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Pubblichiamo qui l’intervento dell’Avv. Giuseppe Maria de Lalla pubblicato sul periodico “GRAZIA” (n. 39 del 14.9.2017).

Il Difensore è intervistato da Fiamma Sanò (unitamente alla Dottoressa Marianna Soddu psicoterapeuta e consulente presso il Tribunale di Milano) e l’articolo (dal titolo: “Per le italiane denunciare rimane un tabù“) prende spunto dalla denuncia presentata da due ragazzi americane per essere state – a loro dire – abusate da due Carabinieri in servizio.

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Bisogna rassicurare le donne sul fatto che è sempre bene denunciare la violenza sessuale. Non devono temere di non essere credute. La legge le tutela», dice Giuseppe De Lalla, avvocato penalista di Milano, esperto in materia di reati sessuali. «La parola della vittima, nel caso dello stupro, vale sempre di più di quella dell’accusato, in un processo. Si parte dal presupposto che la violenza ci sia stata, e poi sta alla legge ricostruire il “come”. Fino al 1996 era diverso», continua l’esperto. «Bisognava provare che fosse avvenuta la penetrazione. Per questo i processi diventavano momenti penosi per le vittime. Oggi no. Il fatto che, per esempio, non ci siano segni di violenza fisica sul corpo non mette in dubbio lo stupro, si sa che, di fronte a un attacco brutale, proprio il non difendersi può salvare la vita della vittima. Non solo. Anche un tentativo di bacio, senza il consenso, è considerato una violenza sessuale, seppur meno grave. Inoltre, si tratta di stupro non solo quando non c’è il consenso chiaramente espresso, ma anche quando il consenso è viziato».

Per esempio, se una donna è ubriaca. Come è accaduto alle due studentesse americane, trasferitesi a Firenze, che hanno detto di essere state violentate da due carabinieri. Ovvero da chi dovrebbe difenderle. Le ragazze hanno immediatamente denunciato. Se fossero state italiane, avrebbero fatto lo stesso? «Credo che anche due ragazze italiane, in un caso simile, non sarebbero rimaste in silenzio», dice Marianna Soddu, psicologa, psicoterapeuta e consulente del tribunale di Milano su violenze, abusi e maltrattamenti. «Sarebbero comunque andate in ospedale, e benché non ci sia un obbligo di denuncia, i medici l’avrebbero suggerito». I dati ufficiali, però, mostrano una sporporzione tra violenze realmente subite e segnalazioni alla polizia. In Italia, dice l’Istat, 21 donne su 100 sono state vittime di abusi. Le denunce, al confronto, sono poche, e stanno diminuendo: se ne sono contate 2.333 nei primi sette mesi del 2017, erano state 2.345 nello stesso periodo del 2016. Come si spiega la paura di parlare? «La maggior parte delle violenze, circa 4 su 5, vengono commesse da parenti o da conoscenti», dice Soddu. «Per una donna, in questi casi, è difficile andare dalla polizia». All’estero, soprattutto negli Stati Uniti, la consapevolezza è più diffusa (vedi articolo a pagina 70). Sui siti delle università americane, come quella di Notre Dame dell’Indiana, non solo è disponibile una guida sulle molestie, ma è anche attivo un servizio di consulenza per gli studenti. In Italia, in molti ospedali esistono sportelli dedicati, e la polizia ha adottato un protocollo sulle violenze chiamato Eva (significa “Esame violenze agite”). «Ci sono esperti per il supporto delle vittime: nessuno è lì per giudicarle, ma per aiutarle», dice Soddu.

Raccontare uno stupro, però, rimane difficile. E sulla stampa leggiamo più spesso le testimonianze di donne straniere, che di donne italiane. Perché? Di certo, confermano a Grazia fonti della polizia, l’abuso viene raramente riferito ai giornali: le vittime non vogliono essere identificate. «Se sono italiane, vivono nel contesto e temono di essere riconosciute e di rimanere marchiate». Per capirlo, basta pensare alle conseguenze dello stupro dal punto di vista psicologico. «Un aspetto grave è che una donna teme che il mondo la guardi in modo diverso. Non sei più “Francesca”, ma la vittima di un crimine sessuale», spiega Soddu. «La vittima, poi, pensa di rischiare la vita e può sviluppare il disturbo post traumatico da stress. Ricordi, incubi notturni, attacchi di panico, oltre a difficoltà successive nella sfera sessuale», C’è un modo per cambiare le cose? «Bisogna far capire che, anche dopo uno stupro, la vita va avanti, e che non necessariamente il trauma ti accompagnerà per sempre», dice l’esperta. «Avrai sempre il ricordo, ma non significa che non sarai più quella di prima. Anche a livello sessuale.

(Articolo redatto da Fiamma Sanò e pubblicato sul mensile GRAZIA n. 39 del 14.9.2017)

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