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Commentiamo in questa sede un recente intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza n. 20769 del 28 aprile 2016 – dep. il 19 maggio 2016) in tema di applicabilità della misura degli arresti domiciliari con la prescrizione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici (i c.d. “braccialetti elettronici”).


L’intervento delle Sezioni Unite prende le mosse da un contrasto sorto all’interno della giurisprudenza di legittimità relativo alla questione dell’eseguibilità degli arresti domiciliari con la procedura di controllo del braccialetto elettronico quando – di fatto – manchi il dispositivo da apporre.
Invero, occorre premettere che l’effettiva applicabilità degli arresti domiciliari controllati con l’utilizzo di strumenti elettronici (quale, appunto, il “braccialetto” del quale qui si parla) è alquanto dibattuta e tormentata, anche considerato che a quindici anni di distanza dall’introduzione nel nostro codice di procedura penale dell’art. 275 bis (“particolari modalità di controllo degli arresti domiciliari”) il braccialetto elettronico resta una misura sostanzialmente disapplicata, soprattutto per la carenza di adeguate attrezzature tecnologiche.

Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi per chiarire “se il Giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con c.d. “braccialetto elettronico”, o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilità di tale dispositivo elettronico, debba applicare la misura più grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari”.

Sul tema si sono formati due orientamenti giurisprudenziali che partono da una comune premessa, ovvero quella secondo cui la previsione dell’art. 275 bis c.p.p. non introduce una autonoma misura coercitiva ma disciplina unicamente una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari, per giungere però a conclusioni del tutto contrastanti.

Secondo un primo orientamento, l’applicazione della misura degli arresti domiciliari con l’utilizzo del braccialetto elettronico è subordinata al previo accertamento della disponibilità dei mezzi elettronici da parte della polizia giudiziaria. Da ciò ne consegue che l’indisponibilità dei predetti mezzi impone l’adozione della misura della custodia in carcere, anche qualora il Giudice abbia ritenuto l’astratta adeguatezza di una misura meno afflittiva (quella appunto degli arresti domiciliari controllati).
Tale decisione, secondo la suddetta linea interpretativa, non comporterebbe alcuna violazione dei principi costituzionali in tema di libertà personale, posto che la stessa dipende pur sempre dall’intensità delle esigenze cautelari da soddisfare, in relazione alle quali la misura degli arresti domiciliari “semplici” sarebbe da ritenere in ogni caso insoddisfacente.

Un secondo orientamento, al contrario, valorizzando la natura solo accessoria del dispositivo di controllo, ritiene che l’indisponibilità del congegno elettronico non può condizionare la scelta della misura da applicare, che è, invece, frutto della valutazione di merito effettuata dal Giudice sulla pericolosità dell’indagato.
Tale indirizzo ritiene che “il suddetto braccialetto rappresenta una cautela che il giudice può adottare, se lo ritiene necessario, non già ai fini della adeguatezza della misura più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione, ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacità effettiva dell’indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, assumendo l’impegno di installare il braccialetto e di osservare le relative prescrizioni”.

Ne consegue che, una volta ritenuta idonea la misura degli arresti domiciliari, è in ogni caso esclusa l’applicazione della custodia cautelare in carcere: l’indisponibilità dello strumento elettronico di controllo inciderà solo sulle modalità di esecuzione, comportando l’applicazione degli arresti domiciliari semplici.

Ciò premesso, la Suprema Corte a Sezioni Unite nel tentativo di risolvere il quesito parte dal presupposto per cui in tema di libertà personale non sono accettabili interpretazioni della norma che comportino automatismi nell’applicazione della misura custodiale in carcere.

Invero, secondo il dato testuale dell’art. 275 bis c.p.p. l’unica condizione ostativa alla concessione degli arresti domiciliari c.d. “controllati” è rappresentata dalla negazione del consenso da parte della persona sottoposta alla misura all’utilizzo del braccialetto elettronico; in questo caso il giudice deve disporre la misura detentiva in carcere.
Viceversa, la norma non contempla la carenza del dispositivo quale causa automatica di applicazione della custodia cautelare in carcere, o in senso opposto, della sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari “semplici”.

Un’interpretazione diversa, secondo la Corte di Cassazione, contrasterebbe con lo spirito della riforma legislativa più recente (l. 47 del 2015) caratterizzata dal rafforzamento della funzione di extrema ratio attribuita alla custodia cautelare e con gli insegnamenti della Corte Costituzionale in base ai quali la materia delle misure cautelari deve essere ispirata al principio del “minor sacrificio necessario”, nonché con le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (tra tutte vedi la Sentenza Torreggiani) che impongono di restituire alla custodia cautelare in carcere una funzione effettivamente residuale.

Alla luce di ciò, non è condivisibile l’orientamento giurisprudenziale che vorrebbe ricavare dalla indisponibilità del braccialetto elettronico l’obbligata adeguatezza della sola custodia in carcere.

Parimenti non merita accoglimento neanche l’opposto indirizzo giurisprudenziale secondo cui il Giudice, nell’ipotesi di mancanza dei dispositivi elettronici, debba dare senz’altro corso agli arresti domiciliari; tale soluzione contrasterebbe “con i principi di proporzione e di ragionevolezza, introducendo un favor non commisurato al convincimento del decidente ed alle valutazioni da questo operate in ordine alla individuazione ed alla tutela delle esigenze cautelari”.

Da queste premesse, secondo la Suprema Corte, ne deriva che, escluso ogni automatismo nell’applicazione delle misure, spetta al Giudice, in caso di mancanza del braccialetto elettronico, la scelta in concreto se applicare la custodia cautelare in carcere ovvero gli arresti domiciliari semplici, all’esito di un giudizio che, dato atto dell’impossibilità di applicare la misura più idonea (gli arresti domiciliari controllati), bilanci le esigenze cautelari e la tutela della libertà personale dell’indagato/imputato.

In altri termini, il Giudice, ritenuta astrattamente l’idoneità degli arresti domiciliari controllati ma ravvisata l’indisponibilità del braccialetto elettronico, ha il dovere di giustificare l’individuazione della specifica misura applicabile, alla luce dei criteri di adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

A tal proposito, occorre rilevare come, tuttavia, la soluzione a cui pervengono le Sezioni Unite abbia dei risvolti paradossali.
Difatti, se gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico rappresentano non una autonoma misura coercitiva ma una modalità di esecuzione degli stessi, la mancanza del dispositivo non dovrebbe incidere sulla idoneità della misura.
Tuttavia, proprio la carenza nel caso concreto del braccialetto elettronico impone al Giudice una nuova scelta sulla misura da applicare, posto che quella ritenuta più idonea non è di fatto eseguibile a seguito di circostanze (la mancanza dello strumento di controllo) che non dipendono dal comportamento del soggetto destinatario della misura.

(Articolo redatto dalla Dott.ssa Silvia Meda dello Studio Legale de Lalla. Ogni diritto riservato).

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