Il concetto medico di capacità di intendere e di volere si discosta da quello prettamente Giuridico. La Corte di cassazione precisa le differenze tra le due interpretazioni e la necessità di una perizia anche a fronte del Giudice peritum peritorum.
Davvero con grande piacere ed un pizzico di orgoglio posso annunciare di aver conseguito in data 30 maggio 2024 la Laurea Triennale in Psicologia ovvero in “Scienze e tecniche psicologiche” con il voto di 98/110 presentando la tesi dal titolo “Il trattamento educativo carcerario e la detenzione del condannato per reati sessuali”.
Si è trattato di un percorso di studi impegnativo ma gratificante che mi ha permesso di acquisire gli strumenti per comprendere e gestire al meglio tutti quegli aspetti meta-giuridici (assai numerosi) che contraddistinguono il procedimento penale volto all’accertamento di ipotesi accusatorie di reati sessualmente connotati. Innanzitutto, la comprensione delle dinamiche psicologiche tra i vari protagonisti della vicenda-reato (in primis il binomio accusato/persona offesa) che sfugge ad una analisi di sola natura giuridica.
In ogni caso, l’acquisizione di concetti, linguaggio, principi, teorie, tecniche di natura squisitamente psicologica nonché di cenni di fisiologia umana (in particolar modo inerenti le dinamiche emozionali), consentiranno al sottoscritto di interloquire con maggiore consapevolezza con i consulenti tecnici e periti (ovviamente psicologi) soprattutto in relazione all’audizione del minore sospetta vittima di abuso sessuale oltre che nel caso in cui facesse ingresso nel procedimento penale una ipotesi di patologia mentale di uno dei soggetti coinvolti (imputato, persona offesa o testimone).
La redazione della tesi di Laurea è stata una occasione importante per affrontare il tema del trattamento detentivo dei condannati per reati sessuali. La tesi affronta ed analizza una realtà geograficamente limitata ovvero il percorso terapeutico multidisciplinare attuato presso il carcere di Milano – Bollate dedicato esclusivamente a coloro che sono stati condannati e sono detenuti poiché riconosciuti colpevoli di reati sessualmente connotati.
Si tratta del percorso detentivo – terapeutico pensato ed attuato dal C.I.P.M. (Centro Italiano Per la Mediazione) del Dott. Paolo Giulini proprio all’interno del Carcere di Bollate che da anni permette un importantissimo abbattimento della percentuale di recidiva degli attori di reati sessuali.
Qui di seguito pubblico l’introduzione della tesi che in fondo al testo è interamente scaricabile in formato PDF unitamente alla bibliografia (fondamentale risulta l’opera proprio del Dott. Paolo Giulini e Carla Maria Xella “Buttare via la chiave? La sfida del trattamento per gli autori di reati sessuali” Raffaello Cortina Editore).
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Da quasi venticinque anni sono un avvocato penalista e da circa quindici mi occupo della difesa di coloro che sono accusati di reati sessualmente connotati agiti su adulti e minori.
Si tratta di vicende che, nella loro drammaticità, presentano sotto diversi profili – a mio parere – una delle sfide più impegnative per un Difensore.
Innanzitutto, vi è un primo apparente ostacolo che è quello di tutelare i diritti di un soggetto che, nell’ipotesi accusatoria, ha leso quelli di un altro cittadino (come detto, magari un fanciullo) in maniera così moralmente riprovevole e profonda.
Tuttavia, per un “addetto ai lavori” la difficoltà è solo apparente poiché, ovviamente, non si tratta di difendere una condotta criminale (magari anche solo minimizzandola) ma i diritti di chi la ha commessa; diritti che sono esattamente gli stessi di quelli di cui è titolare la vittima e tutti gli altri consociati.
La Costituzione sul punto è chiarissima e non fa alcuna differenza.
Peraltro, come noto, esistono gli errori giudiziari e, nella maggioranza dei casi, una buona difesa implica il riconoscimento e l’applicazione di una pena giusta e legale e non già l’impunità.
In ogni caso, affinché il processo sia celebrato occorrono Accusa e Difesa, con pari dignità e poteri al cospetto di un Giudice terzo.
Se anche solo uno di tali elementi manca o è viziato non è possibile celebrare il Giusto processo disciplinato dalla Legge e, di conseguenza, applicare al reo giudicato colpevole la pena stabilità dal Diritto.
Vi è poi una difficoltà squisitamente tecnica che risiede nella natura indiziaria del processo a carico dei predatori sessuali posto che, il più delle volte, l’unico indizio, in difetto di evidenze mediche, è il portato dell’asserita vittima (che, come detto, magari è un soggetto giovanissimo).
Sono sempre stato testimone, come quasi tutti, dell’estremo e giustificato allarme sociale che i reati sessualmente connotati suscitano nell’opinione pubblica.
Specialmente attualmente assistiamo a una vera proliferazione del reato di genere (compresa la violenza sessuale) e a danno delle fasce più deboli come i minori.
Eppure, coloro che si sono macchiati di reati sessuali sono solo il 3,5% della popolazione carceraria.
A dispetto di questo dato, è opinione comune che la pena adeguata per un sex offender sia quella più alta possibile e il confinamento nel braccio che i detenuti comuni chiamano quello degli “infami” ove sono ristetti gli aggressori sessuali, coloro che hanno compiuto un reato in danno di una donna o di un fanciullo, i pentiti, i transessuali e gli appartenenti alle Forze dell’ordine che hanno delinquito.
Negli anni abbiamo assistito al progressivo inasprimento delle pene previste per i reati sessuali e con la Legge 66/96 è stata anche ordinata in maniera sistematica la materia e reso i reati siffatti non già contro la moralità pubblica ma la persona.
Eppure, anche a fronte di questa evoluzione, i crimini sessuali non sono diminuiti sensibilmente ma semmai sono aumentati, facilitati nella loro consumazione dall’uso/abuso dei social e di sostanze superficialmente dette “droghe dello stupro” somministrate alle ignare vittime.
A ciò si aggiunga che l’età dei rei è andata diminuendo così come sono aumentate le violenze di gruppo.
Ebbene, è plausibile affermare che la sola pena detentiva di stampo retributivo fino ad oggi adottata dal Legislatore ed attuata dall’Amministrazione Penitenziaria e dalle varie Direzioni dei penitenziari del nostro Paese (salvo alcune rare eccezioni), nella maggioranza dei casi non si è rivelata sufficiente dal momento che non ha abbattuto l’incidenza della recidiva e, quindi, la proliferazione delle vittime.
Nel corso della mia professione, negli ultimi anni sono venuto a contatto con una realtà carceraria che può definirsi una “mosca bianca” e che, così come istituzionalizzata, diretta e organizzata presso il carcere di Milano-Bollate, è assolutamente unica nel suo genere anche perché interamente finanziata dalla Regione Lombardia.
Si tratta dell’Unità operativa diretta dal Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM), che all’interno di una sezione trattamentale del carcere milanese, tramite un’équipe eterogena di specialisti, organizza e attua programmi di trattamento e riabilitazione rivolti su base volontaria a condannati definitivi per reati sessuali che abbiano o meno ammesso l’addebito e salva la verifica ripetuta della c.d. trattabilità.
Si tratta di un percorso trattamentale della durata circa di un anno, organizzato principalmente in un setting di terapia di gruppo a cui si affiancano colloqui singoli con psicologici e criminologici.
Il tutto – come illustrato nella prima parte di questa tesi – diviso in diversi moduli che prendono le mosse dalla oggettiva varietà personale di coloro che si macchiano di questi terribili reati.
Non già una sostituzione della pena detentiva, ma un percorso che ad essa si affianca finalizzato in primis a ridurre la recidiva e in secondo luogo a limitare la sofferenza dei condannati.
Un percorso impegnativo che non assicura una “guarigione”, ma un cambiamento di prospettiva dei colpevoli che passa per l’accettazione della responsabilità della commissione del reato e l’implementazione della propria autostima e degli strumenti psicologici e cognitivi per contenere quella rabbia e quella frustrazione il cui sfogo sessualizzato genera il crimine sessualmente connotato.
Con questa mia tesi ho voluto illustrare le modalità e la natura del lavoro del CIPM dopo aver brevemente trattato in generale la figura di colui che commette un’aggressione sessuale sia per mezzo della violenza che tramite l’induzione.
Ho poi cercato tramite la rete contributi, articoli e testi circa il trattamento riabilitativo dei sex offender svolti in regime intramurario e, dopo aver individuato quattordici articoli, ho inteso commentarne cinque che ho ritenuto di maggiore interesse e più vicini allo scopo che mi ero prefissato.