DI PARTE (ad opera di consulenti esperti individuati e coordinati dal Difensore) anche in difetto di perizia disposta dal Giudice del merito.

Su questi aspetto (le indagini investigative difensive propedeutiche per la richiesta di revisione) ci tengo particolarmente a sottolineare alcuni aspetti fondamentali di tale attività che – credo – ancora oggi sia spesso sottovalutata e/o attuata in modo non sempre efficace.

in particolare:

  • svolgere INDAGINI INVESTIGATIVE DIFENSIVE E’ UN OBBLIGO DEONTOLOGICO DEL DIFENSORE;
  • le indagini della DEVONO ESSERE COORDINATE E – PER QUANTO POSSIBILE – DAL DIFENSORE che ne è il responsabile e che all’uopo deve farsi rilasciare dal Cliente una delega scritta con data certa;
  • le indagini della Difesa devono prendere le mosse A) DA QUANTO RIFERITO DAL CLIENTE. B) DALL’ESAME DEGLI ATTI DEL PROCESSO ALLA LUCE DEI QUALI VALUTARE SE I NUOVI ELEMENTI SONO DAVVERO TALI OPPURE NO;
  • il rispetto delle FORMALITA’ DI LEGGE nell’esecuzione delle indagini investigative difensive è FONDAMENTALE non solo perché garanzia di legalità e correttezza, ma anche poiché la prova acquisita senza il rispetto dei canoni dettati dal Legislatore è INUTILIZZABILE.

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(Il caso trattato dallo Studio de Lalla. A cura dell’Avv.to ELVIRA LA FERRERA).

Lo Studio Legale de Lalla si è recentemente occupato della complessa vicenda giudiziaria che coinvolgeva un giovane a seguito della relazione sentimentale nata in tenera età con una coetanea (protrattasi dal 2009 al 2011) nel corso di un arco temporale che interessava i due giovani nel passaggio dalla minore alla maggiore età.
La lunga premessa relativa alla fase del giudizio di merito – anche se non curato dallo Studio Legale de Lalla – è fondamentale al fine di comprendere al meglio l’importanza delle investigazioni difensive compiute per l’individuazione delle nuove prove e altresì in riferimento alla difficoltà e all’impegno profusi nella ricerca del dettaglio processuale, per poter garantire al giovane condannato la possibilità di una rivalutazione del proprio giudicato.
La vicenda giudiziaria aveva il suo inizio quando i genitori della minore depositavano un esposto nei confronti del giovane fidanzato riferendo che la figlia era vittima da tempo, ad opera del fidanzato, di ripetute condotte maltrattanti e di percosse che le avevano causato – a loro dire – vistosi ematomi.
Allegavano all’atto foto scattate alla figlia comprovanti – sempre a loro avviso – l’entità e la sussistenza delle percosse inferte alla giovane e della condotta antigiuridica del fidanzato.
La ragazza veniva ascoltata dagli inquirenti della locale Procura ed in tali occasioni, riferiva per la prima volta all’Autorità Giudiziaria di ingiurie, percosse e violenze che avrebbe subito da parte del fidanzato per quasi l’intera durata della relazione amorosa.
Proprio in occasione di tali audizioni, la giovane rivelava di aver avuto rapporti sessuali anali non consenzienti ai quali veniva costretta “con le maniere forti” dal fidanzato che non avrebbe esitato a picchiarla pur di raggiungere l’intento e piegarne la volontà.
In sede di interrogatorio, il ragazzo indicava i nominativi di amici che frequentavano la coppia e che avrebbero potuto riferire dell’assenza di segni di violenza sul corpo della ragazza, avendo trascorso insieme anche delle giornate al mare.
L’indagato, già all’epoca, era in possesso di documentazione fotografica comprovante i momenti felici trascorsi dalla coppia – anche in compagnia dei di lui genitori – e l’assenza di ecchimosi sul corpo della ragazza.
Alcune delle foto, infatti, la ritraevano abbigliata con pantaloncini e abiti estivi dai quali non trapelavano segni di percosse. Anzi, documentavano la serenità del rapporto e le iniziative intraprese per il compleanno del fidanzato.
Dalle foto in possesso dell’allora indagato, si evinceva, contrariamente a quanto asserito dai denuncianti, che la ragazza non era costretta ad indossare abiti accollati anche durante la stagione estiva per evitare di scatenare la gelosia del fidanzato.
A seguito dell’attività investigativa, il Pubblico Ministero procedente comunicava alle parti la conclusione delle indagini preliminari e formulava richiesta di rinvio a giudizio per quattro capi di imputazione.

Il processo aveva inizio con la deposizione della persona offesa che riferiva al Tribunale, con dovizia di particolari, dalla genesi della relazione fino alla sua conclusione. In particolare, la ragazza descriveva ai Giudici un rapporto inizialmente “sano” che mutava nel gennaio 2010, quando vi era un cambiamento radicale dell’atteggiamento del fidanzato nei suoi confronti dovuto alla gelosia generata da un sms di auguri inviato dalla ragazzina ad un amico.
Questa la ragione che, a detta della giovane, avrebbe inferto un primo cambiamento in negativo alla relazione.
Dalla narrazione emergeva, inoltre, che un altro episodio scatenante la gelosia, sarebbe stato invece riconducibile ad un intervento chirurgico al quale ella si sottoponeva.
L’istruttoria proseguiva con l’esame dei testi del pubblico Ministero e della parte civile.

La difesa dell’accusato, in tale occasione, chiedeva al Tribunale di poter produrre delle foto della giovane donna risalenti all’estate 2011 (che ritraevano la ragazza abbigliata con canotta e pantaloncini), le foto del 18° compleanno del fidanzato e un video del 30 agosto 2011 in occasione di una gita; immagini dalle quali non sarebbero ravvisabili segni di percosse inferte alla ragazza, né tanto meno segni di sofferenza psicologica.
Con Ordinanza il Tribunale rigettava la richiesta reputando tali allegazioni irrilevanti “ai fini della prova degli specifici fatti addebitati”.
L’imputato decideva di sottoporsi all’esame fornendo al Tribunale una dettagliata descrizione dei fatti e del rapporto tra la fidanzata e i di lei genitori che, pur di osteggiare la relazione tra i due ragazzi, non esitavano a ricorrere alle maniere forti.
Atteggiamento che aveva causato alla ragazza le lesioni documentate e falsamente attribuite alla condotta dell’imputato.

Il procedimento si concludeva con la condanna alla pena di anni due, mesi undici (per tutti i capi di imputazione ad eccezione del reato di cui all’art. 594 c.p. per difetto di querela) e all’applicazione delle sanzioni accessorie dell’interdizione perpetua da qualsiasi pubblico ufficio attinente alla tutela e curatela e dell’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine grado, nonché da ogni ufficio o servizio, istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori.

Il Tribunale, motivava la pronuncia di condanna, affermando che non vi erano incongruenze nella descrizione della giovane e che non vi erano dubbi circa l’attendibilità e la credibilità della stessa.
Analoga considerazione veniva effettuata in riferimento alle testimonianze dedotte dalla parte civile, nonostante i predetti testi fossero avvinti da forti legami di parentela con la parte civile.

L’imputato proponeva appello avverso la sentenza contestando la veridicità delle dichiarazioni della persona offesa e di tutte le accuse rivoltegli in quanto prive di riscontro documentale (visita ginecologica, referto ospedaliero) e testimoniale (non vi erano infatti deposizioni di soggetti effettivamente terzi rispetto alle parti).
Venivano altresì contestate le modalità di escussione in fase di indagini della ragazza, all’epoca minorenne, che non veniva assistita/coadiuvata dalla presenza di uno psicologo in violazione alle indicazioni contenute nella “Carta di Noto” (le linee guida per l’audizione del minore sospetta vittima di abuso sessuale. Vedi nel sito l’argomento trattato diffusamente: https://www.studiolegaledelalla.it/le-insidie-dellaudizione-del-minore-sospetta-vittima-di-abusi-sessuali-ladozione-delle-migliori-linee-guida-scientifiche/).

Con l’atto di Appello veniva altresì impugnata l’Ordinanza di rigetto con la quale il Tribunale respingeva la richiesta di acquisizione del materiale video e fotografico ritraente la coppia avanzata dalla difesa imputato.

La Corte d’Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado concedendo le circostanze attenuanti generiche e riducendo per l’effetto la pena confermando dunque la dichiarazione di penale responsabilità.
In riferimento alla richiesta difensiva di acquisizione delle foto respingeva l’istanza affermando che “la superiore considerazione non può valere a giustificare la condotta aggressiva posta in essere dall’imputato nei confronti della sua ragazza, frutto di una “patologica” gelosia e di un atteggiamento da “dominus””.

Veniva proposto Ricorso per Cassazione e la suprema Corte confermava la dichiarazione di condanna respingendo le argomentazioni difensive.

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L’ISTANZA DI REVISIONE DEL PROCESSO. LE NUOVE PROVE. L’ATTIVITA’ DELLO STUDIO LEGALE DE LALLA.

Lo Studio Legale de Lalla, che interveniva nella fase successiva rispetto a quella di celebrazione del procedimento che era ormai definito, valutava all’esito della complessa vicenda giudiziaria, nonché alla luce della delicatezza dei temi trattati e dei giovanissimi soggetti coinvolti la possibilità di proporre richiesta di revisione del processo.
La revisione è un mezzo di impugnazione straordinario in quanto esperibile solo successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna e, come tale, non più soggetta ad alcun mezzo di impugnazione ordinario (in questo caso, infatti vi era la pronuncia della Cassazione).
Ciò posto, il Legislatore ha dunque previsto la possibilità che – anche una decisione già passata in giudicato – possa essere modificata perché non conforme a verità e, pertanto, ingiusta.

Ingiustizia che avrebbe, dunque, come conseguenza la condanna di un innocente.
La revisione può essere richiesta a norma dell’art. 630 c.p.p.:
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile [648] del giudice ordinario o di un giudice speciale;
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall’articolo 479;
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’articolo 631;
d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.

La norma indica quattro casi tassativi.
A tal proposito, infatti, occorre evidenziare che il giudizio di revisione mira a scagionare il condannato da tutte le accuse e non ad attenuarne la responsabilità.
Pertanto, affinché la richiesta sia considerata ammissibile occorre che gli elementi (le prove) indicati a supporto abbiano come conseguenza la pronuncia di proscioglimento del condannato (Cassa. Sez. V – sent. 12307/2008).

Nel caso in esame – alla luce del materiale fornito – lo Studio de Lalla ravvisava la ricorrenza dell’ipotesi contemplata dalla lettera c) dell’art. 630 c.p.p. ovvero quella basata su PROVE NUOVE e per la precisione:

1. qualora tali prove siano state oggetto di indagine, ed abbiano avuto ingresso nel procedimento ordinario, ma non siano state valutate neppure implicitamente;
2. qualora sopraggiungano nuove prove sconosciute al momento del passaggio in giudicato della condanna;

In riferimento al primo punto, il giovane condannato forniva allo Studio Legale de Lalla un file contenente immagini fotografiche ritraenti momenti vissuti con la fidanzata, collocati nell’arco temporale nel corso del quale la giovane accusava di essere vittima di violenza sessuale, lesioni, percosse e minacce.
Il predetto materiale rappresentava una prova decisiva, in quanto, avrebbe attestato non solo l’assenza di ematomi sul corpo della ragazza, ma altresì, anche l’assenza di atteggiamenti minacciosi posti in essere nei confronti della fidanzata.
Il giudizio di revisione del giudicato, secondo quanto indicato dalla norma, è attuabile anche qualora le prove abbiano fatto il loro ingresso nel procedimento ordinario, tuttavia, è indispensabile che le stesse non sia state oggetto di valutazione da parte del giudicante né in forma esplicita, né implicita.
Ciò posto, nel caso di specie, vi era agli atti non solo l’ordinanza di rigetto emessa in primo grado dal Tribunale, ma anche la sentenza della Corte d’Appello, con la quale, i Giudici del secondo grado si esprimevano omettendo in pratica una valutazione del materiale fotografico dedotto dall’accusato.

Lo Studio de Lalla, inoltre, dalla disamina degli atti apprendeva che, già in sede di interrogatorio, il giovane aveva comunicato agli operanti il nominativo di testi oculari che non venivano escussi né in sede investigativa dagli inquirenti, né in sede dibattimentale.
Giovani amici che frequentavano la coppia e avrebbero potuto riferire circostanze rilevanti ai fini della decisione.
Dichiarazioni dei soggetti poc’anzi citati che venivano acquisite in sede di indagini difensive condotte dall’Avv. Giuseppe de Lalla e dall’Avv. Elvira La Ferrera.
Dalla lettura dei verbali emergevano immediatamente le nuove prove di natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate in sede di giudizio (in questo caso testimoni oculari non escussi nel precedente processo di merito in grado di riferire circostanze contrastanti rispetto alle altre prove testimoniali di segno contrario dedotte durante il dibattimento).
A tal proposito, si evidenzia che, nel caso in esame – tenuto conto che le testimonianze dedotte dalla parte civile erano legate alla stessa da vincoli di parentela (madre, padre, zia) le escussioni effettuate dalla Difesa de Lalla/La Ferrera rappresentavano, per la prima volta, un contributo all’accertamento reale dei fatti proveniente da soggetti terzi rispetto alle parti in causa.

Ciò posto, veniva depositata richiesta di revisione ex art. 630 c.p.p. presso la competente Corte d’Appello ove venivano dettagliatamente documentate le prove nuove, ovvero:

  • le dichiarazioni dei testi escussi dallo Studio de Lalla in sede di investigazioni difensive ex art. 391 bis e ss. c.p.p.;
  • l’analisi di digital forensic delle foto e dei video ritraenti la coppia nel corso della loro relazione.

Elementi di prova nuovi rispetto a quelli dedotti ed analizzati in giudizio indicati dall’assistito e valutati dai Difensori che successivamente procedevano alla “formalizzazione processuale” di tali elementi al fine di sottoporli al giudizio logico-giuridico del Giudice (la Corte di Appello competente come per legge).

La Corte adita rigettava la richiesta con Ordinanza pre-dibattimentale che veniva prontamente impugnata dal Collegio difensivo avanti alla Corte di Cassazione.

Nel Ricorso veniva contestata l’erronea applicazione della legge penale in riferimento alla dichiarata inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ex art. 634 c.p.p. avvenuta tra l’altro con ordinanza pre-dibattimentale, la conseguente violazione del diritto alla prova e la violazione del diritto al contraddittorio. Veniva altresì sostenuta la sussistenza del requisito della novità e della idoneità delle prove addotte e l’omessa valutazione da parte dei Giudici d’Appello della consulenza di digital forensic.
Nel caso esaminato dallo Studio de Lalla, infatti, le nuove prove non si esaurivano in contributi dichiarativi di carattere generico, ma miravano ad introdurre circostanze suscettibili di verifica mai riferite neppure dall’imputato.
Ulteriore doglianza espressa nei motivi del Ricorso era l’illogicità delle argomentazioni poste a fondamento della dichiarazione di inammissibilità del giudizio di revisione in ordine alla valutazione circa la pertinenza, la rilevanza ed idoneità delle nuove prove a determinare il proscioglimento del condannato, nonché l’illogicità delle motivazioni poste a fondamento della preliminare delibazione di inammissibilità della richiesta con riferimento alla astratta valutazione circa l’idoneità dei nuovi elementi a sovvertire il Giudicato (avvenuta per l’appunto in assenza di contraddittorio tra le parti).

La Suprema Corte fissava udienza di trattazione e all’esito della camera di consiglio disponeva l’annullamento dell’Ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla competente Corte d’Appello.

Lo Studio con immensa soddisfazione e orgoglio professionale accoglieva la decisione dei Giudici di Cassazione e rimane in fiduciosa attesa della celebrazione del nuovo giudizio ove finalmente per la prima volta verranno valutate le prove nuove che potrebbero ribaltare definitivamente le sorti del giovane condannato.

Qui sotto la comunicazione della Corte di Cassazione dell’annullamento della impugnata Ordinanza:

Buongiorno avvocato,
di seguito quanto richiesto:

Num. Ric. Gen.: 30501-2021
Parti: GD Nato il:…………..a: ………….
Ubicazione: QUARTA SEZIONE
Data Udienza: 24/05/2022
Esito Statistico: ANNULLAMENTO CON RINVIO
Dispositivo
ANNULLA L’ORDINANZA IMPUGNATA CON RINVIO PER NUOVO GIUDIZIO ALLA CORTE DI APPELLO DI MESSINA, CUI DEMANDA ANCHE LA REGOLAMENTAZIONE TRA LE PARTI DELLE SPESE DI QUESTO GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI, A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS.196/03 IN QUANTO DISPOSTO D’UFFICIO E/O IMPOSTO DALLA LEGGE

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