Il concetto medico di capacità di intendere e di volere si discosta da quello prettamente Giuridico. La Corte di cassazione precisa le differenze tra le due interpretazioni e la necessità di una perizia anche a fronte del Giudice peritum peritorum.
Abbiamo già trattato in altre pagine del sito della responsabilità per i concorrenti nel reato ovvero nel caso in cui più persone cooperino nella commissione di uno o più reati.
Cooperazione che – come noto – può essere (ed è punita dal legislatore in eguale misura) sia materiale che morale (ovvero, in questo secondo caso, qualora l’apporto del cooperante tenda a rafforzare la volontà dell’agente principale).
Il Legislatore ha inteso applicare la disciplina per la quale nel momento in cui si verifica la predetta cooperazione, la responsabilità penale per i correi – salvo alcune eccezioni che analizzeremo più avanti – è omogenea non essendo prevista una gradazione della pena a fronte di un contributo diversificato (ad esempio, il c.d. “palo” durante una rapina verrà condannato alla medesima pena del complice che irrompe nella banca armi in pugno).
La figura classica di concorso nel reato ex art. 110 c.p. non prevede che i concorrenti nel areato siano tali solo a fronte di un dettagliato accordo finalizzato alla commissione del reato; è necessario e sufficiente che quest’ultimo si realizzi con la collaborazione dei diversi soggetti ma non che i cooperanti agiscano dopo aver pianificato dettagliatamente i vari compiti (risponderà di concorso colui che, avvedutosi di un soggetto che sta derubando la vittima, gli presti manforte anche se i due non si sono mai visti e conosciuti prima della commissione del reato).
Spesso, tuttavia, nella pratica accade che taluno dei concorrenti o per sua autonoma iniziativa, o per circostanza manifestatasi durante la commissione del reato, finisca per compiere un reato diverso e più grave di quello concordato con gli altri concorrenti (e, quindi, si tratta di un concorso “classico” ovvero quello che segue ad un piano – anche embrionale – degli agenti): si pensi al caso in cui, programmato un furto in un appartamento, uno degli autori, trovandovi una giovane donna, per impedirle di chiamare la polizia, la leghi e la imbavagli, commettendo così sequestro di persona o la costringa a subire atti sessuali; si pensi ancora al caso in cui, a causa della resistenza della vittima del furto, il reato inizialmente programmato dai concorrenti si trasformi in una rapina.
In che termini sarà punito per il reato più grave il complice che aveva deciso di collaborare con gli altri correi nella realizzazione del reato originariamente programmato che ha dato accasione al compimento di quello diverso e pià grave?
La non infrequente ipotesi è disciplinata dall’art. 116 c.p. che dispone: “qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione (…e tale disposizione conferma che il Legislatore ha inteso anche in questo caso di concorso anomalo “livellare” la posizione di tutti gli agenti eliminado così la difficoltà pratica di analizzare la natura e l’apporto della condotta di ogni agente al fine di calibrare la pena da infliggere Ndr)
Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave” (…e con questa specificazione il legislatore – come vedremo – ha fatto salvo il principio di una resposnabilità penale personale e non standardizzata).
Il diritto penale, quindi, prevede in via generale che tutti i concorrenti rispondano anche per uil reato (più grave) non programmato compiuto dal complice ma che, tuttavia, se il reato non inizialmente voluto prevede una pena più grave di quello inzialmente programmato, la pena per coloro che non lo vollero sarà diminuita.
Il fondamento della punibilità del concorrente anche per il reato diverso va rinvenuto nel fatto che chi si unisce ad altri per porre in essere un’azione criminosa si affida anche alla condotta ed alla volontà dei complici che quindi diventano proprie.
In forza della previsione dell’art. 116 c.p. del reato diverso commesso dal concorrente che sia andato oltre i limiti dell’accordo prendendo di sua iniziativa una decisione autonoma, il compartecipe in disaccordo con tale iniziativa (o che, semplicemente, ne era del tutto all’oscuro prima che si verificasse) risponde sulla base del mero nesso di causalità materiale con la sua condotta di partecipazione.
La norma in esame, quindi, sembra integrare senz’altro una tipica ipotesi di responsabilità oggettiva ovvero una responsabilità che – diversamente da quanto prevedono normalmente i canoni dell’attribuzione della responsabilità penale – prescinde dalla effettiva volontà dell’agente (si indicano con il termine “elemento soggettivo” del reato quegli aspetti della condotta criminosa riconducibili alla coscienza e volontà del’agente).
Chiamata a giudicare sulla conformità della norma con il principio di personalità della responsabilità penale (personalità della responsabilità che si ha quando l’agente è legato da nesso anche psichico al reato – volontà o colpa che sia – e non solo materiale), nella sentenza del 13 maggio 1965 n. 42 la Corte Costituzionale affermò che la responsabilità ex art.116 c.p. poggia sulla sussistenza non solo del rapporto di causalità materiale, ma anche di un rapporto di causalità psichica: il reato diverso e più grave commesso dal concorrente deve potersi rappresentare alla psiche dell’agente nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto (o, quantomeno, che il soggetto avrebbe dovuto legittimamente prevedere sulla base delle conoscenze dell’uomo medio nella medesima situazione).
In tal modo la responsabilità ex art. 116 c.p. perde i suoi connotati rigidamente oggettivi per trasformarsi in una sorta di responsabilità anomala nella quale il concorrente nolente risponde, a titolo di dolo, di un vento non effettivamente voluto; ma riconducibile alla sua sfera psichica sulla base di un atteggiamento della volontà sostanzialmente colposo (il cocnorrente nolente avrebbe dovuto aspettarsi che l’evento più grave si sarebbe potuto verificare).
Occorre tenere ben presente che il soggetto non deve neppure aver accettato il rischio del verificarsi dell’evento diverso e più grave; se, infatti, il compartecipe abbia previsto che l’azione criminosa concordata potesse sfociare nella commissione di un diverso reato e ne abbia accettato il rischio, egli ne risponderà, non già secondo la disciplina del concorso ex art. 116 c.p., ma ex art. 110 c.p. per averlo voluto a titolo di dolo eventuale senza alcuna possibilità di diminuzione di pena qualora esso sia più grave del reato concordato (in base alla disciplina del dolo eventuale, infatti, l’agente risponde a titolo di dolo per il reato che non ha espressamente voluto ma che ha immaginato si potesse verificare e ciò nonostante ha agito accettando il rischio della realizzazione non direttamente voluta).
Quanto alla prevedibilità dell’evento più grave non voluto, in dottrina sono stati elaborati due indirizzi:
– Per il primo è sufficiente la prevedibilità in astratto; questa viene accertata confrontando le ipotesi astratte di reato che devono essere tra loro omogenee: così deve sempre ritener ersi ricorrere il requisito per esempio nel caso in cui un furto trasmodi in rapina o le lesioni personali in omicidio.
– Per il secondo occorre, invece, la prevedibilità in concreto nel senso che per valutare se il reato realizzato rappresenti o meno prevedibile sviluppo del reato programmato è necessario verificare tutte le circostanze della fattispecie concreta se cioè le modalità di commissione del reato facessero o meno prevedere uno sviluppo di quello che in concreto si è verificato. Così potrà ritenersi sussistere la prevedibilità di un omicidio in un caso di concordata rapina a mano armata.
Aderendo a questo secondo orientamento la responsabilità ex art. 116 c.p. pur essendo punita come responsabilità dolosa si avvicina nei suoi elementi strutturali alla responsabilità colposa; ed infatti di questa ricorrono i requisiti: la non volontà dell’evento; la violazione di regole di prudenza sussistente nell’affidarsi per commettere il reato anche alla condotta altrui che come tale sfugge al dominio finalistico del soggetto che non vi può esercitare alcun controllo; la prevedibilità-evitabilità dell’evento diverso ed ulteriore.
Il criterio della prevedibilità in concreto consente di risolvere i casi dubbi ai quali si è fatto riferimento.
Così nel caso in cui concordato un furto in appartamento l’esecutore costringa ad atti sessuali la ragazza trovata in casa, il mandante risponderà anche di questo reato se sapeva della presenza in casa della donna e che l’esecutore è propenso ai reati sessuali; non risponderà invece della rapina in cui è sfociato il furto se la presenza della vittima e la sua reazione fossero da ritenersi del tutto imprevedibili.
Infine, va precisato che per reato diverso si deve ritenere un reato avente un nomen iuris diverso (ovvero una fattispecie di reato i cui elementi costitutivi giuridicamente apprezzati siano differenti rispetto a quello originariamente pianificato).
L’articolo 116 c.p. si applica tanto se il reato diverso sia meno grave tanto se sia più grave di quello concordato; in questo secondo caso però la norma prevede una diminuzione di pena per chi volle il reato meno grave “in questo modo viene in pratica attenuata l’anomalia di una responsabilità per reato doloso da parte di un soggetto rimproverabile solo di un agire colposo”.
Sintetizzando, ai fini dell’imputazione della responsabilità per l’evento diverso da quello originariamente voluto da uno o più dei concorrenti, occorrono i seguenti elementi:
– Un rapporto di causalità materiale tra la propria condotta ed il reato diverso da quello programmato commesso da terzi;
– La non volontà di questo reato diverso (nemmeno a titolo di dolo eventuale);
– La prevedibilità di questo diverso reato non voluto.
(articolo redatto da Avv. Giuseppe de Lalla tratto da “diritto penale parte generale” edizione Simone 2003)
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